Il recente libro Genius loci (Istituto Poligrafico Europeo, 2023) di Maurizio Padovano si può leggere in tanti modi, tutte letture legittime e giustificate dal testo. Aggiungerò qui una lettura che a molti apparirà stravagante e pertanto prevedo molte critiche.
Dico la mia lettura senza giri diplomatici di parole. Il libro racconta, suo malgrado, una autobiografia che è la migliore delle confutazioni possibili della Lettera a una professoressa di don Lorenzo Milani. Dico “suo malgrado” perché Padovano lascia intravedere una ammirazione per il priore di Barbiana.
La tesi della Lettera è nota: la scuola dell’Italia repubblicana è ferocemente selettiva, promuove chi nasce ricco, boccia e emargina chi proviene da famiglie operaie e contadine. La scuola «è un ospedale che cura i sani e respinge i malati». Il figlio di povera gente, dietro cui si nasconde don Milani, già all’inizio della lettera grida: «Ci respingete nei campi e nelle fabbriche e ci dimenticate». La longa manus di tale feroce e subdola lotta di classe è simbolicamente la “professoressa” che in alcune pagine viene addirittura avvicinata al «criminale nazista»:
«Avete un aspetto così rispettabile. Non avete nulla di criminale. Forse qualcosa di criminale nazista. Cittadino onestissimo e obbediente che registra le casse di sapone. Si farebbe scrupolo a sbagliare una cifra (quattro, quattro meno), ma non domanda se è sapone fatto con carne d’uomo».
Maurizio Padovano in Genius loci racconta la sua storia familiare e la sua formazione culturale. Nasce in una famiglia operaia: padre artigiano, madre casalinga, nonno operaio e comunista. Attualmente è stimatissimo professore nei licei, altrettanto stimato autore di saggi e romanzi, ha conseguito brillantemente un dottorato di ricerca su un argomento filosofico-linguistico. La mitica professoressa costruita da don Milani l’avrebbe bloccato fin dai primi anni della scuola dell’obbligo con argomenti simili a quelli che il fantomatico studente donmilaniano dice di avere sentito sprezzantemente dalla sua professoressa: “Scrittori si nasce, non si diventa”. E Padovano non è un Pierino, non nasce figlio di professori o dottori, è un Gianni, figlio di operai.
Il ragazzo Padovano frequenta una normalissima scuola di provincia e non si imbatte nella fantasmatica professoressa creata dal priore di Barbiana ma in una reale professoressa che individua e coltiva con amore e passione il talento del Gianni di Bagheria. La professoressa non è senza nome come la fantasmatica professoressa della Lettera ma ha un nome e cognome. Si chiama Erina Carollo. Così descrive Padovano la sua professoressa: «culturalmente fascista, cattolica tradizionalista e intransigente, ma non bacchettona».
È una storia che fa molto pensare. Consiglio di leggere il libro anche sotto questo aspetto. Conosco Maurizio Padovano e so che potrebbe insegnare in maniera onorevole letteratura comparata in università prestigiose. Se non è accaduto non è per la professoressa di scuola media «culturalmente fascista, cattolica tradizionalista e intransigente» ma – se proprio si vuole cercare dei responsabili – per una Università che si dichiarava culturalmente e politicamente donmilaniana.
Erina Carollo non è una eccezione. Chi ha avuto modo di frequentare, anche se indirettamente, la scuola preuniversitaria conosce tante professoresse Erina Carollo.
La storia politico-culturale dell’Italia repubblicana andrebbe ripensata coraggiosamente e liberata da molti pregiudizi. Anche Padovano, che pure è uno spregiudicato osservatore e analista del mondo, a volte ne è vittima e fa di un normalissimo e virtuoso stato psicologico un sintomo di disagio proprio di chi appartiene a gruppi sociali non privilegiati. Faccio un esempio.
«Inadeguatezza. Questa è la parola che riassume la mia adolescenza. (…) Una cosa mi appare adesso chiara: (…) era il profondo disagio di non riuscire a scrollarci dall’anima la nostra interfaccia proletaria con Bagheria».
No, caro Maurizio, il senso di inadeguatezza non ha nulla a che fare con le classi sociali, è il motore che fa crescere. Se ti senti adeguato non hai bisogno di lavorare e faticare per raggiungere i tuoi obiettivi e rimani là dove sei, sia che sei nato ricco o povero, figlio di professori d’università o figlio di operai. Ho una storia, personale e familiare, diversa dalla tua eppure tutto quello che sono riuscito a fare l’ho sempre vissuto con un forte e doloroso sentimento di inadeguatezza. Adesso che sono a fine partita dico: è stata la mia fortuna! È uno dei migliori insegnamenti che ho ricevuto dal borghese calvinista che fu mio padre.
Franco Lo Piparo
Professore Emerito Filosofia del Linguaggio Università di Palermo