Coltivare la memoria è un dovere dell'intera comunità bagherese

Coltivare la memoria è un dovere dell'intera comunità bagherese

cronaca
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Ci è accaduto in questi anni in occasione della scomparsa di amici o anche di semplici conoscenti, che avevano segnato per le loro doti umane o professionali o politiche le vicende della nostra comunità di scrivere qualche parola di commiato, perchè noi pensiamo laicamente che l'altra vita risieda nel ricordo di chi rimane.

E se questo è importante per i singoli lo è ancora di più per una comunità che del proprio passato e delle persone che hanno in qualche modo illustrato la nostra Bagheria è giusto si conservi memoria: ed è stato questo il senso più profondo del nostro ricordarli.

Ci è accaduto, come è inevitabile che accada, di non avere menzionato la scomparsa di tanta gente che si era  dedicata  al bene comune,  o che magari ha condotto una vita modesta e nella riservatezza, ma che avrebbe senz'altro meritato due parole pubbliche di ringraziamento al momento dell'addio; come ci è accaduto, e di questo ci rammarichiamo sinceramente che, per motivi tra i più diversi, ci sia sfuggita la dipartita di figure che a Bagheria hanno lasciato un loro piccolo segno.

Tre anni fa, per chi è credente, tornava nella casa del padre il dottor Francesco Paolo Carollo, medico chirurgo e militare che aveva concluso la sua carriera da generale dell'esercito. Solo tempo dopo, e per puro caso, apprendemmo la notizia.

E vogliamo ovviare a questa disattenzione non solo e non tanto per ricordare una figura notissima a Bagheria, ma anche e soprattutto per ricordare una famiglia, che per stile di vita, di lavoro e di quotidiani comportamenti  è stata assieme ad altre migliaia di famiglie bagheresi, tirate su in un certo modo, la spina dorsale della Bagheria di un tempo. 

Il generale Paolo Carollo, dicevamo figura notissima, perchè al tempo del servizio militare obbligatorio, e noi ne sappiamo qualcosa, era una delle due persone cui ci si rivolgeva ( l'altra era il carissimo Peppino Abbate), per, diciamo così, 'mitigare' i rigori di un servizio militare che 40-45 anni fa era, diciamola tutta, un castigo di Dio, almeno per chi aveva continuato gli studi, perchè si andava a collocare o subito prima o subito dopo o durante la laurea, momento decisivo per gli studenti universitari che usufruivano del cosiddetto 'rinvio'.

Negli anni '70 dopo la laurea si trovava subito lavoro, si cominciavano a consolidare gli affetti, insomma fare il soldato, così come si diceva un tempo, era una bella rottura. Ed in tantissimi ci giovammo, anche per una semplice e agognatissima licenza breve ( una tre + due) per fare un esame o rivedere per un semplice saluto  amici e parenti, della intercessione dell'allora maggiore Paolo Carollo.

Comprensivo, tollerante sin dove era possibile, però sempre militare e valente professionista, attività esercitata anche privatamente

Poi la mia attività di lavoro mi portò a conoscere la famiglia del gen. Carollo: il padre innanzitutto che era stato maresciallo dell'esercito durante il periodo fascista, aveva visto lo sbarco degli americani nella zona di Licata, uomo autoritario e tutto d'un pezzo, ma grandissimo artigiano del legno (mi faceva spesso vedere i mobili che si era costruito con le sue mani), instancabile lavoratore e soprattutto persona irreprensibile e perbene.

Naturalmente politicamente eravamo lontani mille miglia, e litigavamo pure, ma non si poteva non apprezzare la coerenza e l'attaccamento che manifestava ai principi della famiglia, del lavoro e dell'onestà.

E poi la dr.ssa Caterina Carollo, purtroppo anche lei mancata qualche anno fa, medico dermatologo di grandissima professionalità e bravura, che godeva della stima incondizionata di un luminare della dermatologia nazionale e internazionale, il mitico prof. Antonio Tosti, direttore della Clinica dermatologica dell'Università di Palermo.

Però modesta e alla mano, amata dai suoi pazienti per il suo carattere oltre che per la sua straordinaria preparazione scientifica, anche lei rigorosa e molto legata alla famiglia.

Ed infine il fratello Pietro con il suo linguaggio forbito e ricercato, la sua grande cultura, il suo amore per la poesia e la musica.

Una famiglia come migliaia ce n'erano negli anni '50 a Bagheria che coltivavano l'etica del lavoro, dei sacrifici, del rispetto degli altri, e che furono protagoniste di quel piccolo-grande miracolo economico, ma anche politico, che Bagheria realizzò dal dopoguerra sino al finire degli anni '60, famiglie di cui Peppuccio Tornatore in Baarìa ce ne ha dato uno spaccato.

 

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