Chiude la concessionaria di auto di Gianluca Calì, l'imprenditore di Casteldaccia ribellatosi al racket

Chiude la concessionaria di auto di Gianluca Calì, l'imprenditore di Casteldaccia ribellatosi al racket

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Chiude i battenti la concessionaria di auto CALICAR di Gianluca Calì, l'imprenditore di Casteldaccia che nel 2011 subì l'incendio di 5 autovetture all'interno della sua attività di vendita e noleggio di auto e con le sue denunce fece allora arrestare numerose persone.

 Con un amaro sfogo su facebook l'imprenditore denuncia il fatto di essere stato lasciato solo dalle istituzioni: -"la Calicar Srl  aveva 24 dipendenti, fatturava 24.000.000 € , aveva un indotto straordinario che dava lavoro a centinaia di persone e faceva vivere molte aziende di ricambi, gommisti, meccanici, carrozzerie, Lavagisti autotrasportatori ecc". Dopo le mie denunce di minacce e nonostante il mio impegno per la legalità l'aiuto economico dello Stato non è mai arrivato e la situazione finanziaria dell'azienda non permette di continuare l'attività; quindi oggi siamo costretti a chiudere, dopo aver dovuto licenziare gli ultimi 2 dipendenti lo scorso 31 dicembre."- scrive Calì. 

Il Corriere della Sera lo scorso 8 giugno si occupò della vicenda di Calì con un articolo che destò scalpore: A quel tempo la Direzione Distrettuale Antimafia aveva chiesto e ottenuto l’archiviazione di tre denunce sporte a Milano nel 2015 dall'imprenditore casteldaccese. "I giudici di Milano"- riportava il Corriere della Sera-  "valutarono che le denunce non avessero «nulla a che fare» con mafia o estorsioni, ma con «fatti di assoluta normalità» raccontati in misura in parte «arricchita e contraddittoria» o in parte «palesemente falsa», in modo da «ben utilizzare i mass media» per produrre «una costante attenzione» su di sé". "L’imprenditore aveva denunciato - scriveva il corriere-  il minaccioso abbordaggio ai propri figli e alla loro baby sitter da parte di due misteriosi figuri su una Mercedes nera; e l’altrettanto minaccioso sostare muto di individui andati via a bordo di una Subaru, sulla cui targa non decriptata (e quindi ipotizzata dei servizi segreti) alcuni dirigenti di polizia gli avevano poi confidato di essere stati bloccati da un veto dall’alto. Ciò aveva fatto sì che, stando solo al 2016, Calì collezionasse non soltanto molti articoli di quotidiani (pure di questo giornale), ma anche segnalazioni del suo libro a «Striscia la notizia», interviste tv a «Uno Mattina», «La vita in diretta» e «Mattino 5», attestati di solidarietà da «Libera», premi come quello alla «Virtù civica-Panettone d’oro 2016» consegnatogli al teatro Franco Parenti, incontri con migliaia di studenti nelle scuole, e due interrogazioni parlamentari. Ma soprattutto Calì aveva chiesto di poter godere (come già nel caso passato del parere favorevole della Procura di Palermo) della norma di legge che sospende le procedure esecutive intentate dai creditori nei confronti delle vittime di racket o intimidazioni mafiose. Ma la Procura di Milano ha espresso parere contrario, dopo accertamenti bancari dai quali è risultato che l’imprenditore da un lato è intestatario di vari immobili, e dall’altro (attraverso la Calicar srl di cui è socio) è esposto per 750.000 verso fisco e previdenza, e per 1,3 milioni verso la concessionaria Ambros Saro srl che in febbraio ha ottenuto dal Tribunale un decreto ingiuntivo. Sulla prima prospettata minaccia, la stessa baby sitter ha peraltro spiegato che «se fosse stato per me non avrei fatto nulla, nel senso che l’episodio non mi aveva destato preoccupazione». Sul secondo fatto, la targa è normalmente risultata di un’auto dei carabinieri quel giorno di scorta a Formigoni, e tutti i funzionari di polizia interrogati hanno escluso di aver mai rappresentato a Calì lo scenario «giallo» che egli ha attribuito loro".

Calì ha sempre rifiutato queste accuse, definendole illazioni destituite di fondamento e ha sempre difeso la genuinità delle sue denunce e della sua battaglia. L'imprenditore è tutt'ora impegnato in vari tour nelle scuole d'Italia in cui tiene lezioni di  legalità agli studenti e nelle presentazioni del suo libro dal titolo "Io non pago".

L'11 giugno sempre il Corriere della Sera tornava sulla vicenda ospitando il punto di vista di Calì :-"Il concessionario di autovetture Gianluca Calì, del quale il pool antimafia della Procura ha archiviato tre denunce di asserite intimidazioni ritenendole non vere, non ci sta. «Gli inglesi dicono “If I were in your shoes”, che noi traduciamo “se fossi nei tuoi panni”, e io fino a un paio di giorni fa ero convinto che le mie scarpe e i miei panni fossero quelli (scomodissimi, che non auguro a nessuno) di imprenditore bersagliato dalla mafia», dice Calì commentando l’articolo che, invece, ha dato conto «del provvedimento della Dda milanese che ha respinto la mia istanza di accesso al Fondo di solidarietà per vittime di estorsione e usura. Decisione che, doverosamente, rispetto». Per l’esattezza si tratta sia dell’archiviazione delle sue denunce milanesi firmata dal gip Laura Marchiondelli, sia dei pareri contrari dei pm dell’Antimafia (Boccassini e Storari) all’attivazione delle tutele di legge invocate da Calì per congelare le azioni esecutive dei suoi creditori ai quali deve oltre 2 milioni di euro. Rigetto al quale Calì oppone il via libera avuto invece in febbraio dalla Prefettura di Palermo alla sua ammissione al Fondo di solidarietà per le vittime di richieste estorsive.
«Da quando ho deciso di non pagare il pizzo alle cosche di Bagheria - ribatte Calì al rigetto milanese - e ho rilevato una villa di Michele Greco per farne strutture ricettive, le intimidazioni che ho subìto dalla mafia non si contano. Parlano le sentenze. La mia vita di imprenditore, appesantita da contenziosi con la burocrazia dello Stato, è stata rovinata. Perciò quando per ben 4 volte ho sentito minacciata l’incolumità mia e della mia famiglia (oltre all’uomo che chiede informazioni sui miei figli all’uscita da scuola, ricordo il falso finanziere armato che inscena un controllo nell’agenzia di mia moglie), ho ritenuto doveroso denunciare. Le pressioni non mi permettono di rischiare. Apprendo con sollievo che, per la Procura, non erano avvertimenti mafiosi. Ma mi trovo io nei “miei panni”, fanno forse perdere lucidità, non il senso di protezione verso la mia famiglia. Denunciare la mafia, anche attraverso i social network, l’ho sempre considerato un dovere e anche un modo per difendermi, per non restare solo, perché tutti non possano dire di non sapere. E non credo - è il punto di vista di Calì - all’abbaglio collettivo di giornalisti, programmi tv e istituzioni sulla mia vicenda. Non ho immaginette da vendere, il mio interesse è che la mafia sia sconfitta. Cerco di dare il mio modesto contributo di vittima. E ora torno a indossare i miei panni e le mie scarpe» - così il CORRIERE della Sera dell'11 giugno.

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