Il delitto di via Buttitta - di Biagio Napoli

Il delitto di via Buttitta - di Biagio Napoli

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Tornatore lo mette nel suo film quando il giovane Peppino Torrenuova inciampa una sera su un cadavere caldo caldo, appena sparato, e va dai carabinieri e questi cominciano a babbiare. Quel morto, ucciso a scupittati alle spalle, era mio nonno, Saverio Di Cristina si chiamava, Sciavieriu.

Accussì me nonna arristò vedova e cu na picciriddra ri tri annuzzi. Comu avia a fari? Meno male che c’era la suocera e questa aveva quattro figlie femmine, erano quattro cognate che le tenevano la bambina, iddra sinni java a cammmariera a Palermo. Se l’era presa una marchesa che io neppure ricordo come si  chiamasse.

Mia nonna non si risposò più e tenne il lutto finchè non maritò la figlia, finchè non maritò mia madre, passarono venticinque anni, mia madre si sposò e la nonna, finalmente, u nivuru su livò per non portarle il malaugurio.

Mio nonno lo ammazzarono una sera di febbraio del ’44; aveva trentatrè anni, picciuttieddru, io non lo so se fosse un mafioso, ma era figlioccio del brigante Turiddru Galioto e quattro anni prima lo avevano mandato a Favignana, cunfinatu.

Puru avieva na para ri mal’amici, sacciu comu i chiamavanu, me lo diceva mia nonna quando parlava del  marito, unu era Siruoru u bruciaregni, l’altro lo chiamavano Ninu u lignutuojtu.

Che bella gente che doveva essere.

Se ne andavano infatti a rubare limoni e ortaggi, eranu saccunara, nelle campagne facevano quello che volevano, erano padroni, u campestru i piscava, gli dicevano che erano amici di mio nonno, che erano amici ru figghiuozzu ru brianti, u campestru i lassava iri.

altMio nonno però non ci andava a rubare, lavorava in campagna con il padre che possedeva dei terreni, ne vendette due quando era confinato, vendette i vigneti di contrada Lorenzo e di Rannino, per farlo liberare, tornare dall’isola, ai tempi della potatura mio nonno lo chiamavano a giornata per bruciare la ramaglia, lavorava e a rubare non ci andava, solo faceva l’intrallazzo ma, a quei tempi, chi non s’aiutava in quel modo?

Fu per questo che l’ammazzarono; un giorno, andando a Muntata, col treno, non ebbe una lite con uno che chiamavano Vicè u peri tisi? Lo conciò per le feste ca me nonnu era alto e forte, per questo u brianti lo aveva cresimato, e anche per il modo in cui sapeva usare il coltello e, forse, la lupara.

Quello gli disse che gliela avrebbe fatto pagare e mio nonno, dopo averlo gonfiato di botte che glielo dovettero togliere dalle mani, così gli rispose: “Se mi vieni di dietro magari può essere come dici tu, ma se vieni davanti non sarai tu e nemmeno la tua banda a farmela pagare!”

U peri tisi non se la tenne, o lo ammazzò personalmente ,naturalmente andandogli di dietro, o lo fece ammazzare, una sera, in via Buttitta, con lui c’era un altro, non è come la racconta Tornatore; e tutta la notte a terra li lasciarono, sulu i cummigghiaru cu na manta picchì subitu cuminciò a chioviri, tutta la notte piovve addosso a quei due poveretti, a matina eranu assuppati r’acqua . E quella sera non ne ammazzarono un terzo?

Questo però a Puntavugghi, forse faceva parte dello stesso gruppo di mio nonno, macari eranu chiddri rui, u bruciaregni ricu, e u lignutuojtu. Però quello che uccisero insieme a mio nonno si chiamava Orobello.

Ma, forse, questo Orobello non faceva parte della banda di mio nonno; o forse sì e allora o non sapeva di condurlo alla morte oppure, invece, lo tradì. Fu lui infatti che lo fece uscire di casa quella sera. Che scusa gli prese?

Mio nonno sedeva presso il fuoco, era febbraio e c’era molto freddo, alla fiamma si riscaldava. E i cani a lato. Ne aveva due che gli erano attaccati come lui era attaccato a loro. Così, alcune volte, brutte erano le sciarre con la nonna se pasta non ne cuoceva a sufficienza per dar da mangiare ai cani.

Pigghiava a pignata e fuori la buttava. “Tutti riuni stasira s’un mancianu puru i cani “. A picciriddra però la faceva mangiare.

Quei cani erano due bastardi, uno lo aveva chiamato Massaro perché era bravo a prendere la caccia  portargliela, l’altra Messalina. Aveva forse visto qualche film sull’antica Roma? A chista ci mancava a paruola.
Me nonnu perciò si quariava chi cani o latu. C’era sò matri che era venuta per la bambina, c’era a picci- riddra, c’era me nonna.
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Tuppuliano. Ci và sò matri.

Sciavieriu rintra è?” 

Sciavieriu a tia vuonnu”

Cu è?”

Mio nonno si alzò e andò alla porta. Fu allora che Messalina, come se presagisse qualcosa, cominciò a ringhiare.
Mio nonno spostò la tenda e guardò fuori.

Aspietta ca nesciu”
“Ma chi avi sta cana. Stasira unn’avi risiettu” disse mia nonna perché Messalina faceva avanti e indietro.

Mio nonno uscì e i cani appresso.
Anche quel tale Orobello che era venuto a chiamarlo, come ho già detto, venne ucciso e certo per eliminare un possibile testimone.

Dalla via Sindaco Scordato, unni stava ri casa me nonnu, andarono in via Buttitta ca è a strata ri ncapu; u tiempu r’arrivaricci e si sentirono i colpi della lupara che furono così tanti ca passiru truona, perché già qualche tuono s’era sentito, il temporale stava per arrivare.
Massaro si coricò accanto al padrone morto , Messalina ci livò a coppula fatta ri sangu e pajtiu pa casa.
Cominciò a graffiare la porta abbaiando.
Cosa a me figghiu ci ficiru” rissi a matri ri me nonnu. Iddra cu me nonna e ca picciriddra appriessu si pajtieru dietro Messalina.

I quattro suoru ri me nonnu, Pitrina, Sasa, Rosa, e Provvidenza, vennero dopo ca cu patri a casa avievanu arristatu, iddri stavanu in via Carollo, a strata o sutta, ntisiru ddru viva Maria ch’era scoppiato nel quartiere e uscirono e dopo venne il padre ca jera nno megghiu suonnu, quel cristiano si coricava presto, perché presto si alzava al mattino, alle cinque, usciva l’asino, mpaiava u carriettu, aspettava a so figghiu Sciavieriu per andare a lavorare in campagna.

A matri ri Sciavieriu appena u vitti ntierra si ci iccò ri supra. E diceva: “Assassini. Traritura. Di giorno il pane e di notte la roba vi deve mancare. Si devono aprire i cieli”.

Me nonna pigghiò a picciriddra e se la portò da una sorella perché non vedesse il padre morto.

Il padre di Saverio, che lo aveva sempre rimproverato per le cattive amicizie, diceva: “Lo sapevo io, lo sapevo, consiglio da me non ne prendevi vedi ora comu ti finiu?”

Tutta la notte così. Che strazio! Fuoru chiddri ru vicinanzu ca pigghiaru na manta e cummigghiaru i muojti.

Il beccamorto con le casse venne al mattino alle nove. E ddrocu cuminciò Massaru a lassarisi iri a muzzicuna.

Il beccamorto, che conosceva mio nonno, disse: “Cani degni del padrone. Un lu vuonnu tuccatu a Sciavieriu”.

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Biagio Napoli

 

P.S. ci scusiamo con  l'autore e con i lettori per un refuso: avevamo scritto in un primo momento'Il delitto di via Aiello', piuttosto che 'Il delitto di via Buttitta' che è il titolo corretto.

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