Un ricordo di Renato Guttuso- di Franco Lo Piparo

Un ricordo di Renato Guttuso- di Franco Lo Piparo

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Renato Guttuso è nato il 26 dicembre 1911, oggi compirebbe 110 anni.

Lo ricordo pubblicando il discorso che il 12 gennaio 1985, su incarico del sindaco Antonio Gargano, feci in Consiglio comunale in occasione del conferimento della cittadinanza onoraria.

La fotografia. Nella fila in alto a partire da sinistra: Nino Buttitta, Renato Guttuso, Antonio Gargano, una persona che non so identificare, Maurizio Calvesi (Università di Roma, secondo relatore), il sottoscritto, Romolo Carnevale.

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Signor Sindaco, signori assessori, signori consiglieri, autorità, amici che che avete voluto partecipare con la vostra presenza a questa importante cerimonia, Renato carissimo,

il rito laico che il Consiglio comunale di Bagheria sta qui celebrando – è giusto riconoscerlo e la stampa l’ha già messo in evidenza – ha un aspetto insolito e un po’ paradossale: a Renato Guttuso, in tutto il mondo conosciuto come il pittore nato a Bagheria, al pittore non bagherese ma bagarioto (come ama definirsi in privato Guttuso), al pittore che è tanto intriso di bagheritudine da avere più volte dichiarato: «Bagheria me la porto addosso» (“Il Giorno”, ottobre 1959), il Comune di Bagheria decide di conferire la cittadinanza onoraria.

I fatti sono noti e la stampa ne ha già parlato: anche se Renato Guttuso è nato a Bagheria e qui è vissuto ininterrottamente fino all’età di diciotto anni, il padre Gioacchino, per motivi che non riusciamo a bene ricostruire, preferì dichiarare la nascita del figlio al comune di Palermo. Oggi, a 73 anni di distanza, il Comune di Bagheria legalizza per così dire una situazione di fatto, se ha commesso nel lontano passato qualche errore chiede in qualche modo simbolicamente scusa a Gioacchino Guttuso e ribattezza civilmente e sul piano dell’ufficialità formale il figlio Renato come bagherese.

Ma il significato di questa cerimonia non può essere ristretto dentro i confini di un atto dovuto e riparatore. Dobbiamo invece interrogarci su che cosa vuol dire per Bagheria e per la Sicilia intera ribadire ad alta voce, in questo particolare e difficile momento storico, non tanto la sicilianità di Renato quanto soprattutto il suo particolare modo bagarioto di vivere la sicilianità. Perché non basta dire che qualcuno è siciliano. Siciliani si può essere in tanti modi. È sul modo bagarioto e guttusiano di essere siciliani che vorrei qui svolgere qualche riflessione.

La Sicilia non è mai stata (e non lo è neanche adesso) una terra culturalmente, economicamente e paesaggisticamente omogenea. Negli anni in cui Renato nasce e riceve la prima formazione (grosso modo gli anni Dieci, Venti e Trenta: Guttuso si stabilisce definitivamente a Roma nel 1937) esistono almeno due Sicilie: la Sicilia del latifondo e del feudo da una parte, la Sicilia della vite e soprattutto degli agrumi dall’altra.

Le due Sicilie vivono l’una accanto all’altra ma sono culturalmente incomparabili. La prima è la la Sicilia della proprietà assenteista e della rendita agraria; la seconda è segnata dalla presenza di una diffusa borghesia attiva e imprenditrice il cui nucleo principale è formato da professionisti e da piccoli e medi proprietari disposti a sfruttare tutte le astuzie umane e tecnologiche per produrre ricchezza. La prima è una Sicilia chiusa in se stessa e diffidente del nuovo; la seconda è una Sicilia inserita nel mercato mondiale: gli agrumi siciliani già nella seconda metà dell’Ottocento vengono esportati più in Europa e in America che nel resto d’Italia.

Purtroppo la letteratura meridionalistica, di destra e di sinistra, ha appiattito tutta la Sicilia sull’immagine del latifondo e della proprietà assenteista col risultato che ci ritroviamo con schemi storiografici, diventati anche di senso comune e operanti anche nel dibattito politico, che sono veri e propri impedimentiu a capire la vitalità dell’altra Sicilia, della Sicilia borghese e europea. Mi riferisco all’immagine gentiliana della Sicilia sequestrata dal resto del mondo e all’altra più popolare ma più nefasta della Sicilia gattopardiana sempre identica a se stessa e ostile a ogni cambiamento che non sia un falso cambiamento.

La radicale diversità paesaggistica e antropologica delle due Sicilie potete apprezzarla confrontando il Paesaggio di Bagheria (1951, collezione Carollo) e il Paese del latifondo sicialiano dipinto nel 1956.

Nel Paesaggio di Bagheria le case linde e ordinate sono chiaramente separate le une dalle altre (segno questo di sano e robusto individualismo borghese), alla perferia del centro abitato si vedono stabilimenti industriali e una ciminiera (altro segno di laboriosità e intraprendenza). Il paese è circondato dalla ordinata campagna degli agrumi e dal mare: il mare nella calma con cui è rappresentato non dà l’impressione di essere una barriera rispetto al mondo ma piuttosto funziona da tramite col resto del mondo. Diversamente da quanto pensano Gentile e Sciascia, il mare nella storia dell’umanità non è elemento di isolamento ma di traffici commerciali e culturali. Sono le montagne semmai che isolano. La insularità culturale non bisognerebbe cercarla nelle isole ma nelle regioni montagnose. Anche se nel quadro nessuna figura umana è rapresentata, si sente che dentro le case e per le strade vive gente laboriosa e con un intenso rapporto di dare ad avere col resto del mondo.

Il significato complessivo del Paese del latifondo siciliano (1956) è esattamente opposto: le case sono informi e indistinguibili le une dalle altre. Il centro abitato, circondato dal giallo informe del latifondo, dà l’impressione di

contenere una umanità questa volta realmente isolata dal resto del mondo e chiusa dentro le case ad aspettare fatalisticamente da secoli qualcosa che non verrà mai.

Non si potevano rappresentare meglio le due Sicilie. Le due opere, anche se le separano cinque anni, andrebbero viste sempre l’una accanto all’altra. La loro contemporanea visione contribuuisce al superamento degli schemi logori e alla lunga pericolosi della letteratura meridionalistica.

Renato Guttuso ha avuto la fortuna di nascere in una delle capitali della Sicilia degli agrumi. Ma cosa significa diventare siciliani non nella Sicilia del latifondo ma nella Sicilia degli agrumi? Vuol dire anzitutto vivere in un mondo aperto e non chiuso, in un mondo inserito nel mercato mondiale delle merci e delle idee, partecipare a una intensa circolazione di idee e di uomini, acquisire naturalmente un forma mentis non campanilistica.

Nino Buttitta ha pubblicato l’anno scorso uno straordinario volume (Dove fiorisce il limone, Sellerio) in cui sono raccolti disegni e locandine pubblicitarie che gli agrumai usavano per confezionare (“impaccare” – si diceva nella mia famiglia) i limoni che venivano esportati. Sono documenti fondamentali per capire la nostra storia: molte di queste stampe, e tra le più belle, provengono da Bagheria e risalgono agli anni Dieci-Trenta, gli anni della fanciullezza e adolescenza di Renato. Nella maggior parte di esse le didascalie non sono scritte in italiano ma in inglese e in francese: segno linguistico anche questo di apertura culturale. Nella “Casa della cultura” di Bagheria, di cui parte importante era Gioacchino Guttuso, si insegnavano le lingue straniere: «segnatamente l’inglese – tanto necessario ai nostri emigranti» (Guida di Bagheria e Solunto, p. 39).

Una locandina degli anni Dieci può aiutarci a capire perché Renato Guttuso, siciliano ed europeo (tra i due termini non c’è contraddizione ma profonda sintonia), non poteva che nascere in una delle capitali degli agrumi. La locandina è dell’azienda “Lo Cicero Brothers”. Alla sinistra è raffigurato monte Pellegrino, alla destra uno dei primi grattacieli di New York. Monte Pellegrino e New York, collegati da un mare pieno di piroscafi, sono tenuti insieme dalle lunghe gambe di un signore in bombetta e bastone con un ramo di limone in mano.L’immagine è sovrastata dalla scritta: From Palermo to America. Notate non Fron Italy o From Sicily ma From Palermo. Una città in relazione con un intero continente. È tra i più bei simboli della vocazione internazionale della Sicilia degli agrumi. Tutte le stampe del libro sono una involontaria epopea della Sicilia borghese e mercantile.

Il mondo della cultura e delle professioni partecipa di qusto spirito mercantile e internazionale. Il Comune di Bagheria ha opportunamente ristampato, con una prefazione di Giuseppe Speciale, la Guida illustrata di Bagheria e di Solunto pubblicata nel 1911 da un gruppo di professionisti bagheresi, tra cui anche Gioacchino Guttuso Fasulo, il padre di Renato. Anche

questo è un documento importante per capire il nostro Renato e quello che ho chiamato il modo bagarioto di essere siciliani.

Leggete il capitolo Glorie siciliane. Le scarne e succinte biografie che vi sono contenute ci consegnano tutta una serie di intellettuali e professionisti che girano continuamente per l’Europa e il mondo: esattamente come gli agrumi. Francesco Scaduto, la figura più rappresentativa, il celebre storico del diritto ecclesiastico, si laurea in lettere e storia a Firenze, perfeziona gli studi in Gernania, trascorre gli anni 1883 e 1884 tra Parigi e Londra, insegna nelle Università di Plaermo, Napoli e Roma. Giuseppe Cirincione, oculista, compie parte degli studi alla Facoltàò medica di Parigi, si perfeziona facendo la spola tra Università francesi e tedesche. Michele Pavone, altro medico universitario, si laurea a Napoli e si perfeziona a Parigi presso l’Istituto “Pasteur” di Parigi. Eccetera eccetera. Sono tutti quanti nati a cavallo degli anni Sessanta dell’Ottocento e sono della stessa generazione di Gioacchino Guttuso.

In questa Sicilia laica, intraprendente e mercantile, posseduta dal gusto dell’avventura e del rischio e con una forte vocazione a conquistare e aggredire il mondo, nasce Renato Guttuso. Non deve perciò stupire se il giovanissimo Guttuso a soli 19 anni (nel 1931) partecipa con successo alla sua prima mostra non siciliana e se nel 1934 (Renato ha 22 anni), in una mostra alla Galleria milanese del Milione, i suoi quadri, insieme a quelli di Lia Pasqualino, vengono salutati da Edoardo Persico come un segno di cultura pittorica europea da contrapporre al nazionalismo del regime fascista. Non deve stupire perché chi nasce nella Sicilia degli agrumi forse ha qualche difficoltà ad essere italiano, ma si sente immediatamente e con naturalezza cittadino europeo.

La Sicilia laica ed europea, rurale ma non ruralista, Renato la vive in famiglia attraverso la figura paterna. Guardate il famoso quadro che viene dedicato a Gioacchino Guttuso agrimensore in occasione del centenario della nascita (1966). Come è rappresentato il padre? In campagna mentre maneggia uno strumento tecnico (il teodolite). Gli elementi iconografici non sono mai casuali nella grande pittura. Campagna e tecnologia sono per l’appunto il binomio sociologico della Sicilia dell’infanzia e dell’adolescenza in cui Renato tramite il padre si forma.

La Sicilia degli agrumi è fatta anche di tensioni e di cadute, la sua storia possiede, accanto a quelle luminose dell’avventura mercantile e dell’uso delle tecnologie, anche pagine nere. L’immagine di Gioacchino Guttuso agronomo va letta insieme ad ad altre opere dello stesso anno connesse, direttamente o indirettamente, con Bagheria. La piana di Bagheria: teschio e limone, ad esempio, è un’opera tristissima e angosciosa: l’agrumeto convive con un simbolo di morte (il teschio); il colore dominante è il nero; il giallo sornione della buccia del limone accresce la tristezza dell’insieme. Nello stesso anno Renato dipinge un delitto di mafia di cui è testimone un bambino (lo stesso Guttuso, a quanto pare):

Io lo vi. Sempre nello stesso anno, altra opera tristissima: La Sicilia è un’isola. La Sicilia è qui circondata da donne che piangono scomposte alla maniera meridionale, da un morto ammazzato e da un killer. Il male cupo che circonda l’isola è adesso un elemento di effettivo isolamento.

La Sicilia degli agrumi di Renato si sdoppia in due Sicilie. La Sicilia di Gioacchino Guttuso agrimensore è la Sicilia della speranza, la Sicilia mercantile della borghesia intraprendente e della intellettualità laica che non accetta chiusure ideologiche di nessuna Chiesa; le altre opere sono la Sicilia della delusione, del risentimento e della sfasatura tra speranza e realtà. Con le due anime contraddittorie della Sicilia degli agrumi continuiamo ancora a fare i conti.

Caro Renato, nel lontano 1939, nel numero che la rivista “Selvaggio” ti dedicava interamente, tu scrivesti: «Se io potessi, per una attenzione del Padreterno, scegliere un momento della storia e un mestiere, sceglierei questo tempo e il mestiere del pittore». Accettando oggi di ricevere la cittadinanza di Bagheria, mi piace pensare che, a quasi mezzo secolo di distanza, tu possa completare quella dichiarazione aggiungendo che, se per una attenzione del Padreterno avessi potuto scegliere il luogo della tua nascita, avresti scelto Bagheria.

Renato carissimo, a nome della Bagheria laica e intraprendente, a nome della Bagheria illuminista e europea, a nome della Bagheria che lotta contro le mafie di ogni colore, a nome della Bagheria di Gioacchino Guttuso, ti ringrazio.

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