Cronaca

Nel Dicembre 2010 ha avuto inizio questo “cammino” dell’Associazione “Di generazione in generazione”, un cammino finalizzato ad andare incontro ad alcuni bambini (ed alle loro famiglie) del territorio di Bagheria.

Parliamo di bambini in difficoltà che vivono, spesso, situazioni di deprivazione economica e socio-affettiva, bambini che hanno bisogno di essere seguiti sul piano didattico, di essere stimolati sul piano ludico, di essere sostenuti sul piano psicologico. 

Dalla considerazione di questi bisogni sono derivate le iniziative di attività del dopo-scuola, di attività ludiche e ricreative e di un intervento di supervisione di una psicologa che opera, soprattutto, in collaborazione con i numerosi volontari coinvolti.

Molti di questi bambini hanno anche bisogno di mangiare … come tutti i bambini, del resto, solo che al contrario, di altri loro e le proprie famiglie mancano dei beni primari.

E’ frequente pensare di aiutare chi sta in paesi come quelli africani …… è meno frequente pensare che i bambini della porta accanto non hanno neanche un pezzo di pane e che, talora, vanno a letto senza mangiare e non dormono a causa dei crampi della fame.

E’ una verità difficile da accettare, una verità che molti bagheresi hanno però immaginato e che hanno cercato, nel loro piccolo, di prendere in considerazione.

Vogliamo gridare il nostro grazie a quanti ci hanno sostenuto durante le diverse raccolte alimentari portate avanti nel territorio bagherese, la cui popolazione si è dimostrata disponibile e desiderosa di offrire il proprio contributo permettendoci di dare risposta ad oltre venti famiglie ed ad oltre sessanta persone tra grandi e bambini.

Un grazie speciale ai gestori delle attività commerciali che hanno consentito ed appoggiato le nostre raccolte davanti “casa loro”.

Grazie, ovviamente, a quanti in modo volontario svolgono le attività programmate, di volta in volta, in funzione dei bisogni osservati nei bambini e nelle loro famiglie.

A tutti quelli che hanno teso una mano a noi, ai nostri bambini e alle loro famiglie vogliamo esprimere la nostra gratitudine e vogliamo fornire i riferimenti utili per chiedere e capire come siano stati utilizzati i fondi offerti ….“tendendo sempre la mano” ad altre “mani desiderose di dare il loro aiuto”.


 

I Carabinieri hanno dato esecuzione all’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal G.I.P. del Tribunale di Termini Imerese (Dott.ssa Sabina Raimondo) su richiesta della Procura della Repubblica (Procuratore Dott. Alfredo Morvillo e Sost. Procuratori Dott.ri Bruno Brucoli e Francesco Gualtieri), nei confronti di FERRARA Carmelo, classe ’80, MAZZARA Pietro, classe ’88 e PIRROTTA Maurizio classe ’85, tre pregiudicati palermitani, residenti nella via del Bassotto del quartiere Bonagia di Palermo.

I tre arrestati sono gravemente indiziati di essere gli autori dell’omicidio di ZITO Antonino.

Le attività investigative furono avviate già il 18 dicembre 2012, quando i familiari di ZITO ne denunciarono la scomparsa: il giovane non farà mai rientro presso la sua abitazione.

Alle prime luci dell’alba, di mercoledì 19 dicembre 2012, un contadino segnalava, nel territorio del comune di Santa Flavia, in contrada Spedalotto Valdina, una zona agricola nei pressi dell’abitato di Bagheria, la presenza del corpo carbonizzato di un uomo. Il cadavere, reso irriconoscibile dal fuoco, risultava essere proprio quello di Antonino ZITO, identificato grazie ad alcuni tatuaggi e, soprattutto, alla fede nuziale

Il giovane palermitano era già noto alle forze dell’ordine per alcuni precedenti penali, in quanto legato al traffico e allo smercio di sostanze stupefacenti. Il corpo presentava, agli esiti dell’esame autoptico, un foro alla testa, segno di un unico colpo di arma da fuoco, sparato dall’alto verso il basso, risultato fatale alla vittima che si trovava, presumibilmente, seduta o in ginocchio al momento dell’omicidio.

L’autopsia escludeva dunque che ZITO fosse deceduto per le fiamme che ne avevano avvolto il corpo, riconducendo la combustione ad un momento successivo alla sua morte, verosimilmente ad opera degli autori dell’omicidio, al fine di eliminare tracce del crimine e ostacolare l’identificazione del cadavere.

Le testimonianze dei parenti della vittima permettevano di localizzare la presenza del congiunto, ancora in vita, nel tardo pomeriggio del giorno precedente, martedì 18 dicembre, presso una baracca di ridotte dimensioni con annesso gazebo, sita a Palermo in via Del Bassotto, angolo via del Levriere, molto popolare e frequentata nella via del Bassotto di Palermo, ove venivano somministrate cibo da strada, quali “caldume e frattaglie”, e bevande, la cui proprietà e gestione riconducevano alla persona di Carmelo FERRARA.

Circostanza, questa, ritenuta sin da subito rilevante, nonché inscindibilmente collegata alla scomparsa dello Zito poiché la perdita delle sue tracce, tra le ore 18.30 e 19.00, risulta contestuale all’incendio che alle ore 18.45 avvolge quello stesso gazebo, distruggendolo completamente.

Le attività investigative, sviluppatesi principalmente nella periferia est del capoluogo siciliano, notoriamente ostica alle forze dell’ordine e contraddistinta da omertà e distacco rispetto alle Istituzioni, sono consistite in tradizionali servizi di osservazione e pedinamento nonché in attività di intercettazione telefonica e ambientale.

Proprio le intercettazione, malgrado i tentativi di elusione posti in essere dagli indagati, consentivano di individuare, oltre al già citato FERRARA, anche le figure di MAZZARA Pietro, cognato del predetto e PIRROTTA Maurizio. I tre, presenti nel chiosco insieme a ZITO, nelle ore immediatamente precedenti alla scomparsa, mostravano sin subito un interessamento sospetto sull’andamento delle indagini e un’evidente preoccupazione per le numerose persone sentite dai Carabinieri nei giorni successivi al rinvenimento del cadavere.

Le investigazioni sinora condotte portano a considerare che i tre abbiano agito in concorso, uccidendo ZITO nel chiosco, utilizzando un’arma illegalmente detenuta, allo stato ancora non rinvenuta, provvedendo poi all’incendio del chiosco, per cancellare ogni traccia del delitto, dando poi alle fiamme il cadavere sempre al fine di ostacolare eventuali indagini e impedire l’identificazione.

Sono ancora in corso serrate indagini per chiarire sul movente dell’omicidio.

Le indagini, inoltre, hanno fatto luce anche sui traffici di stupefacenti nella piazza di spaccio di Bonagia, tuttora oggetto di approfondimento investigativo.

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Mazzara Pietro                                  Ferrara  Carmelo                                Pirrotta Maurizio

                                                                                                                            



 

 

Ad oltre 21 anni dalla misteriosa scomparsa avvenuta il 31 marzo del 1992 di Mariano Farina e Salvatore Colletta, i due ragazzini di Casteldaccia, rispettivamente  di 15 e 12 anni, la Procura chiede l'archiviazione delle indagini.

E' questa la inevitabile ed amara conclusione di un fatto di cronaca, che ha coinvolto oltre che le famiglie anche  l'opinione pubblica, cui sono arrivati i pm Marzia Sabella e Francesca Mazzocco.

Ventuno anni in cui tutte le segnalazioni e le piste sono state battute, tutti i tentativi possibili di ritrovarli sono stati fatti, dopo che le ricerche tentate anche attraverso trasmissioni televisive come 'Chi l'ha visto' non hanno dato alcun esito, e dopo le reiterate sollecitazioni della famiglia Colletta soprattutto, (la famiglia di Mariano Farina si trasferì dopo qualche anno dalla tragedia negli USA), la giustizia deve alzare bandiera bianca.

Rimangono in piedi tutte le ipotesi, ma soprattutto un rammarico: se quelle ricerche mirate in contrada Celsi sul lungomare di Casteldaccia, che sono state esperite qualche mese fa su richiesta dell'avv. della famiglia Colletta, Salvo Lo Giudice, fossero state fatte nell' immediato occorso della scomparsa, forse il mistero si sarebbe potuto svelare.

Ma in quel momento nè l'opinione pubblica nè probabilmente la magistratura e gli inquirenti avevano piena consapevolezza della capacità sanguinaria di cosa nostra e della presenza così incombente e assoluta nel territorio, un tempo chiamato del triangolo della morte.

Tra le ipotesi, al tempo solo ventilata, ma che via via ha acquistato più consistenza rimane quella di qualche piccolo sgarbo, furtarello o altro, consumato dai due ragazzini ai danni di qualche boss della zona, o che i due abbiano visto qualcosa per cui hanno pagato con la vita.

altErano state le sollecitazioni dell'avv. Lo Giudice, in concomitanza con la testimonianza della moglie di un muratore che aveva parlato di un misterioso seppellimento, a ridare impulso alle indagini intorno alla età del mese di aprile di quest'anno.

Partì una  ricerca minuziosa in pozzi della zona dei villini dove imperava al tempo cosa nostra, si scavò anche presso un muro di cemento sul bordo di una strada di contrada Incorvino a Bagheria, ma nessuna traccia di nessun tipo è stata rinvenuta.

A credere ancora nel miracolo è rimasta Carmela La Spina, la mamma di Salvatore Colletta, che vive nella convinzione incrollabile che solo una mamma può avere, che il figlio non sia morto, che solo cause di forza maggiore lo abbiano costretto ad allontanarsi e che sia impedito di mettersi in contatto con la famiglia, ma che un giorno tornerà.

 

 

 

I Carabinieri del Nucleo Investigativo di Palermo, coordinati dalla locale Direzione Distrettuale Antimafia (Procuratori Aggiunti dott. Leonardo AGUECI dott.ssa Maria Teresa PRINCIPATO, Sost. Proc. dott. BARBIERA, dott.ssa Caterina MALAGOLI e dott.ssa Francesca MAZZOCCO), dopo aver dato esecuzione, lo scorso 3 luglio a 26 fermi del Pubblico Ministero nei confronti di capi e gregari del mandamento mafioso palermitano di PORTA NUOVA e di affiliati ai mandamenti di BRANCACCIO e MAZARA DEL VALLO, nonché alla CAMORRA, hanno proceduto al sequestro di diversi beni riconducibili alla mafia.

 

Le acquisizioni raccolte, in particolare, hanno permesso di accertare come gran parte degli illeciti profitti di cosa nostra sia stata investita in beni mobili e immobili, intestati a prestanome compiacenti.

Ne è derivata l’emissione di provvedimenti di sequestri preventivi, aventi ad oggetto un cospicuo patrimonio nel cui ambito figura:

- l’azienda di macellazione e vendita di carne all’ingrosso, denominata “OVINSICULA”, nel cui patrimonio aziendale, rientrano gli uffici amministrativi di Via Gallo 46 a Palermo, un unità operativa in via Stazzone sempre a Palermo, una seconda unità operativa, sita in Mezzojuso (PA) ed un immobile ubicato nel comune di San Gavino Monreale, in Sardegna.

In particolare, l’area di Mezzojuso, che può contare su una forza lavoro di 55 dipendenti, è una delle più grandi presenti sul territorio siciliano, costituita da un complesso aziendale che si occupa dell’allevamento, macellazione e successiva vendita all’ingrosso di ovini, suini e bovini.

L’azienda, riconducibile a CIRESI Antonino, arrestato nel mese del aprile del 2013, poiché ritenuto responsabile dell’estorsione allo chef Natale GIUNTA, nonché denunciato nell’ambito dell’operazione Alexander, poiché ritenuto reggente della famiglia mafiosa di Borgo Vecchio, ha un valore di circa 30 milioni di euro.

Seppur fittiziamente intestata a terze persone, è stato lo stesso boss nel corso dei colloqui in carcere con i familiari, a svelare il fatto che proprio lui ne fosse il reale proprietario.

Difatti dopo aver detto al figlio di riferire ai soci di avere cura dell’azienda e di metterlo a conoscenza dei ricavi (CIRESI:…allora... digli al signor Ania a tutti e due i soci di stare attenti allo “stazzone”... di stare attenti allo stazzone”…/… “... poi un’altra cosa, gli dici a Paoluzzu e a tutti... nei conti e nei discorsi voglio assistere io me l’ha detto mio padre, tutta la fiducia ce l’hai sempre tu Paoluzzu però mio padre vuole che io le cose li devo sapere ...”), faceva raccomandazioni affinché, in caso di controlli, nessuno rivelasse il suo reale ruolo (CIRESI:… “... si merita questo... perché è intestato a lui sennò ... inc. ... ah! Poi digli che se lo chiamano io socio non ci sono perché nel mandato di cattura c’è messo che io sono socio... mio padre dichiarazioni non ne ha fatto, perciò lui quando viene chiamato ma quali soci... veniva a leggersi il giornale, ogni tanto vendeva qualche vitello... ) ;

- il Pub denominato “DAY JUST”, di via Nino Bixio, un gommone modello “LED 33”; l’imbarcazione modello “Saver 330 sport”; una BMW Minicooper Country man e un acquascooter, il tutto nellaa disponibilità di SERANELLA Antonino, braccio destro di Alessandro D’AMBROGIO, formalmente dipendente della Sicil Trinacria Onlus società fornitrice di servizi partecipata della Regione Siciliana, di fatto nullafacente.

In particolare quest’ultimo che ufficialmente percepiva uno stipendio di circa 1.000 euro al mese, aveva un tenore di vita palesemente elevato;

- la società denominata Trioil S.r.l, con sede amministrativa a Trani in Puglia, ed unità operativa comprendente un distributore di carburanti, un bar ed un autolavaggio nel comune di Mrtinsicuro (TE) in Abruzzo. Beni questi ultimi riconducibili a FERRO, ALESSI, TAGLIAVIA e SCIMONE, acquisiti con i proventi derivanti dai traffici di sostanze stupefacenti;

- oltre 200 mila euro fra assegni e contanti.

I beni, il cui valore complessivo supera i 40 milioni di euro, così come disposto dall’Autorità Giudiziaria, sono stati affidati per l’amministrazione giudiziaria.

 

 

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