Il nostro 'camino' de Santiago IV Puntata - di Michelangelo Testa

Il nostro 'camino' de Santiago IV Puntata - di Michelangelo Testa

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La strada è bellissima, uno sterrato desolato che ogni tanto sale, ogni tanto sale assai, ma in questo caso uniamo le forze e saliamo a piedi: l'importante è andare! é bello arrivare in cima e voltarsi. vediamo arrivare un ragazzo sulla bici, è riuscito a superare la pendenza senza scendere a piedi, ma paga con la rottura di un pedale.

Dino è dei nostri, mentre Ivan e Sonia sono davanti. Ci buttiamo in discese lunghissime nel sole a picco, e raggiungiamo Ittero entrando da un ponte sul fiume. è questa la tappa che ho amato di più, forse perché vi posso concentrare le sensazioni dell'intero viaggio, il sole, i colori, i suoni, lo spazio...
Giunti come già detto ad Ittero, andiamo a fare la spesa per il pranzo con Dino, mentre Sonia e Ivan continuano…

Il paese pare vuoto! Veniamo presto a sapere che tutti sono in Chiesa per un battesimo (cosa che ad Ittero avviene ogni 4/5 anni); ci dirigiamo così verso la chiesa, arrivando mentre escono: è usanza augurale che i genitori del battezzato offrano delle caramellos agli astanti lanciandole per aria, ma ciò che colpisce è la foga con la quale la popolazione si “proietti” sulle disiate leccornie; e dire che la maggior parte degli abitanti è avanti con gli anni e con seri problemi a curvare la schiena…; le risate sono in questi casi un obbligo, specie osservando come gli anzianotti si prodighino ad aiutare le pulzelle….

La nostra bella comparsa la facciamo durante il pranzo: ci sistemiamo infatti nel portico di un edificio, accanto ad una fontana; tagliando il pane, sbucciando la frutta…facciamo “muddrichi”; insomma facciamo un casino per terra; Dopo un po’ vediamo arrivare la processione dei festaioli…che si fermano davanti a noi. Che bello, penso! E restando seduto tra i resti del pasto appena consumato, scatto qualche foto …ma loro non si muovono più: restano fermi davanti a noi, che riusciamo a capire solo dopo tempo che …abbiamo banchettato nel loro portico e loro, battezzato in testa, non possono entrare in casa.

La cosa allucinante è che passandoci davanti si scusano del disturbo, Spagnoli Zapateristi!
Dopo pranzo do una guardata alla bici di Dino: non è messa tanto bene: si è allentato un po’ tutto. La cosa che mi sorprende sono i freni di plastica…”come fa a frenare!”.

Dino ad ogni modo riparte prima di noi. Salutiamo anche lui, prevedendo che non lo rincontreremo. Durante la siesta (di tipo “dormiente” per Claudia) faccio un po’ di manutenzione alle bici: i portapacchi sono un po’ allentati, le catene sono secche. Un ragazzo che abita lì vicino mi offre dell’olio e la sua simpatia: è un maniaco di minimoto: ne ha sei, e ci corre da matto.

Ripartiamo controvento e controvoglia. Siamo stanchi e abbiamo bisogno di riposare.
La strada è sempre uno sterrato quasi piatto, con qualche saliscendi.
Passiamo da Boadilla del Camino dove entro in un bar a comprare qualcosa da bere…il paese è vuoto e nel bar ci sono solo uomini…
altGiriamo intorno alla chiesa – centro del paese e riprendiamo il camino. La strada diventa sassosa e il tremolizzo ci stressa i polsi ed il … culo. Pedaliamo accanto ad un fiume. Qui ci fermiamo ad aiutare due bikers in difficoltà con una ruota (non hanno una pompa!). la strada “sul” fiume termina con l’attraversamento di una chiusa.

Oggi Claudia non ne vuole sapere di fermarsi, ed alla fine saranno 76 i Km percorsi.
Fromista, Villarmenteros e Carrion de los Condes “passano” ad alta velocità: la voglia di fermarci “ci” spinge ad andare più forte; il desiderio di riposare mi fa pedalare oltre i miei limiti. Claudia si aiuta aggrappandosi alla mia spalla ed io tiro me e lei. Arriviamo così a Carrion: ho le gambe che sono diventate di legno; un ragazzo ci accompagna dal Convento / Albergue dove due suore ci sistemano per la notte.

La doccia mi restituisce le energie. Siamo “arrivati”! l’atmosfera nello stanzone è bella. Rincontriamo due tizi olandesi che ci avevano superato sulla strada per Carrion, solo che loro sono andati fuori strada, noi abbiamo chiesto info e siamo riusciti ad accorciare.
Usciamo a fare due passi, ed in un giardino, stesi nell’erba, consumiamo la nostra cena…è stata una giornata dura.

Torniamo presto al convento e facciamo amicizia con degli spagnoli, uno dei due inizia la notte martellandosi il torace mentre ascolta musica in cuffie. Pazzo, lucente, schizzato pellegrino spagnolo. Ma viene la notte, la notte calma; ed il sonno si adagia nel letto, portandosi seco i miei pensieri. Dormo, pesante, ma la mattina arriva troppo presto: nel buio i pellegrini a piedi si preparano ed escono, ma fanno rumore e svegliano tutti, anche quelli che vogliono dormire. Ci ho provato a farli silenziare, ma con l’unico effetto che diventando più cauti, fanno ancora più rumore.

Ci alziamo per ultimi e ripartiamo per ultimi. La giornata è bella, fresca e pulita.

Un nuovo giorno ci aspetta e noi gli andiamo incontro. La strada è piatta, più precisamente è un lungo dritto sentiero pieno di pietre da evitare; ma molto pedalabile. Già nella prima ora superiamo tutti i pellegrini a piedi: in pianura la bici equivale ad un aereo.
Andiamo…muoversi è la vita che ti scorre dentro. Siamo, nel movimento, al piano estatico dell’essere. Qui non ci sono vuoti, ci siamo solo noi. Pedalando cerchiamo di stare attenti a dove passano le nostre ruote (l’unico gommoso contatto con la terra): il peso delle bici è rilevante, anche se abbiamo l’essenziale; e basta una pietra per spaccare un copertone.
I primi 20 km passano in fretta e ci fermiamo a fare colazione a Calzadilla de la Cueza, nell’unico bar aperto. La giornata è soleggiata ma è solo arrivati al bar che decidiamo di alleggerire l’abbigliamento.
Il paesaggio è bellissimo e ci sono pochissime persone ora in giro. Proseguiamo tratto dopo tratto e a pranzo siamo a Sahagun. Entriamo in paese assieme ad una coppia (padre/figlio) che è pure “sul” cammino, ma per divorarlo con l’unico obiettivo di esserne alla fine divorati. Ci tengono a farci sapere quanti km hanno percorso con le loro bici da bitume. Non vediamo l’ora di perderli.

Fatta la spesa in un supermercato andiamo a cercare un posto alberato per desinare…lo troviamo poco lontano, nella parte bassa del paese: un ritaglio di verde nella città di cemento, proprio accanto ai resti di una chiesa romanica come tante ve ne sono.

Ci caliamo tutto e ci mettiamo subito a riposare avendo cura di stendere la biancheria. Ma a me oggi non mi va di stare fermo. Ho voglia di viaggiare, e finisco col convincere Claudia a ripartire subito. Usciamo da Sahagun sotto un sole cocente, ma il mio esperimento dura meno di 15km, e siamo costretti a fermarci: Claudia è “arrivata”, si stende, si addormenta; io la seguo a ruota.
A svegliarmi è il richiamo di una ragazza, “no, sto sognando!”, invece è tanto vera quanto bella, alla guida di una jeep viaggia lungo il cammino per dare una mano ai pellegrini in difficoltà.
altRipartiamo nel pomeriggio: ci aspetta il paese fantasma di El Burgo Ranero. Non c’è anima viva (ma dove sono tutti?). Pedaliamo nel silenzio tra case basse e decorate a fiori…

Ad un tratto scorgiamo una chiesa, l’unico edificio con la porta aperta; entriamo sospinti dalla curiosità e all’interno, dopo qualche istante, si materializza una ragazza immersa, manco a dirlo, in un religioso silenzio: non ci rivolge la parola e solo quando lasciamo la chiesa si prodiga in un saluto sforzato.

Il tratto successivo è davvero impegnativo se non altro per il caldo: raggiungiamo due pellegrini a piedi in piena crisi, tanto che hanno difficoltà pure ad accettare il nostro aiuto che si presenta sotto forma di acqua; li forziamo a bere dalle nostre borracce: a piedi è fondamentale programmare bene le tappe in funzione delle proprie risorse, sbagliare si paga a caro prezzo.

La strada corre veloce e pare perdersi in un orizzonte piatto e lontano. Ogni tanto un cambiamento di pendenza ci ricorda che non stiamo sognando, liberandoci da un torpore mentale che annebbia i sensi: ma anche questo è “cammino”.

Arriviamo nel tardo pomeriggio a Mansilla de las mulas, ma nell’albergue ci viene detto che non c’è posto letto: ci accolliamo di dormire nella lavanderia assieme ad altri due bicipellegrini spagnoli. Preso posto a terra ci rendiamo conto delle nostre “tristi” condizioni, ma è solo dopo essere usciti nei corridoi che notiamo che a terra prendono posto quelli arrivati dopo di noi, e la nostra tristezza diventa “fortuna”.

Dopo la doccia ci mettiamo a passeggiare per il paese: c’è una festa e c’è pure una gara per l’auto meglio elaborata; è miele per i miei neuroni: mi avvicino con fare interessato al vincitore e gli dico di essere particolarmente affascinato dallo sviluppo del suo concetto di “carretto siciliano ad Altavilla Milizia” che si concretizza nell’elaborazione di una automobile dai colori sgargianti. Gli chiedo se ha parenti ad Altavilla, lui nega ma a me resta il dubbio.

Andiamo a cenare in un ristorante accanto all’albergue, e la cucina è al solito deliziosa e abbondante. La sera ci vediamo con i bikers con i quali condividiamo la lavanderia: sono ciclisti di professione.
La notte è dura stesi sul pavimento a sentire la resistenza elettrica del grosso boiler in funzione, ci vuole poco a staccare la spina…(che riattacco la mattina dopo). La sera inizia a tirare vento. Siamo a 20 km da Leon e abbiamo superato la metà del cammino.

La notte giunge veloce e ci abbraccia mentre riposiamo dentro i nostri saccoletti. Domani è un altro giorno.
 

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