Renato Guttuso: mi sento in colpa di “essere comunista”- di Ezio Pagano

Renato Guttuso: mi sento in colpa di “essere comunista”- di Ezio Pagano

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 ”Ognuno è quello che fa, non quello che dice di essere”.

In un esclusivo salotto di Palermo, con gente altolocata ed eccessivo consumo di spumante, responsabile di una disinibita performance erotica “fuori programma”, il moralista di turno disse: ”Ognuno è quello che fa, non quello che dice di essere”.

Renato Guttuso che dopo aver rincorso per anni e con bramosia l’onnipotenza, dopo essere diventato ricco e famoso, fissò la sua dimora a Roma, nella reggia di Palazzo del Grillo, a due passi dai Fori Imperiali. Qui, sulle orme del marchese del Grillo ci lascia affastellati misteri, che solo nel lungo tempo, o forse mai, potranno essere svelati.
Il suo “io” gli fece ostentare la ricchezza, e per questo furono sempre meno i compagni comunisti che lo considerarono uno di loro. D’altronde, lui stesso si sentiva in colpa per i suoi privilegi, compresa la ricchezza, che provava a giustificare con motivazioni che non stavano né in cielo né in terra e non convincendo nessuno, nemmeno sé stesso.
Io, Guttuso l’ho conosciuto e posso assicurare che era soddisfatto del suo status: faceva il pittore per passione e amava le donne per appagare il senso del piacere; in entrambi i casi sfoderava i suoi meriti, sapendo che non erano pochi: infatti era affascinante e intelligente, giovane e arguto.
Quando lavorava era disinvolto, sia se faceva il pittore o il professore, il critico d’arte o lo scrittore, il poeta o il politico, insomma, era un tuttologo, anche se negli ultimi tempi si dedicò esclusivamente alla pittura, quello che sapeva fare meglio e gli piaceva di più.
Come politico si definiva comunista, e infatti aveva la tessera del Partito, ma non aveva ideali comunisti, pur essendo stato fedele al partito, del quale aveva creato persino il logo. Ciò nonostante, conduceva una vita da capitalista. Si professava ateo, ma i suoi sentimenti erano cristiani: insomma, la contraddittorietà albergava in lui come preludio a un nuovo libro della sua biografia.
Furbo il nostro Renato: l’enigma del comunista/non comunista e dell’ateo/credente, l’ha lasciato a noi comuni mortali.
Le sue donne, gli amici, tutti quelli che lo circondavamo d’affetto avevamo imparato ad amarlo così com’era, ad eccezione di chi aveva nell’anima un raro senso di coerenza che non lasciavano spazio al sentimento, come potevano essere Sciascia, Vittorini o Levi.

Conoscere queste storie, assieme a quelle già raccontate e quelle che andrò a raccontare, mi sembra utile, ovviamente non la pensa così un mio amico troskista, che sotto mentite spoglie mi consiglia di cambiare registro. Sapere che Guttuso non era un uomo integerrimo e che già da vivo veniva considerato un dio pagano, aiuterà a comprendere meglio la sua opera e ad essere certi che, tra corsi e ricorsi, il profilo umano e artistico del Maestro dovrà essere riscritto, perché ”Ognuno è quello che fa, non quello che dice di essere”.

 Foto: Renato Guttuso ed Ezio Pagano negli anni Ottanta.

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