Cronaca

Beni per un valore complessivo di 5 milioni di euro sono stati confiscati al boss Benedetto Capizzi, 71 anni, reggente del mandamento di Villagrazia e Santa Maria di Gesù finito in carcere nell’operazione Perseo del 2008.

Si tratta di una villa a tre elevazioni fuori terra, residenza dello stesso e del proprio nucleo familiare, già sequestrata che sarebbe stata intestata, secondo le indagini dei militari ad prestanome compiacente.

Le indagini patrimoniali, condotte dai carabinieri, sono iniziate nel corso dell’operazione “Perseo” che nel dicembre del 2008 porto all’arresto di 99 persone, molte delle quali ritenuti ai vertici di Cosa Nostra. Dagli accertamenti emerse che Benedetto Capizzi dal carcere, dopo due condanne all’ergastolo nel 2006 e del 2008, continuava non solo ad essere il reggente del mandamento di Villagrazia – Santa Maria di Gesù, ma aveva anche l’intenzione, assieme al bagherese Pino Scaduto, e dopo gli arresti di Salvatore e Sandro Lo Piccolo, di ricostituire la Commissione Provinciale di “Cosa Nostra” .

In alcune delle intercettazioni Benedetto Capizzi impartiva le direttive per la gestione della famiglia ed al figlio raccomandava: “Se qualcuno vuole alzare la “cricchia” se la cali perché ci lascia la pelle, chiaro?…Pugno duro, hai capito? Pugno duro con tutti!”.

La volontà di una ricostituzione della 'cupol' di cosa nostra emerge chiaramente da un brano di   conversazione in un summit di mafia tra Giovanni Adelfio, Giuseppe Scaduto e Sandro Capizzi, in occasione della quale, secondo gli accordi presi dallo Scaduto con Benedetto Capizzi, venivano definiti alcuni tra gli aspetti salienti della Commissione Provinciale di “Cosa Nostra”: “…all’ultimo ci sediamo e cerchiamo di fare una specie di Commissione all’antica…cinque, sei, otto cristiani come si faceva una volta e quindi la responsabilità se dobbiamo fare una cosa ce l’assumiamo tutti”.
 

Erano le 4-4-30 della prima mattinata di ieri mercoledì, allorchè gli uomini di una pattuglia della KSM, hanno notato sulla strada sulla S.S. 113, in vicinanza del Domina Coral Bay, già Hotel Zagarella, la sagoma di un uomo per terra; fermatisi e avvicinatisi hanno visto che si trattava di un uomo con vistosi ematomi al volto, traumi in tutto il corpo ed in evidente stato confusionale.

Hanno immediatamente chiamato il 118 e l'uomo, immediatamente portato all'Ospedale 'Civico', è stato successivamente identificato per M.F., di 43 anni, medico del Rizzoli-SantaTeresa, che abita da solo in una villetta poco distante dal luogo in cui è stato ritrovato.

Il ferito ha raccontato in maniera confusa e palesemente sotto choc che era stato aggredito e rapinato in casa da sconosciuti, quattro o cinque individui, che gli avrebbero poi sottratto gioielli e denaro e che lo avrebbero successivamente legato; riuscito a liberarsi sarebbe corso in strada a chiedere aiuto.

La Polizia che sta seguendo il caso sta cercando di approfondire le circostanze della rapina e dell'aggressione durata una quindicina di minuti , durante la quale,  pare anche che i malviventi abbiano alla vittima estorto i PIN delle carte di credito.

Il medico che presentava oltre che ferite al volto, anche fratture alla mandibola e alle costole è stato successivamente ricoverato presso la Clinica Rizzoli- Santa Teresa dove presta attualmente servizio.

La Polizia, che ha trovato effettivamente a soqquadro l'abitazione dell'uomo,  sta cercando di ricostruire quanto realmente accaduto attraverso il racconto sia pure confuso della vittima dell'aggressione, e di chiarire però anche alcuni lati oscuri della ricostruzione.

Si cerca di capire cioè se ci siano stati oltre a quelli della rapina altri moventi.

La Procura si avvia a chiedere il rinvio a giudizio per gli arrestati nell' Operazione Reset che nel giugno dello scorso anno ha di fatto azzerato il mandamento mafioso che faceva capo a Bagheria, di cui fanno parte i territori da Altavilla a Villabate: furono 28 gli arrestati per i quali furono formulate una serie di accuse dall'associone mafiosa ai reati di danneggiamentoe e di estorsione: in particolare furono individuati alcuni di quelli che secondo la Procura erano a capo del Mandamento a partire da Giuseppe Di Fiore e Nicola Greco, fratello del boss detenuto Leonardo, che nella ricostruzione delle indagini veniva considerato 'a testa i l'acqua' e cioè il capo indiscusso: tale tesi non fu, secondo il Tribunale del riesame, sufficientemente suffragata da riscontri probatori e l'accusa nei confronti di Greco venne derubricata; mafioso sì ma non capo dei capi.

Due imputati che hanno cominciato un percorso di collaborazione con la giustizia, Benito Morsicato e Salvatore Lo Piparo, hanno visto stralciata la loro posizione.

Anche nei confronti di Francesco Pipia, poi scarcerato, furono considerati insufficienti i riscontri, mentre a Carlo Guttadauro furono concessi i domiciliari per gravi motivi di salute.

Alcuni degli imputati hanno ottenuto nel frattempo gli arresti domiciliari, e tra questi, Francesco Raspanti, cui però sono stati successivamente sequestrati i beni.

Andranno a processo Carlo Guttadauro, Francesco Pipia, Giorgio Provenzano, Giovanni Pietro Flamia, Giovanni Di Salvo, Nicolò Lipari, Francesco Pretesti, Francesco Raspanti, Francesco Speciale, Francesco Terranova, Giovanni La Rosa, Fabio Messicati Vitale, Bartolomeo Militello, Giuseppe Comparetto, Atanasio Ugo Leonforte, Emanuele Cecala, Michele Modica, Pietro Lo Coco, Andrea Lombardo, Leonardo Granà, Vincenzo Maccarone, Carmelo Nasta, Paolo Salvatore Ribaudo, Giovan Battista Rizzo, Giovanni Salvatore Romano e Salvatore Buglisi.

Un grosso contributo alla individuazione delle vecchie e nuove leve di mafia avevano dato i pentiti bagheresi Sergio Flamia e più di recente Nino Zarcone,  il geometra di Altavilla M. Vincenzo Gennaro, e il ficarazzese Stefano Lo Verso.

Tra i capi di accusa 44 episodi di estorsioni accertate, che sono state confermate da ben 22 commercianti e imprenditori.


 

I Carabinieri della Compagnia di Bagheria hanno condotto alle prime ore del mattino una operazione antimafia per l’esecuzione di 2 provvedimenti cautelari emessi dall’Ufficio del GIP del Tribunale di Termini Imerese a carico di altrettanti soggetti responsabili di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso.

L’operazione è l’epilogo di una complessa attività investigativa sviluppata dallo scorso mese di luglio dai carabinieri della Compagnia Carabinieri di Bagheria sotto la direzione della Procura della Repubblica di Termini Imerese.

Le attività investigative hanno preso le mosse da due attentati incendiari commessi in danno di un commerciante, registrati a Bagheria a luglio e agosto 2014. Il modus operandi adottato, consistente nell’utilizzo di benzina mediante cui irrorare le saracinesche dell’attività commerciale, per appiccare gli incendi dolosi del negozio, era indice di un’unica strategia, caratterizzata da ferocia ed estrema spregiudicatezza nonché da una profonda conoscenza del territorio, il cui controllo appare efficace e serrato: parimenti evidente la matrice di tipo mafioso, con finalità intimidatoria ed estorsiva.

In data 12/08/2014, una ditta di rivendita di macchine agricole pativa l’incendio della saracinesca del proprio esercizio commerciale. Già il precedente 19/07/2014 la ditta aveva patito analogo danneggiamento, sempre ad opera di due ignoti che avevano provato ad appiccare le fiamme al suddetto esercizio commerciale. Il titolare in sede di denuncia dichiarava di non aver mai ricevuto richieste estorsive di alcun genere.

Le indagini hanno consentito di identificare gli autori dell’incendio del 12/08/2014 e di contestualizzare la condotta nell’ambito della criminalità mafiosa. Si tratta di CALIFANO Gianluca, 22enne bagherese, e BENIGNO Salvatore, anch’egli di 22 anni e di Bagheria, i quali durante l’atto intimidatorio venivano investiti dalle fiamme, riportando delle ustioni agli arti.

Le indagini, che si sono articolate in attività tecnica e di analisi dei filmati tratti dai sistemi di videosorveglianza e nell’analisi dei tabulati telefonici; in attività investigative mirate e, ancora, in interventi di perquisizione e controllo sui soggetti identificati come responsabili, proseguono per l’identificazione dei presunti “mandanti” della tentata estorsione.

È emerso inoltre come il commerciante, vittima degli attentati, in realtà, giorni prima degli incendi era stato avvicinato da una persona collegata con soggetti inseriti nella locale famiglia mafiosa. Ciò ha comportato il trasferimento del procedimento alla DDA di Palermo.

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 Benigno Salvatore                                           Califano Gianluca

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