Cronaca

Un uomo è stato tratto in salvo da militari della Stazione Navale della Guardia di Finanza di Palermo nell’ambito di una crociera operativa di servizio nelle prime ore di sabato 14 giugno.

Alle ore 03.00, a circa 4 miglia da Capo Zafferano, l’equipaggio in servizio di pattugliamento marittimo della vedetta V.6006, dirigeva su un natante di circa 5 m a bordo del quale, inizialmente, non veniva scorta nessuna persona.

Solo successivamente, avvicinandosi in modo cauto all’unità in parola, si scorgeva sul lato poppiero della stessa un uomo in evidente stato di difficoltà, aggrappato strenuamente al timone. Constatata la situazione di pericolo, i finanzieri si prodigavano per riportarlo a bordo, date le precarie condizioni di salute del soggetto, comprovate dall’evidente stato di shock e da un presumibile stato di ipotermia. 

Prontamente richiesto l’intervento a terra del servizio di 118, si provvedeva a trasbordare il malcapitato a bordo dell’unità velocissima del Corpo e in brevissimo tempo raggiungere terra dove già attendeva l’autoambulanza del Pronto Soccorso dell’Ospedale Buccheri La Ferla.

Contestualmente si è provveduto anche al recupero dell’imbarcazione alla deriva, a sua volta saldamente condotta in sicurezza presso gli ormeggi del Reparto.
Una  grande dose di fortuna è stata di fondamentale importanza per l’uomo, il quale avrebbe potuto riscontrare gravi conseguenze se costretto a trascorrere ulteriori ore in acqua a causa sia della temperatura del mare, sia del prolungato tempo di esposizione a tale shock termico.
 

I Carabinieri della Compagnia di Termini Imerese, nel corso di un apposito servizio di controllo del territorio finalizzato al contrasto dei reati predatori, hanno arrestato FIREMI Salvatore, nato a Palermo il 23.08.1985, residente a Ficarazzi e D’AMICO Vincenzo, nato a Palermo il 31.05.1991, residente a Bagheria, entrambi volti noti alle forze dell’ordine e quest’ultimo già sottoposto alla misura cautelare dell’obbligo di presentazione alla Polizia Giudiziaria.

I due compagni di merenda, si sono resi responsabili del reato di furto aggravato perpetrato, nella notte di giovedì scorso, ai danni di una serie di garage pertinenti ad un complesso abitativo ubicato nella via Enrico Matteia Termini Imerese.

Il commando in trasferta era composto da tre giovani i quali, dopo accurati sopralluoghi, decidevano di forzare nove portoni di accesso, trafugando un ingente quantitativo di materiale custodito all’interno delle rimesse di ignari privati.

Gli stessi ladri, giunti nella cittadina termitana presumibilmente a bordo del treno, avevano la necessità di reperire un mezzo di trasporto idoneo dove potere disporre quanto asportato, quindi si impossessavano di un’autovettura posteggiata nella stessa area, dopo averne forzato i congegni di accensione.

Il tempestivo intervento dei Carabinieri interrompeva la condotta delittuosa posta in essere dai tre malfattori, i militari quindi riuscivano a bloccare FIREMI Salvatore a bordo dell’autovettura rubata, pronto a fuggire con tutta la refurtiva accuratamente riposta nel veicolo. I suoi due complici invece riuscivano a fuggire per le vie limitrofe del centro abitativo, facendo perdere le loro tracce. Solo in tempestivo intervento di altre pattuglie coordinate dalla Centrale Operativa della Compagnia di termini Imerese, che in via Enrico Mattei, consentiva di rintracciare, dopo circa due ore, D’AMICO Vincenzo, in un terreno con fitta vegetazione nei pressi del quartiere “Rocca Rossa”, nascosto all’interno di un canneto.

I due giovani venivano tratti arrestati e messi a disposizione dell’Autorità Giudiziaria la quale, al termine del giudizio direttissimo svoltosi nella stessa giornata, disponeva la traduzione in carcere per FIREMI Salvatore e gli arresti domiciliari per il complice D’AMICO Vincenzo, in attesa di giudizio.

La tempestività dei militari dell’Arma consentiva di recuperare tutta la refurtiva che, nell’arco della stessa giornata, veniva restituita ai legittimi proprietari i quali con contentezza esprimevano un plauso all’operato svolto dai Carabinieri della locale Compagnia cittadina.

Palermo, 13 giugno 2014

Nella foto da sinistra verso destra: D'Amico Vincenzo; Firemi Salvatore

Comando Provinciale Carabinieri

   

Il periodico S in edicola  pubblica alcuni stralci delle dichiarazioni di Sergio Flamia che ci riconsegnano scenari di scontri tra le varie fazioni della cosa nostra bagherese che solo per poco non sfociano in omicidi che avrebbero insanguinato le strade di Bagheria come accaduto nell'ultima guerra di mafia del 1989.

In trasparenza si possono leggere due schieramenti : il gruppo tradizionalmente legato a Leonardo Greco ed al fratello Nicola e quello fedele a Nicolò Eucaliptus e al genero Onofrio Morreale, con i vari luogotenenti pronti a fare uso della violenza per mettere a tacere dissidi o riportare  all'ordine gli indisciplinati.

'A testa i l'acqua' per noi bagheresi è una espressione diffusa e fa riferimento al complesso sistema di condotte che attraverso degli snodi, valvole e gibbiuni ( 'a casuzza i cani' in contrada Serradifalco era uno di questi snodi), consentiva l'irrigazione degli agrumeti sino a quota 100 m. s.l.m.

A testa i l'acqua era la fonte, il luogo originario  da cui si dipartiva l'acqua 'ra Chiana' ( perchè proveniente un tempo dall'invaso di Piana degli Albanesi) insomma in senso traslato si intendeva dire la fonte del potere laddove esso traeva origine.

E Flamia riferisce di avere appreso chi fosse a testa i l'acqua in seguito ad una animata discussione tra Gino Di Salvo e Nino Zarcone, in tempi diversi capifamiglia di Bagheria.

Gino Di Salvo e Nino Zarcone- mette a verbale Flamia -. avevano avuto un battibecco in mia presenza.  Il che io li invito a chiarirsi a sistemare le cose perché già a quel tempo c'era odore che da un momento all'altro a Nino lo arrestassero... e si pensava che arrestassero anche a Gino, gli ho detto: vedete di chiarire, vedete di sistemare le cose prima che ‘nsamà (non sia mai n.d.r.)  a Dio, vi arrestano...”. E la risposta ricevuta sarebbe stata: “Si succieri cuosa, tu un u sai unni ha ghiri si nn'avissiru arristari? Ci rissi: no. Rici: a tiesta i l’acqua. Ci rissi: ma unn'è sta tiesta i l'acqua? Rici: nni Nicola Greco”.

Ma i mali riscussi  - secondo Flamia - avrebbero origine quando Gino Mineo reggente della famiglia sino al 2007 dà una robusta tirata di orecchie addirittura a Onofrio Morreale, genero di Eucaliptus e tesoriere della cosca bagherese, accusandolo di una gestione troppo disinvolta del fondi destinati alle famiglie dei carcerati.

Assieme a Carmelo Bartolone, sempre secondo il Flamia-pensiero,  il Morreale complotta di uccidere Gino Mineo, e chiede addirittura il permesso a Bernardo Provenzano per poterlo eliminare, perchè reo appunto  di avere usato toni duri nei suoi confronti: si fa un summit al villaggio Mosè (frazione di Agrigento) dove Nicola Greco al tempo risiedeva, in cui oltre a Nicola Greco avrebbero preso parte, Onofrio Morreale, Giuseppe Di Fiore e Giuseppe Comparetto, e dove si decide di trovare una soluzione 'politica' al conflitto.

Un ammonizione verbale per Gino Mineo, Bartolone fuori famiglia e la cassa della famiglia in gestione a Di Fiore.

Dopo l'arresto e la condanna a sette anni, Carmelo Bartolone avrebbe ricevuto in carcere a Livorno da Nicolò Eucaliptus durante la comune detenzione, l'incarico di “sistemare le cose a Bagheria” eliminando Nicola Greco e Giuseppe Di Fiore, e tale missione l'avrebbe comunicata a Flamia, di cui si fidava,  nei seguenti termini: 'mi rissi ri sistimari i cuosi senza fari scrusciu, senza fari rumuri, rici all'unicu che avieva ammazzari era Nicola Greco e a Pippinu u’ Ciuri”.

E siccome le voci e le confidenze dentro cosa nostra circolano velocemente arriva la sentenza di morte per Bartolone, reo di essersi allargato troppo; ad organizzare il piano - secondo il pentito - ci avrebbe pensato Gino Di Salvo, mentre gli esecutori avrebbero dovuto essere lo stesso Flamia e Nino Di Bella, che godendo della fiducia della vittima designata avrebbero dovuto consegnarlo con un tranello ai carnefici

'Gino Di Salvo decide di fare fuori Bartolone - così ricostruisce Flamia - ce ne dobbiamo uscire, lui di te si fida, me lo devi portare tu, lo porti tu, ci organizziamo... io già ho parlato pure con Peppino Di Fiore e Nicola Greco, mi rettiru u sta bene”).

All'omicidio avrebbe dovuto partecipare anche Salvatore Lauricella.

Flamia lo capì quando Lauricella gli chiese: “...Cu’ Carmelo che amu a fari? Io mi trovo tra due fuochi, uno: non vorrei ca chistu ( con riferimento a Gino Di Salvo n.d.r.) pienza ca io sugnu d’accordo cu’ Carmelo; due: ma quale omicidi, ca cca nni stannu arrestannu a tutto pi’ avutri cose, ogni minima fissaria che succede, ci dissi: i cose i sannu prima di nuatri, sti cose io i sacciu, iddi un i sanno... ci dissi”).

E Di Salvo, sulla base del racconto di Flamia, aveva pure trovato nel narcos canadese Juan Ramon Fernandez il killer disponibile a far fuori Bartolone.

La sorte di Bartolone sembrava segnata, anche perchè quelli presso i quali era andato a chiedere aiuto per eliminare la concorrenza, Giulio Caporrimo e a Palermo e Nicola Rizzo a Villabate, non appena messi a parte dei suoi progetti, li riferirono immediatamente a Nino Zarcone.

 Bartolone, fiutata l'aria,  il 13 dicembre del 2012 scompare, sottraendosi al regime della vigilanza speciale con obbligo di firma cui era stato sottoposto, e ricomparirà il 10 settembre dell'anno successivo al Pronto Soccorso dell'Ospedale civico di palermo per consegnarsi ai  militari di servizio, anche perchè nel frattempo era stato destinatario di un altro ordine di arresto nell'ambito della operazione 'Argo'

 

 

Il suicidio di Giuseppe Sciortino, il piccolo imprenditore edile che si era tolta la vita lo scorso mese di marzo, aveva suscitato una enorme impressione a Bagheria per la notorietà del personaggio, per la sua dedizione al lavoro, per la professionalità con cui la esercitava; ma lì per lì le notizie che filtrarono parlarono di un uomo sull'orlo del fallimento per i troppi debiti che aveva accumulato.

Una morte, quella di Sciortino, che lasciò nello sconforto i familiari e nello sgomento non solo i tanti amici e conoscenti ma una intera comunità. I suoi funerali furono seguiti da migliaia di persone che vollero testimoniare con la loro presenza il rispetto e la considerazione per una persona che del lavoro aveva fatto la sua fede e la sua ragione di vita.

Sembrava quindi una storia come tante oggi in Italia, di un imprenditore in difficoltà che non ce la fa ad andare avanti e preferisce chiudere con la vita.

In realtà però nel caso di Sciortino le difficoltà economiche derivavano anche da una terribile pressione cui lo sottoponevano gli esattori del pizzo che gli chiedevano continuamente soldi.

Un mese dopo la scomparsa, Sciortino venne ricordato con una commovente cerimonia promossa da Casartigiani svoltasi nell'aula consiliare, ed in cui gli fu intitolato un Consorzio di costruzioni che lo aveva visto tra i fondatori.

Poi, nelle settimane successive al dramma,  tra mezze parole e allusioni cominciò a venir fuori la verità o meglio una parte della verità: Giuseppe Sciortino subiva taglieggiamenti e  richieste di pizzo da parte degli uomini di cosa nostra bagherese.

Qualche mese prima di togliersi la vita era stato interrogato lui come tanti altri dagli inquirenti e dai carabinieri che gli avevano chiesto se e quali richieste estortive avesse ricevuto: pare, e parliamo necessariamente al condizionale, che Sciortino in un primo momento si sarebbe trincerato dietro i non ricordo, ma quando gli sono stati fatte ascoltare le intercettazioni ambientali che contenevano riferimenti precisi e documentati aveva ceduto, ed aveva confermato di essere bersaglio del pizzo da parte della mafia.

 Gli episodi venuti a galla durante le indagini e le dichiarazioni fornite dal collaboratore di giustizia Sergio Flamia, lo descrivono più volte a scontrarsi a muso duro con gli esattori del pizzo del mandamento di Bagheria, che lo avevano preso di mira dopo alcuni lavori che aveva effettuato nel comprensorio: il tentativo da parte dei boss era quello di imporre a Sciortino una ditta di movimento terra vicina a Cosa nostra e controllata da Giuseppe Di Fiore - reggente del mandamento -, rispetto ad un'altra.

Nel dettaglio, Sciortino aveva dichiarato di essere stato vittima di tentativo di estorsione agli inizi del 2011, in relazione alla conduzione di un cantiere a Santa Flavia. Successivamente, le minacce sarebbero arrivate da Salvatore Lauricella in merito ad un altro cantiere per la costruzione di unità abitative a Villabate, ma anche da Pietro Flamia, soprannominato "il porco" che nel 2013 avrebbe voluto imporgli un'altra ditta legata alla cosca, sempre per il movimento terra. Ma non solo, per quegli stessi lavori, l'imprenditore raccontò che Flamia gli aveva chiesto quindicimila euro.

"Ero consapevole che si trattava di estorsione - disse ai carabinieri Sciortino - e sapevo pure di non avere alcun debito nei suoi confronti. Mi precisò che 'c'erano nuove disposizioni' e che qualunque lavoro avrei dovuto realizzare da quel momento in poi, dovevo rivolgermi a lui, specificando che mi avrebbe dato indicazioni sui fornitori, e su tutte le ditte che avrei dovuto contattare nel proseguo dei lavori". Fu soltanto uno dei tanti incontri coi boss.

Una delle tappe del calvario durante il quale Sciortino subì numerosi danneggiamenti ai cantieri, compresi alcuni colpi d'arma da fuoco sparati alle saracinesche del suo magazzino, i danni alla propria auto e gli atti incendiari nel magazzino al piano terra della palazzina via Carlo Alberto dalla Chiesa a Bagheria, dove abitava.

Giuseppe Sciortino, come avevano notato familiarie conoscenti  aveva perso la serenità ed il suo umore era cambiato sino ad arrivare al gesto drammativo e irreversibile.

La conferma è venuta nella conferenza stampa di oggi da parte del procuratore aggiunto Leonardo Agueci che ha detto testualmente: "Sciortino  ha coraggiosamente denunciato i suoi estortori che lo avevano portato alla rovina economica. Poi, sommerso dai debiti, si è suicidato".

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