'Ore 18 in punto', se la Morte manca i suoi appuntamenti…- di Maurizio Padovano

'Ore 18 in punto', se la Morte manca i suoi appuntamenti…- di Maurizio Padovano

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Non so se perché da considerarsi un frutto virtuoso della crisi o se perchè celebrazione del cinema come opera collettiva, ma il film di Pippo Gigliorosso "Ore 18 in punto" (da giovedì 12 giugno anche al Supercinema) appare un miracolo al pari della recente vittoria elettorale del Movimento 5 stelle a Bagheriopoli. 

Lungometraggio indipendente (interamente prodotto dal cast artistico e tecnico e co-prodotto da 1000 "volontari" che hanno acquistato 18 cm di pellicola a testa al costo di un biglietto, 7€), applauditissimo al TaorminaFilmFestival, "Ore 18 in punto" è un'apprezzabile favola d'amore che gioca con intelligenza con gli stilemi del genere (Amor vincit omnia) riuscendo ad affrancarsi (nonostante la zavorra del low cost), con leggerezza - grazie a una gestione del set cinematografico che ha molto, pure in alcune scelte di fotografia, di teatrale - da qualche calo di tensione narrativa.

Non fosse per l’ambientazione ultraterrena dell’incipit, si direbbe che l’idea originaria del film abbia linfa stevensoniana (Il club dei suicidi). Il racconto infatti ha inizio in un al di là immaginato in maniera quasi kafkiana, come un politburo in cui particolari angeli custodi (tra i quali il protagonista, Paride Benassai) si curano di assistere il trapasso dei suicidi. Un elegante impiegato in abito bianco e copricapo rosso, Paride anche nella finzione filmica, esegue con abnegazione da travet, appena velata da una certa strafottenza, il suo ufficio fin quando un giorno il suicidio di un clochard – previsto per le 18 in punto – non ha corso. La morte, incredibilmente, si inceppa come la pistola del più sgamato dei sicari da B-movie. Il morente viene distolto dall’autoimpiccaggione – nella sontuosa scenografia naturale dei Ficus Microphylla o Magnoliodes del giardino Garibaldi di Palermo – dal trillo opportuno di un cellulare.

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Da qui si dipana una storia intrecciata – quella di Paride, travet dei suicidi, e quella di Nicola, barbone salvato dall’amore – attorno a un unico filo conduttore: quello di due personaggi, l’angelo e il barbone, che in maniera diversa si riappropriano dell’umanità perduta. Nicola (interpretato da Salvo Piparo) lo vediamo affrancarsi dalla sua condizione di marginalità grazie all’amore (un Eros che inceppa la perfetta macchina di Thanatos, in barba alle più consolidate aspettative dello spettatore e alle regole del dramma classico); Paride, l’angelo che assiste i suicidi, con un atto finale di ribellione sceglierà ( in questo forse c’è un’eco del Bruno Ganz che ne Il cielo sopra Berlino di Wenders, film ispirato alle Elegie duinesi di Rilke, abbandona la propria scomoda eternità contemplativa per farsi uomo tra gli uomini, mortale ma vivo) il Paradiso autentico, che è la vita pienamente vissuta nella relazione con l’altro e con il mondo, qui e ora. Questo, in sintesi, il plot al quale non giova – almeno incerti passaggi – il racconto, involontariamente caricaturale e manicheo, del mondo dei diseredati (troppo vicino il ricordo dei Magi randagi di Citti).

La marginalità non è facile da raccontare (soprattutto a Palermo, dopo il racconto apocalittico che ne hanno fatto Ciprì e Maresco), come dimostra il personaggio di Duchessa (Valentina Gebbia) - che nell'abbigliamento ricorda le sculture di carta e di materiale riciclato di Anna Maria Tosini ( forse un omaggio all’artista outsider recentemente celebrata da una mostra all’Orto Botanico di Palermo, non a caso set di alcune importanti scene del film).

Il film, encomiabile da tanti punti di vista, si avvale – ed è una delle note più significative - della colonna sonora del maestro baàrioto Francesco Di Fiore, la cui musica è un tappeto volante di suoni che sostiene in alto il racconto filmico anche nei momenti meno dinamici. Alla sua partitura ha prestato l’inconfondibile violoncello, con la consueta generosità, Giovanni Sollima.

Il film, come è facile prevedere, non si avvarrà di alcuna struttura di comunicazione istituzionale: nessuna presentazione nei talk show nazionali o nei TG. Tranne che il passaparola, anche mediatico, al quale vogliamo contribuire con questa breve nota, non sortisca un ulteriore miracolo.

Maurizio Padovano 

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