In ricordo di Angelo Cali - di Angelo Gargano

In ricordo di Angelo Cali - di Angelo Gargano

cronaca
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Ora sappiamo che, se lunedì mattino quando vedemmo, e sarebbe stata l'ultima volta, Angelo Calì davanti alla sede del Comune, anziché limitarci al saluto volante comunque affettuoso, ci fossimo fermati, forse gli avremmo strappato, per consegnarli agli occhi e alla memoria, l'ultimo sorriso,

un po' sornione o l'ultima battuta, o l'ultima amara considerazione sulla politica comunale, o forse perché no? l'ultima citazione colta.

Praticamente lo conoscevo da sempre, sia pure più giovane di me di oltre un lustro, apparteneva a quella generazione di giovani studenti che ancora ai primi anni '70 consideravano lo "stratonello" il luogo ideale per quelle passeggiate lunghe e interminabili, in cui si parlava tantissimo. Di argomenti frivoli certo, calcio e ragazze, ma anche di cose serie e importanti, politica, filosofia, religione.
E quell'andare e tornare dal Bar Aurora a Piazza Palagonia, e poi via via negli anni sempre più giù sino alla Caravella, corrispondeva per noi alle passeggiate della scuola appunto "Peripatetica" di Aristotele.
Forse una delle ultime generazioni di studenti che sapeva che lo studio è duro sacrificio, che sui libri ci si doveva rompere la schiena, e che il sapere è la vera ricchezza che solo ognuno di noi si può conquistare e che nessuno ti può togliere.
Dal padre, il severo professore Isidoro Calì, preside al tempo della scuola media "C. Scianna" ha preso quel rispetto per la cultura e il sapere, quella buona educazione di cui si è quasi persa memoria, quell'integrità morale che contraddistinse tanti genitori di quel tempo, non solo professionisti, ma artigiani, commercianti, piccoli proprietari che ai figli seppero trasmette valori forti e positivi.

Poi lo ritrovammo giovanissimo neo laureato di medicina in Clinica Chirurgica, allora diretta dal professore Pietro Bazan, assieme all'altro "moschettiere" Gioacchino Castronovo (che ancora oggi patisce le conseguenze di un terribile incidente stradale accaduto due anni fa), colleghi di studio e amici inseparabili, e a noi pareva, anche complementari: Gioacchino simpaticamente e irresistibilmente ribaldo ed estroverso, Angelo  saggio e pacioso.

Da allora e per oltre venti anni li frequentai consolidando un rapporto che dal punto di vista professionale e umano mi diede tantissimo.
Ricordo ancora le lunghe chiaccherate di politica nei corridoi della Clinica Chirurgica con Angelo e Gioacchino, quasi sempre assieme, negli anni bui e terribili del terrorismo e dei governi di solidarietà nazionale.
Avevamo idee profondamente e radicalmente diverse, però si ragionava e si era reciprocamente pronti a riconoscer all'interlocutore le sue ragioni.

L'università  allora e più di oggi era in mano ai baroni, la facoltà di medicina soprattutto, e ad un certo punto pur coltivando serie aspirazioni e prospettive, si trovò a scegliere tra la gloria del titolo accademico con scarsi ritorni e la professione di medico di medicina generale, che non ti da la gloria ma ti da il pane e il companatico.

Lui scelse il pane, e ricordo che allora fu, la sua, una decisione molto sofferta: ma scelse anche secondo le sue inclinazioni, di persona portata al dialogo e al rapporto umano piuttosto che alle spericolate acrobazie cui costringono la aspirazioni verso una carriera accademica.

Poi la politica: nel 1996 con Giovanni Valentino e ed altri giovani professionisti trentenni e quarantenni di allora rappresentò l'unico serio tentativo della borghesia moderata di Bagheria di mostrare il volto migliore di sè e di avviare questa città verso un percorso di modernità.

A riguardarlo adesso non fu un periodo perso: c'era una forte tensione ideale che muoveva questi professionisti, avvocati, medici, ingegneri, insegnanti, consulenti prestati alla politica, una voglia di rinnovare, ed alcune cose importanti si fecero.
Si cercò di allentare la morsa della vecchia politica e dei poteri forti, allora fiaccati dalle inchieste, sulla amministrazione cittadina, ed il tentativo sino alla prima fase Fricano in parte riuscì.

Ed Angelo Calì sin da subito si distinse per quello che potremmo definirlo il suo tratto caratteristico: quella capacità di ascoltare le ragioni degli altri, di usare la tolleranza e l'attenzione, di essere punto di mediazione e di equilibrio.
Non era un caso che il suo nome, come abbiamo già scritto circolava, come figura di prestigio e "super partes" che avrebbe potuto rappresentare l'intero PDL nella competizione elettorale della prossima primavera.

Negli ultimi anni della politica si era disamorato: non condivideva e lo si coglieva a pelle, i toni sempre più accesi che lo scontro politica andava assumendo, e via via i suoi interventi e le sue presenze in consiglio si erano rarefatte.

Negli ultimi tempi si era intestato una battaglia: quella della lotta al randagismo e la realizzazione di un canile comunale.
Fummo testimoni dell'amarezza che lo prese allorchè la sua proposta, venne di fatto e con motivazioni pretestuose dal consiglio, rinviata "sine die". Ma quel piccolo seme non è andato disperso, perché pare che questo suo piccolo sogno di una società più civile anche nel rispetto degli animali si realizzerà.

Negli ultimi due anni i nostri incontri avevano sempre lo stesso "incipit" e, di fatto, un solo argomento: una domanda quasi muta con gli occhi, ed una risposta altrettanto muta e sconfortata.
Poi qualche tuffo nella profondità del tempo per ripescare nei brandelli di memoria un episodio, una frase, una battuta che in qualche modo sciogliesse il nodo di una presenza-assenza che dura ormai da oltre due anni.

Caro Angelo, hai concluso prematuramente la tua giornata su questa terra, hai messo a frutto i talenti che il Padrone della vigna (o la natura) ti avevano affidato, vivrai nella memoria di quanti ti abbiamo conosciuto e apprezzato, e siamo stati in tanti.

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