Cronaca

 

L'ing. G.M., già dirigente dell'Ufficio Tecnico del nostro Comune, è stato fermato intorno alle due di questo pomeriggio dai Carabinieri di Bagheria: in questo momento si trova presso la locale caserma dei CC, nello stato giuridico di 'fermato'.

Nessuno sinora conosce quali siano le motivazioni e le cause che stanno alla base di questo provvedimento giudiziario, che pare sia stato disposto per 'accertamenti'. In base alle nostre informazioni non sono in corso operazioni di controllo presso gli uffici comunali. Qualora dovessero emergere altre informazioni le daremo tempestivamente ai cittadini.

L'ingegnere G.M.  è in forza al Comune di Bagheria da circa venti anni e dopo avere ininterrottamente ricoperto il ruolo di dirigente dell'Ufficio tecnico e per un lungo periodo anche quello della sezione urbanistica, di recente nella interscambiabilità degli incarichi apicali praticata dal sindaco  Lo Meo, é stato destinato a dirigere il II Settore, che comprende Pubblica istruzione, Sport, Turismo e spettacolo, Solidarietà sociale ecc.... 

 

 

Secondo notizie sinora ufficiose, il fermo giudiziario del responsabile del II Settore del Comune di Bagheria, ingegnere G.M., sarebbe stato trasformato in arresto.

Restiamo ovviamente in attesa di un comunicato ufficiale dell'Arma dei Carabinieri per fornirvi ulteriori dettagli e per conoscere le motivazioni del provvedimento, che non è ancora chiaro, se sia da mettere in relazione con l'attività che Mercadante svolge presso il comune di Bagheria.

AGGIORNAMENTO Ulteriori dettagli sono emersi, anche se ufficiosi, circa le modalità e i motivi dell'arresto del funzionario comunale. Secondo informazioni da noi raccolte, l'ingegnere è stato fermato intorno alle 14 di oggi nei pressi di via Mattarella con indosso una busta contenente seimila euro (c'è chi dice tremila), somma che i Carabinieri sospettano sia il frutto di un reato di concussione nei confronti di una azienda che opera nel settore dei servizi sociali, settore curato dal mese di gennaio di quest'anno proprio dall'ingegnere G. M. , oppure di una  'tangente' per un grosso pagamento per servizi o beni forniti da una impresa al  comune e la cui liquidazione sarebbe avvenuta in questi giorni, a cura proprio del settore di bilancio e di ragioneria generale, anche questi sotto la competenza dello stesso G.M.

 Gli inquirenti intendono comunque  accertare a che titolo G.M. abbia ricevuto questa dazione di denaro. Nel consiglio comunale che si sta svolgendo stasera, c'è naturalmente grande sconcerto tra i consiglieri, che  cadono dalle nuvole.

Spremere i fondi del Ciapi era un gioco da ragazzi. A Faustino Giacchetto, il re della pubblicità in Sicilia, bastò produrre una montagna di carta straccia.

Ovvero, migliaia di fatture false, per servizi mai effettuati e prodotti mai consegnatiAdesso che l'indagine della Procura di Palermo è stata chiusa, è possibile quantificare la montagna dell'imbroglio: 10 milioni 990 mila 516, 11 euro.

A tanto ammontano le fatture per operazioni inesistenti quantificate dal nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza. Così spiegano i magistrati nell'avviso di chiusura delle indagini: "Queste fatture emesse nei confronti del Ciapi venivano rendicontate ai fini dell'erogazione dei contributi pubblici concessi dalla Regione Siciliana". Ma quelle fatture false servivano anche per abbattere i redditi conseguiti dalle società del gruppo Giacchetto e di conseguenza anche l'Iva da versare all'erario.

Naturalmente, Giacchetto non si sporcava le mani. A firmare i documenti erano tre fidati imprenditori: Angelo Vitale, Pietro Messina e Massimiliano Sala.

Ecco la girandola delle società e delle relative fatture false, così come emerge dagli ultimi rapporti del nucleo Tutela spesa pubblica della Guardia di finanza: "Sicily Comunication srl" (2 milioni 196 mila 807, 93 euro di fatture false), "Media Center & Managment srl" (2 milioni 183 mila 132,93 euro), "Effemmerre group 007 srl" (2 milioni 564 mila 288,21 euro), "Effemmerre team srl" (81 mila 600 euro), "Strategie di comunicazione di Messina Pietro" (1 milione 982 mila 343,52 euro), "Filmax di Sala Massimiliano" (409 mila 740 euro).

Ma non bastavano le fatture false. Per trasferire a Giacchetto consistenti somme di denaro provenienti dal Ciapi, Vitale simulava poi alcune operazioni immobiliari. Dietro quella montagna di fatture false, ci sono soprattutto le storie degli imprenditori fidati di Giacchetto: in poco tempo, erano diventati anche loro dei piccoli ras della pubblicità in Sicilia. "Grazie ai lavori che passava Giacchetto", ha ammesso Pietro Messina nel suo interrogatorio davanti al gip Luigi Petrucci. E l'ha detto con un tono tale da far scattare una domanda da parte del pubblico ministero Maurizio Agnello: "Lei sta ancora oggi mostrando una sorta di riconoscenza nei confronti di Giacchetto, era pienamente consapevole del fatto che faceva parte di un sistema illecito?"

La risposta di Messina non è stata proprio immediata. Perché Giacchetto amava atteggiarsi a grande benefattore. E la montagna di fatture false era un rischio da correre, perché per ogni documento gli imprenditori della galassia Giacchetto beneficiavano di una percentuale. Alla fine, Messina, è stato uno dei primi ad ammettere il maxi raggiro delle fatture false. E le sue dichiarazioni hanno guidato gli inquirenti nel sistema architettato da Faustino Giacchetto. Naturalmente, il regista della truffa aveva pensato anche all'eventualità peggiore. Così ha spiegato Messina: "Mi aveva dato istruzioni nel caso in cui la Finanza mi avesse chiamato".

Ma giustificare così tante fatture false era davvero opera ardua. E alla fine, il sistema è saltato. Anche perché al Ciapi non c'era più nessuno disposto a giustificare le false pezze d'appoggio. E' bastato guardare dentro la macchina dell'ente di formazione per scoprire che i tanto sbandierati (e costosi) progetti di pubblicità dei corsi di formazione non si sono mai fatti. Nonostante quello che appariva dalle fatture. 

tratto da Repubblica.it

Un duro colpo al patrimonio riconducibile a Matteo Messina Denaro ed alla famiglia mafiosa di Campobello di Mazara è stato inferto dai Carabinieri del R.O.S. e dal Comando provinciale di Trapani che, questa mattina hanno dato esecuzione al provvedimento emesso dal Tribunale di Trapani, su proposta della Direzione investigativa antimafia di Palermo.

Il sequestro, per un volume complessivo di circa 38 milioni di euro, completa un percorso investigativo che, dopo avere portato all'arresto degli esponenti di spicco dell'organizzazione criminale, ha contestualmente individuato un ingente patrimonio accumulato dal sodalizio, comprendente aziende olearie, attività commerciali, abitazioni, terreni e numerosi rapporti bancari.

L'intervento si è concentrato sulle province di Trapani, Varese e Milano, colpendo il patrimonio riconducibile agli esponenti mafiosi Filippo Greco, Simone Mangiaracina e Vito Signorello, nonchè quello degli imprenditori Antnino Moceri e Antonio Francesco Tancredi, arrestati il 12.12.2011 per associazione mafiosa e fittizia intestazione di beni aggravata dall'art. 7 della legge 356/92.In tale ambito, le indagini avevavno documentato gli assetti e le attività criminali della famiglia mafiosa di Campobello di Mazara, storicamente tra le più attive del mandamento di Castelvetrano (TP), della quale erano state accertate la composizione organica e le dinamiche inetrne, con particolare riferimento alla conflittualità tra gli schieramenti riconducibili rispettivamente a Leonardo Bonafede e Francesco Luppino.In tale contesto era emerso come Luppino, forte del sostegno ricevuto da Matteo Messina Denaro, avesse cercato di ampliare il proprio poetre all'interno della organizzazione criminale, con l'obiettivo di contendere al Bonafede la leadership della famiglia campobellese.

Gli accertamenti patrimoniali hanno, pertanto; evidenziato le modalità di controllo delle attività economiche eproduttive del territorio da parte dell'organizzazione attraverso la gestione occulta di società ed imprese in grado di monopolizzare il remunerativo mercato olivicolo ed il settore dell'edilizia pubblica e privata, oltre ad individuare l'entità del patrimonio occulto dei prestanome della famiglia campobellese.

L'attività ha consentito inoltre di delineare l'asse economico, alimentato con conferimenti di 'sospetta provenienza' nel settore imprenditoriale, mediante l'acquisizione di due strutture industriali ed importanti oleifici a Campobello di Mazara e immobiliare, con la realizzazione di fabbricatia d uso privato e vasti terreni ubicati nel trapanese e nella provincia di Varese.L'indagine patrimoniale accertava infatti la riconducibilità alla famiglia mafiosa di Campobello di Mazara degli oleifici della Moceri Antonino e C. s.r.l. e dell'Eurofarida s.r.l. che il capomafia Leonardo Bonafede, già nel 1993, aveva intestato fittiziamente agli imprenditori Antonino Tancredi e Antonino Moceri, al fine di sottrarli al provvedimento aalativo successivo alla sua condanna per associazione mafiosa.

In tale contesto, è stato anche documentato come le casse sociali delle due aziende fossero alimentate costantemente con flussi di denaro di provenienza illecita per rappresentare  un  florido stato patrimoniale strumentale all’ottenimento di finanziamenti pubblici. le somme così accantonate venivano utilizzate per commissionare importanti lavori alle imprese riconducibili al noto Rosario Cascio, emanazione imprenditoriale del latitante Matteo Messina Denaro.

Il sequestro ha riguardato inoltre il compendio patrimoniale di filippo greco, già titolare di società immobiliari e di costruzioni nella provincia di Varese, e principale finanziatore della famiglia mafiosa di Campobello di Mazara, che sosteneva attraverso costanti dazioni di danaro a favore degli associati detenuti ed alle imprese riconducibili alla consorteria.

Il predetto Greco era inoltre l’imprenditore di fiducia di Francesco Luppino, allorquando quest’ultimo costituiva il referente di Matteo Messina Denaro nel periodo in cui cosa nostra palermitana stava tentando di ricostruire la commissione provinciale.le acquisizioni investigative avevano permesso di documentare la presenza di conti svizzeri cifrati riconducibili allo stesso Greco ed emersi nel corso dell’attivita’ d’indagine.gli accertamenti bancari delegati dalla D.D.a. di Palermo a carico del nucleo familiare di Cataldo La Rosa, arrestato per associazione mafiosa nel medesimo procedimento, hanno rivelato un risarcimento, destinato alle vittime della mafia, di € 2.000.000,00 erogato dal Ministero dell’ interno e risultato indebitamente percepito dagli eredi di Salvatore Stallone, cognato dello stesso La Rosa, ucciso a Campobello di Mazara negli anni ’80.

Gli approfondimenti delegati al R.O.S. ed ai Carabinieri di Trapani dall’autorita’ giudiziaria hanno permesso di accertare la vera caratura criminale di Stallone e di inquadrare la sua eliminazione nel contesto di una guerra di mafia, le acquisizioni investigative emerse sono state poste all’attenzione del ministero degli interni, che ha proceduto alla revoca del beneficio economico concesso disponendo il conseguente recupero delle somme.in definitiva, nell’ambito dell’intervento ricompreso a pieno titolo nella complessiva manovra investigativa condotta dal R.O.S. e dal Comando provinciale dei carabinieri di Trapani, finalizzata alla ricerca di Matteo Messina Denaro, è stato disposto dal tribunale di trapani il sequestro di 2 strutture industriali, 4 società attive nel settore olivicolo, 181 immobili, tra cui ville, appartamenti, magazzini e terreni agricoli, 20 autovetture, nonché 43 rapporti bancari e 5 polizze assicurative. 

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