"O corte a Dio"

"O corte a Dio"

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Lunedì 17 maggio alle ore 17.30 a Villa Cattolica verrà presentato il volume di Sabina Montana dal titolo "O corte a Dio" - Prime architetture barocche a Bagheria: Villa Branciforti Butera. Vi proponiamo qualche passo dell' Introduzione di Nino Morreale e della Prefazione di Marco Rosario Nobile

..................................................................Perché Villa Butera ( ma noi "ba-arioti" da sempre diciamo "il palazzo" e ne definiamo il quartiere), prima "casena" del triste Don Giuseppe a metà-fine Seicento, è prima di prima "masseria" del ‘500, perlomeno.
Masseria (XVI secolo) - casena (XVII) - villaggio (XIX ) - città (XX); in questa catena evolutiva le ville barocche e i loro padrini stanno al margine, in aggiunta, mentre la famiglia Branciforti sta, da sola, al centro, come unico motore e guida.
Il primo nucleo urbano non nasce perciò né dalle masserie che rimangono solo temporanee residenze di lavoro, né dalle ville. Ma solo da e attorno a Palazzo Butera e grazie ad esso e ai suoi padroni avviene la trasformazione da campagna a città, nella seconda metà del ‘600.
Ecco lo scarto, la discontinuità, l'inizio che scegliamo.
La città non nasce dalle masserie quattro-seicentesche, non nasce dalle ville settecentesche, nasce dal disegno di una mente aristocratica, dal pessimo carattere, di qualche cultura spagnoleggiante, di un uomo che è figlio di un altro fondatore di città, Nicolò Placido che fa costruire Leonforte negli anni 30 del ‘600, di questo che è il primo uomo di cui conosciamo i sentimenti più intimi.
Alcune masserie rimangono tali, altre diventano ville, una sola diventa nucleo urbano, la masseria di Benedetto Rizzo, ma perché acquistata da don Giuseppe Branciforti.
Quasi alla fine di quella enorme ondata di "Città nuove" che tra metà ‘500 e metà ‘600 ha cambiato il volto demografico e urbanistico dell'isola con 120 nuove città quasi tutte sull'asse Palermo Agrigento.
Se così fosse la fondazione brancifortiana, pur mantendo l'originalità di una fondazione senza "licentia populandi", rientrerebbe in un più grande movimento e non sarebbe più frutto del rancore e del dolore di un principe, don Giuseppe Branciforti, che forse non era disperato come dice, ma certo non era digiuno di lettere se le parole "Ya la esperanza es perdida" sono tratte dalla commedia pastorale di Cervantes, Galatea, e quelle in italiano "al mio re"etc...sono calcate dalla Gerusalemme del nostro Tasso.
Ma soprattutto mette quelle lapidi e quel busto perché vuole lasciare un segno forte della sua presenza qui.

Il resto viene di conseguenza,e con piena libertà di scelta per ogni nuovo principe di Butera: il rovesciamento della prospettiva del caseno diventa Palazzo, i nuovi corsi, la nuova Chiesa, e poi la Certosa e il parco etc...e poi la lottizzazione dell'area compresa tra il Palazzo e lo "stratonello" per lo più a persone dell'amministrazione della famiglia Branciforti.
Una nascita teatrale-letteraria che si sovrappone ad una realtà agraria preesistente e che sarà seguita da un'altra sovrapposizione, quella degli spazi imperiosi, sovradimensionati, geometricamente potenti delle ville, a ricordare chi comanda e quanto gliene può importare della ristrettezza degli spazi, della suscettibilità degli altri nobili venuti prima ecc............................................................................................dall'Introduzione di Antonino Morreale

 

Per gli storici dell'architettura il Seicento siciliano costituisce ancora oggi uno dei secoli più problematici e difficili. In buona parte irrisolto appare l'intreccio tra la continuità del classicismo e quel complesso di eccezioni, di anomalìe e di ricerche che oggi denominiamo barocco,e che, almeno ai suoi esordi, appare connesso alla rinascita delle storie locali o a vicende strettamente autobiografiche.

Non fa eccezione in questo affascinante ed eterogeneo paesaggio il caso, studiato da Sabina Montana, di villa Butera a Bagheria, edificata alla metà del secolo,e che nel corso del tempo finisce per assumere connotazioni e ruoli differenti, avendo tra l'altro decisamente contribuito alla nascita di una città.

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Leggendo il libro di Sabina Montana si scorge un autorevole dominio multidisciplinare. Molto dipende dalla sua formazione, che contempla gli studi di architettura e quelli di storia, ma tutto il resto è dovuto alla sua personale sensibilitàe curiosità.

Intrecciare lo studio e in qualche modo connettere  aspetti diversificati, politici, sociologici, letterari, artistici, non appartiene certamente alle qualità comuni che si scorgono nel panorama attuale della ricerca italiana, segmentata in specialismi, talora asfittici, oppure ( molto più spesso) troppo propensa a facili quanto improvvisate invasioni di campo, con risultati e conclusioni involontariamente comici.

Non è il caso della nostra Autrice; i suoi ragionamenti seguono un filo serrato e un livello alto di problematicità e di contenuti, supportati da un dominio delle fonti e della bibliografia esitente e da un uso asciutto e concreto del linguaggio. Anche pe rquestoi non secondari motivi, il libro che presento appare uno dei contributi più interessanti che la storia siciliana di questo periodo possa vantare.  Dalla Prefazione di Marco Rosario Nobile

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