Assolto dall'accusa di falso il bagherese Antonio D'Amico

Assolto dall'accusa di falso il bagherese Antonio D'Amico

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Non ci fu alcuna falsificazione degli atti e il finanziamento pubblico di quasi 200 mila euro erogato ad un'azienda agricola fu quindi regolare.

A sabilirlo è stato giudice della quinta sezione del tribunale monocratico, Salvatore Flaccovio, che ha deciso di assolvere "perché il fatto non sussiste" un dirigente e una dipendente dell'Ispettorato provinciale dell'agricoltura di Palermo, nonché un'imprenditrice e suo figlio che erano tutti finiti a processo a gennaio del 2020 con l'accusa di falso. La sentenza è stata emessa qualche mese fa e ora - non essendo stata impugnata - è diventata definitiva. Lo riporta la giornalista Sandra Figliuolo in un articoilo apparso su Palermotoday.it

Il giudice, nello specifico, ha scagionato il dirigente dell'Ipa, il bagherese  Antonio Cosimo D'Amico (difeso dall'avvocato Velio Sprio), l'impiegata Angela Fazzari (difesa dall'avvocato Enrico Sanseverino), l'anziana titolare di un'azienda agricola con sede a Petralia Sottana, Agata Ferlito, e il figlio, Antonio Cappuzzo (entrambi difesi dall'avvocato Sergio Monaco). La Procura aveva invece chiesto condanne a 4 anni ciascuno per i dipendenti pubblici, e a 3 anni per gli altri due imputati. Secondo il giudice però non ci fu alcun imbroglio nella presentazione della domanda all'Ipa per ottenere 199.950 euro nell'ambito del Programma di sviluppo rurale 2007-2013 e per realizzare un agricampeggio a Tre Fontane, a Campobello di Mazara.

La vicenda al centro del processo risale quasi a dieci anni fa, quando la ditta di Ferlito consegnò l'istanza all'Ipa nel giorno in cui era fissato il termine ultimo, il 22 aprile 2014. Ed è proprio sui tempi di consegna - avvenuti secondo l'accusa oltre la data prevista - che ruotava la contestazione. Durante le indagini della guardia di finanza, partite da un esposto anonimo su presunte irregolarità nel rilascio di concessioni edilizie da parte del Comune di Campobello di Mazara, era infatti spuntata proprio la domanda di Ferlito, sulla quale c'erano due marche da bollo da 16 euro con la data del 22 aprile 2014 e l'orario delle 17.21. Per gli inquirenti sarebbe stato dunque impossibile che il documento fosse stato consegnato agli uffici dell'Ipa entro l'orario di chiusura (le 14) - vista la distanza tra Campobello e Palermo - e per questo si era ipotizzato che gli atti fossero stati falsificati per agevolare l'azienda.

Le difese hanno però fornito una ricostruzione alternativa che il giudice ha ritenuto "non solo ugualmente possibile rispetto a quella in contestazione, ma addirittura più coerente con le prove emerse nel corso del dibattimento": le informazioni necessarie per compilare il documento erano state infatti fornite per telefono da Cappuzzo ad un cugino (che è stato sentito come testimone) che si trovava con l'anziana imprenditrice a Petralia Sottana e che aveva compilato la domanda, si era messo in macchina e aveva raggiunto l'Ipa di Palermo prima che chiudesse.

Come ricostruito durante il dibattimento, il Comune di Campobello aveva rilasciato alle 13 del 22 aprile 2014 la concessione edilizia alla ditta di Ferlito e l'impiegato che aveva redatto l'atto (sentito pure lui come testimone) ha spiegato di aver concluso l'operazione dopo le 15. E' stato lo stesso imputato Cappuzzo a spiegare al giudice che quel giorno, l'ultimo utile per poter accedere a quel finanziamento "mi sono recato al Comune di Campobello per la concessione e come immaginavo le cose sono andate un po' per le lunghe. Mi hanno comunicato il numero della concessione, che era il numero 8, e io prontamente ho comunicato a mio cugino il numero. Così lui si è recato nei termini al deposito della cantierabilità negli uffici dell'Ipa. La copia della concessione mi è stata rilasciata nel tardo pomeriggio e mi sono premutato di portarla all'Ipa il giorno successivo". Il giudice rimarca che l'orario di consegna "nel tardo pomeriggio" è "coerente con l'orario riportato sulle due marche da bollo, 17.21".

L'impiegata Fazzari ha precisato che "non reintrava tra le sue mansioni esaminare il contenuto degli atti, dovendo semplicemente attestare il loro deposito e consegnarli al direttore D'Amico" e ha specificato che "la protocollazione degli atti aveniva il giorno seguente". A sua volta D'Amico ha riferito che "il ritardo nella produzione degli allegati non rappresentava un problema, poiché era prassi dell'Ipa concedere una proroga alle ditte nel caso in cui il ritardo non fosse dipeso direttamente da loro, considerate le lunghe tempistiche degli uffici comunali". Inoltre, come sottolinea il giudice nella sentenza ormai definitiva gli imputati dell'Ipa non avrebbero "avuto interessi personali nell'attestare il falso", non avendo non solo alcun legame tra loro, ma neppure con gli imprenditori.

 

 

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