Bagheria come un’infanzia (14) - di Biagio Napoli

Bagheria come un’infanzia (14) - di Biagio Napoli

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1-Il duro della terra. Lo zio Francesco, il più grande dei fratelli di mio padre, lo chiamavano Cicco, u zu Ciccu. Era, come una volta si diceva, un beddru cristianu perché era alto e robusto, imponente a guardarlo.

Per i braccianti aveva una certa considerazione, ma era una cosa del tutto umana, niente a che fare con la politica. Rispetto a quegli anni però c’erano stati tempi ancora peggiori. Questo diceva e raccontava, per esempio, di quando il padrone si metteva a lavorare pure lui, puntava l’orologio, tanto era il lavoro che poteva essere fatto in mezz’ora, tanto lavoro doveva trovare dopo una giornata, ma dopo mezz’ora il padrone s’andava a fare i fatti suoi, il bracciante era una bestia che non accumulava fatica. Mezz’ora o quattordici ore, che cambiava?
Ma bisognava starci. O ci stavi o si spargeva la voce che non sapevi lavorare e potevi pure morire al freddo, perdere la casa, andare a dormire sugli scalini della chiesa o sotto l’arco e morire al freddo. Così lo zio Francesco parlava spesso del duro della vita e raccontava di quella volta che, zitu ri picca, il suocero volle provarne la forza e lo portò alla Torretta a zappare la vigna. Ma dietro gli altri non ci restò.
Tornò a casa due ore dopo che aveva fatto buio. A quei tempi era così, s’andava a piedi in campagna, anche in posti lontani come alla Torretta, si tornava a piedi in paese. Vecchi e ragazzi sul carretto, ma uno alla volta, perché alle bestie davano da mangiare quel tanto che era sufficiente a non farle morire, avevano la forza di camminare, ma non quella di tirare il carretto con sopra due persone alla volta. Vecchi e ragazzi andavano sul carretto, i grandi a piedi, tornarono dopo due ore che s’era fatto buio. A quel
tempo meglio morto che bracciante,diceva. Mangiavano per non morire, come le bestie da soma. Lo zio raccontava dunque queste cose ed era un fan di Nilla Pizzi; per lei stravedeva. Una volta venne a casa nostra, c’era il festival di Sanremo e Nilla Pizzi cantava, avevamo già la televisione e loro no, venne lo zio Ciccu e gli altri della famiglia, quattro cugine femmine avevo e due maschi, vennero tutte le sere di quel festival, io a letto non ci andavo, ricordo che stavo a terra, sotto la tavola. Per me era una festa e un gioco.

2- Al tempo dei carretti.
Mio padre nacque in campagna, a villa S. Giuliano. Nonno brasi ne era il curatolo; al conte lo avevano dato i
nobili di villa Spedalotto, vicini ed amici. Piddru, suo fratello, continuò ad essere curatolo a villa Spedalotto
e Brasi, mio nonno, lo diventò di villa S. Giuliano. Zio Piddru io l’ho conosciuto, nonno Brasi no. Della sua vicenda umana due cose so, la causa della sua morte, e un altro fatto, pure la immagino, legata alla terra e alle stagioni che la governano, ai raccolti, all’acqua che diede agli alberi, agli uomini che impiegò per zappare, potare, concimare, irrorare, raccogliere. Nonno Brasi morì di polmonite prima che io nascessi. Un mattino di gennaio, il gelo stecchiva gli uccellini, videro spuntarselo in giardino, coperto da uno scialle ma tremante di freddo. Morì dopo tre giorni. Per il gelo che gli era entrato nelle ossa e, perché, pur vecchio, voleva ancora rendersi utile. L’altro fatto. Una domenica, dopo il solito giro in giardino con il fucile in una spalla, presso il muro di cinta, un rumor di zoccoli e di ruote ferrate, il nitrito d’un animale, e lo schiocco d’una zotta e grida di donne. Bene fece nonno Brasi a non affacciarsi oltre il muro basso, perché avrebbe visto il carretto e la rapita ormai sopra di esso, una sua figlia, a terra la nonna, tornavano da messa, la trappola preparata a due passi da casa, e quel fucile in una spalla pronto a sparare. Nonno Brasi non s’affacciò e quel marito, rifiutato col buono, preso per violenza, fu per la zia il migliore del mondo. Mi battezzarono. Mi affezionai allo zio. Andavo a trovarlo spesso, d’inverno in paese, d’estate in villeggiatura, una casa avevano in campagna, proprio di fronte villa S. Giuliano, c’era la macchina dell’acqua vicino. Io non so di che parlassimo. So che mi sedevo accanto a lui e si stava molto tempo insieme. Era ammalato, un vizio cardiaco gli levava la forza di camminare, il giorno che morì ero andato da lui e me ne ero ritornato contento perché non l’avevo visto con l’ossigeno, mangiava il pane con il latte. Ora so che era stato unu ‘ntisu ai suoi tempi, un fratello tutto l’opposto, che non salutava con il buongiorno o con la buonasera, -Sia lodato Gesù Cristo-diceva, aveva nome e cognome –Sia lodato-, -oggi e sempre- rispondeva la gente.

3-
Sutta u liettu ra za Cicca,
c’è na jatta sicca sicca,
e a cu parra sa va licca.
Io sugnu figghiu ru spiziali
e pozzu ririri e parrari.


4-Il lume di Casimiro che abitava o Puzziddru. 

Era zio di mia sorella; acquisito perché, in realtà, lo era di mio cognato. Si sposò tardi e tardi era soprattutto per la moglie. Le mancarono le mestruazioni e si sentiva strana, smaniosa, aveva caldo, si sventagliava, era convinta di stare preparando, di avere la grazia di Dio dentro la sua pancia, Casimiro affittava una carrozzella e la portava sul lungomare di Aspra, per farla svariare. La gravidanza, però, non c’era mai stata, le mestruazioni se ne erano andate non perché fosse incinta ma, semplicemente, perché non era più tempo. Questo passava e la pancia non cresceva; da un certo momento in poi doveva cominciare a vedersi e nessuno la vedeva. Dovettero mettersi il cuore in pace e convincersi che sarebbero rimasti senza figli. Poi Casimiro cominciò a sembrare più pingue di quanto in realtà non fosse, perché era basso, reso pesante dai suoi anni, e perché sempre indossava un basco che faceva ancora più rotonda la sua faccia. E diventò sordo. Per farsi capire da lui, bisognava parlare alla moglie e questa riferiva gridandogli dentro un orecchio.
Ma, con lei, era lite continua ormai; per i regali delle loro nozze che lei voleva distribuire ai suoi parenti, per i soldi, per la roba che ognuno di loro possedeva. Vecchi e senza figli stavano a controllarsi pronti a fare
l’opera se ognuno di essi dava qualcosa. Casimiro una volta chiamò mia sorella perché, disse, gli era venuta in sogno la Madonna e gli aveva detto di dare un suo ricordo ad ogni nipote. Mia sorella pensò che quel sogno se lo era sicuramente inventato per la moglie e che, in realtà, voleva darle qualcosa che valesse di più di quel lume a petrolio che le diede. Probabilmente non ne ebbe il coraggio. Così mia sorella ebbe un suo ricordo, un lume a petrolio, di rame. Quella volta le disse: “Vieni a trovarmi di tanto in tanto. Non farti chiamare”. Andò spesso a trovarlo. Di suo ebbe, oltre quel lume, tante di quelle bottiglie di marsala che non sapeva più dove metterle; gliene dava una ogni volta che andava a trovarlo.

5-Ricordo di mio padre cacciatore.
Sentii un colpo, vicinissimo. Mio padre lo vidi tra gli ulivi, camminava cautamente, quasi piegato in due e
con le mani teneva il suo fucile. Lo raggiunsi. L’erba ci copriva le gambe, fino ad un palmo dal ginocchio.
-Devono esserci rimaste le penne sul ramo di quell’ulivo-disse. Ci avvicinammo così ad un albero scheletrico. Da un ramo basso prese allora un mucchietto di penne.
-Eccole. Ma lei se n’è andata!-disse.
Cercammo tuttavia tra l’erba. Le mie scarpe, poiché l’erba era bagnata, cominciarono a gemere. Mio padre aveva gli stivali di gomma. Cercammo anche oltre il viottolo, sotto il muro di cinta.
–E’ volata oltre il muro-disse mio padre. E aggiunse:-Era lontano il punto da cui ho sparato. O era lontano oppure non sono buone le mie cartucce-.
–Sarà stato troppo lontano-io dissi.
Cominciò a preoccuparsi delle mie scarpe bagnate e disse che bisognava sbrigarsi ad andare a casa. Ma vennero mio cugino Brasi e lo zio Pietro
–Dov’è?-chiese Brasi.
–Dov’è cosa?-rispose mio padre.
–Fucile noi non ne abbiamo preso, ma un colpo c’è stato-Brasi disse.
-Se n’è andata!-
–Come la beccaccia di quest’inverno?-intervenne lo zio Pietro.
-Sicuro come quella-disse Brasi.-Anch’essa era volata via. Solo che l’indomani trovammo le penne nel casotto, bene in vista.
- Mio padre rise e disse:-Domani penne non ne trovate-.
Brasi non si contentò di quello che mio padre diceva e gli cercò dentro le tasche della giacca. Non trovò nulla.
-E’ volata via!-disse mio padre.
L asciò il fucile in un angolo del casotto e ce ne andammo . Una tortora ci passò sopra la testa; per un attimo parve indecisa poi volò in alto. Mio padre, non avendo il fucile, chiuse le ultime tre dita della mano destra e ne fece una pistola. Con essa prese la mira e pam! Pam! sparò due volte, con la bocca. Dovette poi emettere aria e sparò altre due volte.

Biagio Napoli

Febbraio 2017.

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