A proposito della cresima negata in Cattedrale al figlio di Graviano - di Tommaso Impellitteri

A proposito della cresima negata in Cattedrale al figlio di Graviano - di Tommaso Impellitteri

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Confesso che l’intervento di don F.sco Michele Stabile sulla vicenda della Cresima negata in Cattedrale ad un parente dei Graviano, pubblicato sul quotidiano la Repubblica del 25 Nov. u. s., ed. Palermo, mi ha spinto, da un lato, ad interrogare me stesso come credente (per la scelta legata all’essere, appunto, credente); dall’altro, ad interrogare la stessa comunità locale dei credenti, la Chiesa locale in cui mi ritrovo.

Mi piace riportare i vari passaggi dell’intervento, intervallati, di seguito, dalle mie brevi riflessioni.  

Scrive don Stabile:
- Il confronto di opinioni sul divieto della Curia palermitana di celebrare in cattedrale il sacramento della Cresima del figlio di Giuseppe Graviano, mandante della uccisione di don Pino Puglisi, è divenuto occasione di una riflessione che coinvolge la Comunità ecclesiale, ma anche la società civile……….

Credo possa essere importante proporre il confronto di opinioni in ambito più diretto e circoscritto quale quello della comunità ecclesiale e della società civile bagheresi. Con ben 11 parrocchie e con molti giovani presbiteri, il confronto non potrebbe che essere positivo, anche per una sostenuta necessità di una specifica pastorale verso i “mafiosi” e verso quanti si ritrovano all’interno di quel mondo, sia nella dimensione familiare sia in quella sociale, per una conversione di fede.

 

- Tante volte abbiamo chiesto una riflessione comunitaria per elaborare una linea pastorale verso i mafiosi per una conversione di fede. Sono consapevole delle difficoltà e delle sensibilità diverse. Abbiamo fatto una esperienza di queste difficoltà quando scoppiò il caso Aglieri che aveva un altare dove alcuni preti andavano a celebrare messa. E non credo che fosse una modalità accettabile di annunzio del vangelo.

Quanto prima detto si coniuga benissimo con quanto espresso da don Stabile in tale passaggio. Pare, infatti, che questa riflessione (.. per via delle difficoltà e sensibilità diverse ..) non sia stata ancora fatta almeno secondo modalità chiare e condivise, perciò ‘accettabili’, al fine di potere annunziare il vangelo attraverso un’ adeguata pastorale capace di suscitare un cammino di autentica conversione.

- Ora questo intervento della Curia apre una nuova discussione che ritengo preziosa. L’arcivescovo ha voluto prevenire altre polemiche dopo il caso della processione a Ballarò o dei funerali al boss della Zisa dove era coinvolta una congregazione.

È sempre auspicabile che da parte della Chiesa soprattutto locale vi siano interventi sia per rendere sempre chiaro come coniugare il messaggio evangelico, con fedeltà e coerenza, con la realtà, sia per contribuire a far diventare più “adulta” la fede dei credenti.
Predisporre interventi solo per prevenire polemiche non può che apparire molto riduttivo e non affatto condivisibile atteso che, per la complessità della realtà, le polemiche nasceranno sempre .

alt- Al di là della motivazione della Curia per giustificare questo divieto su cui si sono appuntate riserve e critiche cioè la presenza in cattedrale della tomba del beato Puglisi, a me pare rilevante che possa servire a uscire da un certo letargo della coscienza religiosa che in questi ultimi tempi è sembrata distratta sul fronte dalla mafia. Il motivo per cui ho dichiarato di essere favorevole a questo intervento della Curia è che non possiamo far finta che non sia successo niente come se il martirio di Puglisi fosse già archiviato con il giro di una reliquia per le parrocchie della diocesi. Non dobbiamo dimenticare infatti che ci sono stati lunghi periodi di silenzio della chiesa sulla realtà mafiosa, che sono stati amministrati sacramenti, e continuiamo ad amministrare sacramenti, per pura tradizione senza chiedere una vera adesione di fede a Gesù Cristo e al suo vangelo. Il silenzio in questo caso avrebbe lasciato che tutto andasse come sempre è andato e cioè che ognuno nella chiesa ci sta a modo suo.

I punti sottolineati da don Francesco sco sono estremamente forti e significativi sotto gli aspetti prettamente di fede e di vera testimonianza del proprio credo, in questo caso del Vangelo, in qualche modo ritenuti più rilevanti della motivazione della ubicazione della tomba … anche se questa motivazione rimanda alla sensibilità (direi quasi alla necessità) umana nei confronti dei defunti e dei luoghi ove ‘riposano’. È innegabile, infatti, che come esseri umani abbiamo in qualche modo bisogno (sensibilità o fragilità umana) anche di un riferimento ‘fisico-ubicazionale’ del nostro defunto, pur consapevoli che il mistero della morte e della vita (in tutt’uno) è ben altro e non definibile. Il riferimento fisico, ossia la tomba, diventa perciò ‘sacro’ ossia degno di ‘rispetto’, di rispetto anche del ‘senso’ della vita spesa dallo stesso defunto. Avvertiamo come esseri umani il bisogno e la necessità di ‘entrare in punta di piedi’ in tale ‘spazio sacro’.

E l’entrare in punta di piedi deve tradursi in comportamenti manifesti adeguati. Se, dunque, in questo caso la cresima (ma ciò vale per tutti gli altri sacramenti) impone segni manifesti e consapevoli di conversione e impegno, ancor di più così deve essere se lo si manifesta in certi luoghi pregni di significato sociale e religioso quale la tomba di don Puglisi.

Letargo della coscienza religiosa – rischio di martirio archiviato – periodi di silenzio sulla realtà mafiosa– con quel dissacrante modo e convinzione di potere stare entro la Chiesa ognuno a modo suo !

Sono aspetti molto gravi che non possono non impegnare seriamente e consapevolmente l’espressione concreta e costante della nostra fede.
E’ più facile ‘archiviare’ che compromettersi partendo proprio da ciò che si vorrebbe archiviare. E si può archiviare in tantissimi modi sia con riti (che rischiano di restare pure formalità) sia con comportamenti che scaricano su altri i compiti che spettano a ciascun credente. E con l’ “archivio” si accompagnano il silenzio .. il letargo …

altLa maturità dell’uomo d’oggi, del credente d’oggi immerso nelle vicissitudini quotidiane locali e mondiali, indica chiaramente che, a differenza del passato, non sono e non possono essere né le reliquie in giro né i riti sacramentali, molto spesso privi (nel credente) del senso di fede comunitaria, a metterci il cuore in pace nella quasi totale passività di comodo; come se essi, reliquie e riti, possono da soli (vista la nostra piena e passiva delega al Signore!) fare il miracolo di vincere il male; quando al contrario è proprio l’impegno quotidiano e la relativa ‘compromissione’ contro tutto ciò che costituisce il male per la persona a fare il miracolo del bene che dal Signore ci viene richiesto.

Impegnarsi direttamente è un ritornare alle origini: Gesù Cristo fu ammazzato perché, stando fuori in strada tra e con le persone, si comprometteva per attuare il bene nella difesa degli indifesi. È stato ammazzato perché a lui importava ogni singola persona, non si faceva i “fatti suoi”, non si costruiva una nicchia o una torre entro cui rinchiudersi e starsene al sicuro …. incensando a destra e manca … e operava nel riferimento costante a quel Padre, il cui Tempio liberò dai mercanti senza mezze misure … Altro che (lasciar) star dentro ognuno a modo suo!

- Non sono giudice dell’itinerario di preparazione che i ragazzi che dovevano ricevere la Cresima in cattedrale hanno fatto. Certo la Cresima è per un battezzato una scelta di campo, una testimonianza del vangelo come quella che ha portato Puglisi a non tirarsi indietro di fronte alla violenza mafiosa. Nel caso del ragazzo figlio di un boss mafioso e mandante della morte di Puglisi non sarebbe stato opportuno verificare se il ricevere la Cresima era accompagnato da una adesione piena al vangelo di Cristo che Puglisi predicava, da una presa di distanza esplicita dal mondo mafioso?

Ovviamente la domanda molto forte e pregna di significato è rivolta, da un lato, ai formatori che in tutti i modi devono stare attenti a non rivestire la misericordia di Dio di ritualità rassicuranti negli esclusivi termini di non compromissione con atti forti e manifesti; dall’altro e per gli stessi motivi, è rivolta a tutti i credenti.
Come credenti, infatti, siamo e vogliamo davvero essere consapevoli e coerenti con la scelta di campo indicata?
E, senza pretendere affatto di dovere essere tutti martiri, è davvero impossibile esprimere in maniera forte e manifesta una presa di distanza dal mondo mafioso e dalla sua in-cultura?
Come credenti, se non rispondiamo innanzitutto, in prima persona e a noi stessi a questi interrogativi, non possiamo esprimere alcun valida considerazione circa la questione in esame; anzi, non dobbiamo esprimerla perché sarebbe ipocrita, ambigua o un semplice pour parlèr.

- Vero è che i figli non devono pagare gli errori dei padri, ma questo figlio non gode di privilegi economici, scuola di livello, che altri ragazzi non possono permettersi, perché figlio di chi ha fatto soldi in modo discutibile?

In questo interrogativo è contenuta una modalità chiara e manifesta di presa di distanza dal mondo mafioso: la disponibilità alla restituzione del maltolto! Certo è facile a dirsi ed estremamente complicato a farsi, per i tanti intuibili aspetti che intervengono. E però, quanto meno una chiara ed esplicita e manifesta dichiarazione sarebbe fondamentale, importantissima e sarebbe in coerenza col Vangelo di cui, con la cresima, così come per altri sacramenti, si diventa testimoni!

- Sono anch’io d’accordo che ci vuole misericordia e accoglienza, ma non si sarebbe risolto subito il problema se la famiglia e il ragazzo, conoscendo la motivazione della Curia, avessero posto un gesto, una parola di riconoscimento del martirio di Puglisi per mano di mafia e così iniziare un cammino di vera riconciliazione ? Padre Francesco Michele Stabile

Pur comprendendo la sensibilità e il rispetto di un sentire umano che può stare dietro la “.. motivazione della Curia”, nonché la nostra fragilità e le oggettive condizioni del nostro contesto sia religioso sia sociale, sento la necessità di rimarcare che proprio la scelta di campo che comporta, in questo caso, la cresima, dovrebbe essere la motivazione fondamentale perché pubblicamente, da un lato, sia la famiglia sia il cresimando esprimano intanto una parola di riconoscimento del martirio di Puglisi per mano di mafia, per iniziare così un cammino di vera riconciliazione che potrà comportare, nei tempi e nelle modalità più opportune in difesa della integrità delle stesse persone, la restituzione del maltolto; e, dall’altro lato, venga così avvertito come necessario, per una fede che sia veramente vissuta in termini comunitari, da parte dei credenti tutti.

Come credenti non si può perciò non essere disponibili, al fine di contrastare il “letargo” delle coscienza religiosa, l’archiviazione di comportamenti concreti di testimonianza evangelica, il silenzio specie sulla mafia di noi credenti quale Chiesa, il poter vivere all’interno della Chiesa ognuno a modo suo, ad individuare comunitariamente, intanto nella chiesa locale bagherese, uno specifico percorso per far tesoro di questo avvenimento, per un approfondimento comune che possa aiutare a divenire sempre più credenti “adulti”.

Tommaso Impellitteri
 

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