La Bagheria degli arrivi-di B. Napoli

La Bagheria degli arrivi-di B. Napoli

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C’è una Bagheria della letteratura e degli arrivi. Scrive Dacia Maraini: “Bagheria l’ho vista per la prima volta nel ’47.

Venivo da Palermo dove ero arrivata con la nave da Napoli…”. Al porto la famiglia Maraini prenderà una carrozza che, percorrendo la strada del mare, oltrepassata Ficarazzi, giungerà a Bagheria bassa, all’incrocio della ferrovia, e si fermerà davanti al passaggio a livello chiuso.

Il cavallo, dopo tutti quei chilometri e denutrito com’era, non ce la farà ad affrontare la salita, perciò faranno a piedi il corso Butera per riprendere la carrozza una volta giunti in piazza Madrice.

Quando scriverà Bagheria, dopo almeno quattro decenni da quell’arrivo, Dacia Maraini ricorderà  soprattutto lo scandalo dei pantaloni larghi da viaggio della madre Topazia ( dove mai s’era vista in paese una donna con i pantaloni? ) e le donne in nero, perennemente a lutto, per i loro uomini ( “per la morte del padre: sette anni di lutto; per la morte di un fratello: tre anni di lutto; per la morte del marito: lutto a vita” ).

La scrittrice non ha che undici anni quando arriva a Bagheria; nel racconto che ne farà da adulta o descrive un arrivo da romanzo o è un altro arrivo perché il padre Fosco lo racconterà in modo totalmente differente.

Scrive infatti Fosco Maraini come il suocero, il vecchio duca di Salaparuta, “in qualche modo miracoloso  era riuscito a far giungere al porto di Palermo…un’auto di rimessa pilotata da tal Pilade Ciolino che lavorava spesso per  l’azienda famigliare dei vini. Pilade…caricò bagagli e figlie sul vetusto veicolo, e poi avanti per Acqua dei Corsari, per Ficarazzi, in direzione di Bagheria” e fino a Villa Valguarnera dove la macchina “sputazzando benzina mal carburata…sbucò sul vasto piazzale detto, in famiglia, “delle cinque principesse”.

Certo la condizione della donna durante quegli anni, a Bagheria, era di particolare arretratezza; ma quel viaggio, visto con la mente e con gli occhi di una persona adulta, non dovette essere così epico e così ricco di notazioni sociologiche  se, invece che in carrozza e poi a piedi, si svolse in un’auto e, per giunta, in quale auto. E allora, dei due, chi è che bara?

Pochi anni dopo ( 1951 ) giunge a Bagheria Carlo Levi; mostrando, a differenza della Maraini, d’essere interessato ad altro, scriverà: “Entrando a Bagheria sui lati della strada vedemmo dei carri rovesciati a pancia in su…Erano carri in costruzione, davanti all’antica bottega di una vecchia famiglia di illustri pittori di carri, i fratelli Ducato fu Michele.

Sulla porta incrostata di strati di colore come una tavolozza abbandonata, stava scritto, forse per moderno influsso dei tempi, “Ducato Bros-pictures”…Uno dei padroni era intento a dipingere, su un’ottima imprimitura ad olio, un pannello con una scena di battaglia tra Bradamante e Dama Rovenza con splendidi colori tradizionali, il vermiglio, il giallo, il verde e l’azzurro.

Dappertutto, nella bottega stavano sportelli e pannelli, e casse di fuso intagliate con San Giorgio, coi ferramenti e gli arabeschi, e chiavi scolpite col Bambino Gesù, e barroni con le loro teste, e traversine o chiomazzelle, fondi di cassa e tavoloni: tutte parti di quei meravigliosi strumenti che percorrono le strade di Sicilia, preparate e dipinte secondo i preziosi disegni tramandati dal padre, di cui era piena una grande cassa, in un angolo”.

Come si vede, Carlo Levi coglie quegli aspetti che faranno del carretto un oggetto museale e da sagra paesana quando il progresso nei trasporti, già pochi anni dopo, lo renderà una necessità inattuale.

Ma, ancora allora, il carretto rappresentava la meccanica necessità di una numerosa categoria di lavoratori, i carrettieri appunto, legata ( ma non solo ) alla principale attività economica di Bagheria, cioè all’agrumicoltura. Categoria numerosa e anche orgogliosa per la verità se i carrettieri cantavano: “Cummari, si aviti figghi a maritari, un ci nni rati no ai pirriatura, ma nni li rati a nuatri carritteri, ca vi li campamu megghiu ri signori”.

E categoria numerosa, orgogliosa e anche organizzata sindacalmente se Mimmo Drago può raccontare “uno sciopero dalle caratteristiche inedite” quando scrive: “Per la buona riuscita dello sciopero, dovevamo superare non poche difficoltà, poiché i carretti erano disseminati in centinaia di viuzze e di strade. La risposta dei carrettieri fu semplice…nottetempo i più combattivi, individuati i potenziali crumiri, allentavano la rannula: grosso dado di ferro con filettature interne che trattiene la ruota del carro ed è avvitato sulla parte terminale del fuso.

Svitando la rannula , quindi, le ruote del carro si sganciavano: cavallo e carretto restavano senza guida. Da quel momento in poi il blocco dei carretti fu totale, nessuno si azzardò a trasportare la merce. I commercianti di agrumi, non avendo altra alternativa, si piegarono sottoscrivendo un accordo vantaggioso per i carrettieri”.

In quegli anni giunge a Bagheria Mario Verdone ( padre di Carlo ), critico, teorico, autore di documentari, poi docente universitario.

In una tarda testimonianza, oltre a confermare come andassero perfettamente d’accordo  il fare cultura e la buona cucina ( “i sopralluoghi, le soste alle osterie e la pastasciutta con le sarde o con i fiori di zucca erano di rigore nelle nostre ricerche, da Catania a Trecastagni, da Palermo a Bagheria e Partinico” ), racconta di quella volta che, lavorando al documentario Immagini popolari siciliane, venne a Bagheria.

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E scrive: “Mi recai nella bottega dei famosi fratelli Ducato, coetanei di Renato Guttuso, al quale avevano chiesto il permesso di riprodurre in una fiancata La battaglia di ponte dell’Ammiraglio.

Restai invaghito di quel lavoro preciso, fedelissimo, quasi una replica ridotta del più celebre dipinto con le tonde capoccelle dei garibaldini che mi ricordavano le teste dei protagonisti degli ex voto e delle scene dei paladini e capii anche qualcosa dell’arte di Guttuso".

Dissi a uno dei due fratelli: “E’ finito questo lavoro?”. “Si”. “Posso comprarlo?”.

I due fratelli si guardarono e poi fecero un cenno di assenso. Così quella fiancata ora fa parte della mia modesta collezione: Un Guttuso- Ducato.

E venne ripresa, è ovvio, anche nel documentario”.

E poiché l’opera di Guttuso andò alla Biennale di Venezia nel 1952 e il documentario, invece, uscì nel 1954, a Bagheria Mario Verdone ci venne in quell’intervallo di tempo.

Perchè presto, precisamente nel 1955, la bottega di via Consolare, quella con la scritta americaneggiante all’ingresso, avrebbe chiuso i battenti.

Quell’anno, durante un altro viaggio in Sicilia, Carlo Levi farà tappa ancora una volta a Bagheria e troverà “la bottega dei carri dei fratelli Ducato provvisoriamente chiusa perché il lavoro scarseggia anche per questi che sono i migliori pittori della costa perché i carri calano di numero di mese in mese, sostituiti, a poco a poco, dai camion”.

Sappiamo che quella chiusura non fu provvisoria. E quell’anno Renato Guttuso avrebbe realizzato una seconda Battaglia mentre i Ducato, in seguito, avrebbero rifatto ancora la prima, quella con al centro un carretto, le arance sparse per terra, il carrettiere morto.

04.01.2012  Biagio Napoli           Le foto a corredo dell'articolo ci sono state fornite da Angelo Restivo

Opere citate

Dacia Maraini, Bagheria, Rizzoli, 1° edizione, Milano 1993, p. 7 e p. 20.

Fosco Maraini, Case, amori, universi, Mondadori, Milano 1999, pp.691-692.

Carlo Levi, Le parole sono pietre, Mondadori-De Agostini, Novara 1986, pp.33-34 e p. 128.

Mimmo Drago, Il vento dei ricordi, Palermo-luglio 2004, pp. 36-38.

Mario Verdone, Il documentario: teoria e pratica, in Sebastiano Gesù, La Sicilia della memoria,

Cento anni di cinema documentario nell’isola, Giuseppe Maimone Editore, Catania 1999,

pp.24-25.

 

 

 

 

 

 

 

 

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