Atmosfere simenoniane per un giallista siciliano di razza: il primo - B. Napoli

Atmosfere simenoniane per un giallista siciliano di razza: il primo - B. Napoli

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Esiste attualmente una nutrita schiera siciliana di scrittori di polizieschi tanto che si può ormai parlare anche per noi di una scuola regionale. Enzo Russo, Andrea Camilleri, Santo Piazzese, Silvana La Spina,Valentina Gebbia, Piergiorgio Di Cara, Domenico Cacopardo sono i più noti, ma

Salvo Toscano e Gery Palazzotto, della scuderia di Dario Flaccovio, e Davide Camarrone e GianMauro Costa, giornalisti, che hanno iniziato pubblicando da Sellerio, hanno finora fornito delle ottime prove. Per non parlare di Gaetano Savatteri e di Domenico Conoscenti.

La strada ad ognuno di questi autori è stata tuttavia aperta dal prolifico Franco Enna il cui impegno nel genere fu di lunga durata coprendo dagli anni cinquanta a tutti gli anni settanta. Ma lo scrittore siciliano che, prima di Franco Enna, e prima di ogni altro si dedicò al poliziesco (se si vuol tacere di Luigi Capuana e del suo Il marchese di Roccaverdina ) fu tuttavia Ezio D’Errico nato ad Agrigento.

Pittore astrattista tra i primi in Italia, poeta, scrittore di teatro, dal 1936 al 1947 pubblicò venti romanzi polizieschi ambientati in Francia e con protagonista il commissario Richard, capo della Seconda Brigata Mobile della Suretè di Parigi.

Dalla scrivania del commissario Richard, si vedeva uno spicchio della torre di destra di Notre-Dame e la cima di qualche albero spoglio. Era tutto quello che concedeva la finestra i cui tendaggi  polverosi avevano l’aria di risalire al secondo impero. Il resto era nebbia, con qualche lamento sperduto di chiatta a motore che rimontava la Senna e inevitabilmente fischiava al passaggio del Ponte Nuovo.” (Da Qualcuno ha bussato alla porta) Gli ambienti, le atmosfere e il protagonista dei romanzi richiamano quelli del creatore di Maigret; e, difatti, d’Errico venne definito il “Simenon italiano” avendo collocato i suoi polizieschi nel vuoto lasciato dallo scrittore belga dopo quello che sembrava l’ultimo suo libro edito nel 1934.

Il nostro cura molto la scrittura che risulta davvero preziosa: “Il cadavere non si vedeva, probabilmente perché era stato trasportato nella casa del custode, ma la morte era nell’aria, nella luce del tramonto, nel silenzio delle acque opache del Grand-Morin, e la folla ammutolita ne subì la fascinazione prima ancora che la campana della chiesa di Esternay si mettesse a suonare i suoi lugubri rintocchi. Allora, come ubbidendo a un tacito ordine, i contadini prima, poi gli scaricatori del canale, e finalmente anche quelli scesi da Montmirail col viso rosso per il caldo e per il vino bevuto, si tolsero il cappello. Sulle chiatte ormeggiate lungo la banchina, le mogli dei marinai si fecero il segno della croce.” (Da La casa inabitabile)

Se la scrittura è particolarmente curata, l’approccio al genere poliziesco risulta straordinariamente moderno. Quegli anni vengono considerati l’età d’oro del giallo; sono di quel periodo i libri migliori scritti da Edgar Wallace, Agatha Christie, Ellery Queen, S.S. Van Dine, Rex Stout con i loro personaggi diventati ormai immortali.

Tali personaggi (Reeder, Poirot e Jane Marple, Ellery Queen, Philo Vance, Nero Wolfe ), figli del positivismo ottocentesco, campioni del procedimento deduttivo, epigoni dei Dupin (E.A. Poe) e dei Cuff (Wilkie Collins) e degli S. Holmes (Conan Doyle), col solo funzionamento delle loro cellule grigie scoprono il responsabile riportando l’ordine in un contesto alterato da un delitto. Il giallo è un divertimento intellettuale che poco ha a che fare con la realtà.

E invece ecco cosa pensa il commissario Richard (D’Errico) di questo tipo di investigatori: “Se fossi un poliziotto da romanzo inglese e americano con quel bottone troverei il gemello, e attaccato al gemello il polsino e dentro al polsino il braccio del criminale e i lettori si divertirebbero moltissimo…peccato che nella vita reale tutto ciò non si verifichi.” (Da La famiglia Morel).

Se gli investigatori tutta logica sono ridicoli, quello che invece conta in una indagine poliziesca è calarsi nell’ambiente e nella psicologia dei personaggi. Citiamo ancora una volta da La famiglia Morel : “Il metodo di Richard, di abbordare i quesiti polizieschi ai margini, e di imbeversi lentamente dell’ambiente, fino a saturarsene per poi avvicinarsi al nocciolo della questione, richiedeva oltre che una lunga abitudine nel vagliare gli indizi, anche una comprensione umana che era la qualità più preziosa e forse più inconscia posseduta da quell’omaccione dall’apparenza un po’ tonta, e dalle reazioni così lente da parere indizio di unaintelligenza pigra…In presenza di un enigma poliziesco, incominciava a girar largo…si asteneva quanto più gli era possibile dal fare domande a coloro che spontaneamente parlavano. Una domanda, soleva dire Richard, porta con sé l’impronta della risposta, mentre una frase detta in libertà, costituisce un vero apporto totalmente estraneo che avrà un valore x o un valore x meno uno, o un valore 0…ma per lo meno non sarà stata in nessun modo influenzata dalla mente del ricercatore.”

E’ nel metodo sopradescritto che sta tutta la modernità di Ezio D’Errico; le indagini del commissario Richard, svolgendosi in un contesto la cui armonia è venuta meno in seguito a un fatto delittuoso, pur portando sempre ad una soluzione, lasciano sempre una condizione di problematicità e di inquietudine.

Ezio d’Errico pubblicò l’ultimo suo poliziesco, La nota della lavandaia, nel 1947; fu il numero 21 della nuova serie “I Gialli Mondadori” che avevano ripreso le pubblicazioni l’anno precedente dopo la chiusura avvenuta nel 1941. Tuttavia, dal 1950 al 1958, scrisse per la radio quattro serie di gialli (Squadra mobile, Il mio amico commissario, Città notte, Scusi se la disturbo).

Fu anche sceneggiatore cinematografico; la più interessante delle sue sceneggiature è quella del film Atto d’accusa (1950) in cui un penalista pluriomicida fa ricadere la colpa dei suoi delitti su un amico della moglie (un giovane Mastroianni), ma costui, sicuro che l’artefice della macchinazione sia proprio l’avvocato, gli chiede di difenderlo.

La protagonista femminile è Lea Padovani; Andrea Checchi è il commissario che riesce a venire a capo della vicenda.

Pochi sono i polizieschi di Ezio d’Errico ristampati; tra essi due, recentemente, dalla Libreriadell’Orso (La casa inabitabile e Il trapezio d’argento) e uno (Qualcuno ha bussato alla porta) nel lontano 1977 nella collana “Gialli Italiani Mondadori”. Li ripubblicherà Sellerio?
 

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