Bagheria come un’infanzia (21) - di Biagio Napoli

Bagheria come un’infanzia (21) - di Biagio Napoli

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1-L’America. Prima che lo zio Matteo partisse, mia madre in America aveva già una sorella, la zia Francesca che là ci morì,

improvvisamente, mentre parlava al telefono. Morì prima di esaudire il grande desiderio che aveva di tornare; morì, diceva mia madre, per non poter soddisfare quel desiderio. Quelli che erano partiti per l’America erano però diventati ricchi ( così si diceva ) e, di tanto in tanto, se qualcuno tornava o faceva un viaggio, con questo mandavano dei pacchi. La zia mandava spesso dei pacchi. Mia sorella vi cercava la stoffa per confezionarsi dei vestiti. Ma erano sempre cose usate e anche fuori moda. Diventavano cannavazzi o s’usavanu pi stujari. Non mancavano quelle cravattone di mille colori che mio padre mai avrebbe messo. Una di queste la mise una volta mia madre. Fu un carnevale. Per la prima e l’ultima volta si mascherò. Si vistiu ri masculu. Indossò un abito di mio padre che, per la verità, le veniva un po’ stretto e sulla camicia appese una di quelle cravatte. Completavano l’abbigliamento una mascherina nera e un cappello. Uscì e io dovetti accompagnarla; bussò a tre o quattro porte; in ogni casa, riconoscendola, risero e le offrirono un bicchierino. Quasi si ubriacava. In una di quelle case le diedero anche una sigaretta che finse di fumare senza aspirarne il fumo. Trasgressioni consentite. Come quando, se c’era un matrimonio, indossavano i cappelli con la veletta e, in sala, si scialavano con una sigaretta. Come signore dell’alta società.

2-Al mare.
Non vado al mare da chissà quanti anni. Dico a fare i bagni e stendermi poi al sole. Forse da quando mi sono sposato. Da fidanzato si andava preferibilmente nella zona dello Sporting o, più avanti, in quella di Torre Normanna. Da adolescente andavo invece qualche volta a Fondachello, più spesso ad Aspra o a capo Zafferano. Ci andavo con uno dei miei amici di allora, Nicola era più grande di me d’un paio d’anni, aveva in casa dei pesi e si allenava. Erano i tempi in cui, ma ancora per poco, andavano di moda i forzuti, gli Ercole e i Maciste, Steve Reeves e Mark Forest, il mio amico aveva un corpo asciutto e muscoloso. Ad Aspra e a Fondachello entravamo nello stabilimento con le cabine e le passerelle di legno sui pali piantati sulla spiaggia o sull’acqua, nel fondo. Ad Aspra c’era pure una rotonda dove tenevano un bancone frigorifero per i gelati confezionati e un juke-box. Gettonavano continuamente Il mondo di Jimmy Fontana. Oppure Fred Bongusto, Una rotonda sul mare. Erano studenti, del ginnasio o del liceo, o giovanissimi universitari che affollavano la rotonda e lo stabilimento. Maschi e femmine. Noi guardavamo le ragazze nei loro costumi interi, castigati. Se il juke-box non assordava, o nei pomeriggi quando c’era meno gente, potevamo sentire il fruscio del mare sulla sabbia sotto i pali dello stabilimento; ne sentivamo l’odore nelle vecchie tavole imbevute d’acqua salata e l’aria marina trascorreva tra i pali, le passerelle, le camerette. Entrando in acqua, col mio amico, si andava lontano. Ma io non ero bravo come lui a nuotare né avevo la sua resistenza. Così,
quando eravamo proprio lontani, m’attaccavo a una sua spalla e mi lasciavo trasportare nell’acqua. Nuotava e mi trascinava. Al largo facevo il morto e ci si riposava. Se eravamo a capo Zafferano capacissimi di girare attorno al costone andando da quell’insenatura detta piscina al faro. Per il mare il mio amico aveva una vera passione; gli piaceva stare con la testa sott’acqua a guardare il fondo con la maschera. Io, invece, ne avevo paura; temevo di vedere dei mostri, esserne afferrato, trascinato giù. Al mio amico quella passione per il mare rimase. Cominciò ad immergersi, ancora si immerge, le sue immersioni sono delle vere imprese, si immerge e scrive belle pagine di mare, che impresa quella di sistemare la statua della Madonna nella secca della Formica, a Porticello, sette anni fa, in rete c’è un video commovente. Finisce con una sua preghiera. Picciriddru andavo al mare all’Olivella, in una piccola spiaggia tra un gruppo di scogli, le pietre bianche, e lo scoglio quadrato, ad esse di fronte, che appena affiorava dall’acqua. Ci andavo a piedi, in gruppo, cu l’avutri picciriddri. Lì ci andavano le famiglie la domenica, col carretto, e si portavano l’enorme camera d’aria nera della ruota d’un camion. Come salvagente.

3-
Ave Maria
Regina dei cieli e degli abissi
purifica queste acque,
proteggi la bellezza di questi luoghi
e delle creature che qui vivono.
Madre del Divino Lume
sorridi benevola ai subacquei
che a te vengono gioiosi,
e dona loro felicità e amore.
Custodisci i silenzi,
i colori, i prodigi e le magie
di questo eden ritrovato.
Madre del Tempio sommerso
rigeneraci in questo mare,
come nel grembo di una madre,
e fa che da queste azzurrità
riemergano uomini migliori. ( Nicola Tomasello )

4-Il porro.
Oltre a quella mascherata di carnevale, ma lei non era il tipo di fare queste cose, e ancora mi chiedo perché, con grandissima sorpresa di mio padre, lo avesse fatto, tra i ricordi che ho di mia madre c’è anche la cura di quel porro che mi era spuntato sotto il mento. Le mie mani erano sempre là finchè lei se ne accorse. -Che ti tocchi- mi chiese e volle vedere. Disse che conosceva una vecchia che sapeva le orazioni per far scomparire i porri. Mi portò da lei. Era tempo di melanzane e lo stesso giorno raccolse un po’ del loro liquido che mise sul mio porro. Fu così che questo scomparve.

5- Quarto ricordo di mio padre contadino.

Lo scaro si spostava da un posto all’altro, lasciando a terra le foglie verdi dei limoni, rametti e peduncoli. Dove si raccoglieva, là vicino spiricuddravanu. Più tardi venne il sensale con i cassoni vuoti. Mio padre andò da lui e lo aiutò a scaricare quei cassoni. Gli mostrò poi i limoni ammucchiati dentro il casotto e gli disse che non c’era neppure da scartarli perché una macchia non l’avevano, né rossa né nera, ed erano tutti di una misura, quella giusta. Bei limoni davvero erano; peccato doverli dare per niente! L’uomo si sistemò per terra, accanto ai limoni; cominciò a scartarli. Finirono insieme, i braccianti di raccogliere, il sensale di scartare. Davanti al casotto c’erano ora cinque o sei file di cassoni pieni. Il sensale infilò gli uncini della bilancia nei due manici di un cassone; mio padre e Brasi lo sollevarono con un bastone nodoso sotto il terzo uncino. Il sensale fece scorrere il romano sulla bilancia. -Uno- disse e lo zio Pietro, con un mozzicone di matita, scrisse trentuno su un pezzo di carta. Pesarono altri cinque cassoni e mio zio tirò la somma. Come prima aveva fatto mio padre, anche lui adesso si lamentò del prezzo dei limoni. Ma il sensale disse che al peggio non c’è mai fine e che i magazzini, da un giorno all’altro, potevano anche non volerne più limoni e allora i proprietari se li potevano pure spremere. Quando finirono di pesare tutti i cassoni, li sistemarono sopra il carretto, li attaccarono con le corde ed il sensale se ne andò. Restarono davanti al casotto, seduti per terra, a lamentarsi delle cose che andavano male.

Biagio Napoli

Maggio 2017.