Istantanea di parolai e modaioli Antimafia

Istantanea di parolai e modaioli Antimafia

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Qualche notte fa mentre una luna che sembrava di fuoco sovrastava il velodromo di Palermo, migliaia di persone che solo pochi istanti prima ballavano, saltavano e cantavano a squarciagola, si sono fermate e sono rimaste in religioso silenzio
quando Lorenzo Cherubini,
in arte Jovanotti, a distanza di 16 anni da quando le aveva scritte, recitava queste parole: “Migliaia di ragazzi in piazza a Palermo un saluto alla bara del giudice Falcone, hanno bisogno di una risposta/ hanno bisogno di protezione. I ragazzi sono stanchi dei boss a potere; i ragazzi non possono stare a vedere, la terra sulla quale crescerà il loro frutto bruciato ed ogni ideale distrutto. I ragazzi denunciano chiunque acconsenta col proprio silenzio un'azione violenta. I ragazzi sono stanchi e sono nervosi, in nome di Dio vaffanculo ai mafiosi. I ragazzi denunciano chi guida lo stato per non essersi mai abbastanza impegnato […] per creare una via per gli uomini onesti […]” ( CUORE, 1992).

Alla fine del brano l’emozione è sfociata in un lungo applauso, intenso, forte, sincero, come l’abbraccio delle persone che ti amano veramente.
In quel momento mi sono chiesta: “Ma dalla strage di Capaci e di via D’Amelio cosa è cambiato realmente? E nella mia odiata e amata Bagheria l’antimafia attecchisce veramente?”.
Le risposte alla prima domanda potrebbero essere tantissime ma la certezza è una: quella volta la mafia, pensando di imporsi una volta per tutte nella sua ‘grandiosità’, ha agito, mossa da delirio di onnipotenza, non tenendo conto del fatto che quando rompi un argine, il fiume in cui hai navigato, pescato, nuotato per anni, ti travolgerà comunque perché ormai il danno è fatto.

Quel fiume è la coscienza civile che dopo le stragi della stagione ’92- 93 si è risvegliata da un torpore che ha attraversato i decenni tanto da sembrare un coma e che, per dirla tutta, ultimamente ogni tanto somiglia a una sorta di narcolessia di comodo.
La seconda domanda forse, pensandoci bene, è un po’ retorica. L’antimafia a Bagheria per molti è certamente una realtà di vita, un modo di essere e di comportarsi. Per altri invece è un falso credo, quello del parolaio, in cui la stoffa della divisa sociale non è fatta di legalità e trasparenza ma è cucita su misura con lo stendardo di partito. Priorità di questi individui è difendere il loro territorio, il loro orticello, ancor prima che dagli attacchi della mafia, da quelli di altre persone che con il proprio operato trasparente e disinteressato potrebbero, anche solo potenzialmente, oscurare la loro aureola di santità antimafia.

Più mi guardo intorno e più sono dell’idea che se l’antimafia qui attecchisce poco, la colpa non sia da attribuire ai bagheresi, come sostiene qualche pezzo grosso che addirittura si proclama unico e solitario paladino di legalità in una terra a suo dire sostanzialmente e irrimediabilmente mafiosa. Il fatto è che certi parolai sedicenti legalisti (che chiaramente nulla hanno a che vedere con chi fa antimafia realmente anche a rischio della propria vita), hanno tre caratteristiche salienti: sono sempre meno credibili, sempre più presenzialisti e spesso, forse per distrazione, mostrano di essere poco lungimiranti.

Se così non fosse non si spiegherebbero vicende come la lunga e indisturbata permanenza in città di boss come Provenzano, o ancora l’inquietante presenza di altri personaggi, oggi nelle fila dei cosiddetti collaboratori di giustizia, ma solo qualche anno fa conosciuti come membri “autorevoli” di note realtà territoriali e vicini alla stanza dei bottoni della cittadina. Aveva ragione Sciascia quando ne Il giorno della civetta (Einaudi, Torino, 1961) scriveva: “Tutte quelle volpi, vecchie e nuove, che stanno a sprecare il loro fiuto (...), sarebbe meglio se si mettessero ad annusare intorno alle ville, le automobili fuoriserie, le mogli, le amanti di certi funzionari e confrontare quei segni di ricchezza agli stipendi, e tirarne il giusto senso".

 L’antimafia fatta di cerimonie non serve a niente, è quello che sostengono in molti, ma si sbagliano. Si sbagliano perché dimenticano che certi parolai senza che qualcuno gli rinnovi su carta amministrativa il “mandato” con timbro di uomo/donna antimafia, di fatto resterebbero disoccupati.
Già, dopo anni di frasi fatte del tipo “bisogna fare”, “è necessario combattere”, “il clima è pesante”, probabilmente molti di loro non saprebbero che altra “professione” svolgere e da dove cominciare se un giorno (speriamo il prima possibile) il miracolo si avverasse e la mafia finalmente sprofondasse nell’abisso.
Ma chissà che nel frattempo non si manifesti anche un altro miracolo e che questi modaioli dell’antimafia non subiscano una metamorfosi aggiungendo all’arte oratoria anche quella della concretezza a favore della cittadinanza.

Magari così, oltre che sulle bandiere, sulle tessere di partito e sui cospicui compensi per la loro fumosa ‘arte’ della parola, potranno anche contare sul reale consenso dalla gente. (Non è che questa forse suona come fantascienza?).
La capacità di camaleontismo della mafia è indubbiamente una piaga sempre aperta a Bagheria.
Ma a mettere i brividi sono anche le false etichette di antimafia e il forzato riciclo di certi individui che, nonostante cambino gli equilibri e le stagioni, sono sempre li come spettri pronti a infestare il territorio.
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