Cronaca

Non è durato molto il silenzio dell'ex assessore al Territorio Gian Maria Sparma, già di An e di FLI, capo della segreteria tecnica del sottosegreatrio Adolfo Urso, vicecapo di gabinetto del ministro dell'ambiente Corrado Clini, oltre che dirigente del settore pesca.

Un curriculum di tutto rispetto con relativi dignitosi stipendi, ma non disdegnava, lo ha ammesso lui stesso nel corso dell'interrogatorio con il p.m. dell'inchiesta Gaetano Paci, le ragalìe di Fausto Giacchetto.

Ed a conclusione dell'interrogatorio, assistito dall'avv. Maurizio Panci, Gian Maria Sparma ottiene dal Tribunale del riesame i domiciliari.

Lo riporta il Giornale di Sicilia di oggi in un articolo a firma di Riccardo Arena

Sparma ammette di avere intuito su cosa si fondava il sistema Giacchetto e di avere attinto a piene mani a quel sistema di regalìe che giuridicamente configuravano però la corruzione

Di fronte alle contestazioni precise del p.m. che partivano dalle  dichiarazioni dei collaboratori di Giacchetto, Gian Maria Sparma non ha alternative e racconta tutto.

E parte da lontano, a partire da un viaggio in Tunisia assieme a Gentile e Scalia, tutto spesato da Giacchetto; ed i viaggi erano uno dei benefit più graditi, perchè parla anche di un fine settimana a Taormina presso l'Hotel Atalantys Bay naturalmente con moglie, e sempre accompagnati dalle coppie Scalia e Gentile oltre alla Monterosso e al di lei marito.

Sollecitato dal p.m. ricorda anche due fine settimana presso l'esclusivo Kempiski Resort di Mazara del Vallo, per un valore di 1.000 euro.

Ma non solo viaggi week end: anche una busta con 5.000 euro, oltre ad una serie di benefit minuti.

A partire dai biglietti per una partita Milan-Manchester da regalare ad alcuni amici irlandesi, Sparma aveva anche ottenuto in uso per il suo viaggio di nozze di una carta di credito Superflash usata per un ammontare di 1.000/1.500 euro.

E poi un appartamento in uso gratuito per tre mesi in via Pignatelli Aragona, un abbonamento Sky, spese varie per traslochi, un televisore del valore di 500/600 euro, e il pagamento di un intervento chirurgico alla clinica Quisisana di Roma per un valore di 3.000 euro.

Naturalmente Gian Maria Sparma quando era assessore informava Giacchetto sui lavori di giunta per quanto di suo interesse.

Un solo neo in questo rapporto idilliaco: un litigio perchè Saprma non aveva voluto intervenire per un verbale della Guardia Forestale elevato a Giacchetto per una piscina abusiva realizzata nella propria villa in contrada Celso.

Ma poi avevano fatto pace;  e Giacchetto pensava di avere risolto tutto dando 5.000 euro ad un commissario della Guardia Forestale, poi arrestato e che aveva dato il via ad un'altra inchiesta che allargatasi a macchia d'olio ha coinvolto diversi componenti del presidio della Forestale a Bagheria.

 

 

Due anni fa, a Bagheria, l’ultimo latitante tra i boss stragisti passa indisturbato per le strade della città: prima di lui, un’auto identica sperona un’altra vettura e fa saltare il piano dei Carabinieri

Lo sostengono Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza  in un articolo pubblicato oggi sul periodico on line  Antimafia duemila.

Riportiamo integralmente il passaggio più significativo dell'articolo, che è una vera e propria rivelazione.

Avvisati da una fonte confidenziale, due anni fa, a Bagheria, i carabinieri arrivarono ad un passo dalla cattura del superlatitante Matteo Messina Denaro.

Il boss trapanese viaggiava a bordo di un fuoristrada di colore scuro, con i vetri oscurati, guidato dal proprietario di un noto ristorante della zona, ma i militari che avevano predisposto il posto di blocco vennero ingannati dall’auto di staffetta, un fuoristrada identico al primo, che davanti ai carabinieri speronò un’auto creando un diversivo, e consentendo così la fuga all’ultimo dei boss stragisti rimasto in libertà. 

L’episodio, con altri dettagli investigativi, segnalato al generale Giampaolo Ganzer, allora comandante del Ros, è uno dei nuovi elementi di indagine contenuti nei due esposti presentati dai marescialli dei carabinieri Saverio Masi e Salvatore Fiducia, che hanno denunciato i loro superiori gerarchici, accusandoli di avere intralciato le indagini finalizzate alla cattura di Bernardo Provenzano e Messina Denaro.

Sono sei , secondo quanto riportato nell'articolo di Antimafia duemila- gli ufficiali della caserma Carini (e due di essi da entrambi i sottufficiali) denunciati dai colleghi per una serie di reati gravi che vanno dal concorso in associazione mafiosa, al favoreggiamento personale aggravato dall’art. 7 e all’omissione di atti di ufficio.

Masi e Fiducia sono stati ascoltati nei giorni scorsi dal procuratore aggiunto di Palermo Vittorio Teresi al quale hanno raccontato anche altri episodi non contenuti negli esposti e che potrebbero riaprire capitoli già definiti della lotta alla mafia di questi anni, riscrivendone la dinamica, a cominciare dalla mancata irruzione, tuttora misteriosa, nel covo di Riina in via Bernini, il 15 gennaio del 1993.

 Masi - si dice nell'articolo - segnala anche che a casa di un consigliere provinciale Udc, Giovanni Giuseppe Tomasino (arrestato per una storia di appalti truccati) , uno degli ufficiali da lui denunciati omise di sequestrare il personal computer dell’uomo politico.

Masi nel suo esposto scrive di aver saputo “che a casa del Tomasino si trovava un computer, al cui interno erano presenti documenti relativi sia alla gara d’appalto richiamata, oltre a documenti ricattatori e scottanti riguardanti l’Onorevole Salvatore Cuffaro”.

Naturalmente il sottufficiale denunciò il tutto ai superiori, compresi “gli atteggiamenti e i modi esageratamente confidenziali tra il capitano dei carabinieri che condusse l’operazione ed il Tomasino”, ma la sua denuncia rimase, anche in questo caso, senza esito.

Il sottoscritto scrive Masi - ha saputo da altri colleghi che sono stati avviati accertamenti sul capitano e sulla moglie dello stesso, la quale avrebbe percepito dei compensi per delle perizie professionali, per le quali si sarebbe prodigato anche l’On. Cuffaro”.

E senza esito è rimasta anche la segnalazione al Ros della fuga spericolata di Messina Denaro dal posto di blocco di Bagheria, conclude l'articolo.

Articolo tratto da Antimafia duemila

 

 

Dopo l'attentato incendiario allo spazio espositivo di auto della Calìcar a Casteldaccia, e i 'consigli' di due personaggi che sono andati a trovarlo nella nuova concessionaria aziendale ad Altavilla Milicia ora  a Gianluca Calì sono arrivate due telefonate, la prima di 5' e la seconda di 4' e 40",  in cui a conclusione viene minacciano di  morte.

E' scosso Gianluca Calì, sente tutta addosso la tensione di situazione difficile, che in qualche modo lo ha fatto diventare simbolo della battaglia antiracjet;lui che sin dall'inizio ha detto:"Voglio solo lavorara e serenamente e continuare l'attività che ho sempre fatto".

Gia ieri sera dopo aver pubblicato sul suo profilo facebook la notizia delle telefonate ha cominciatoa ricevere decine e decine di messaggi di solidarietà.

"Sono queste ci dice la cosa che mi danno la forza di non arretrare; Lo confesso - ci dice - sono abbattuto  e preoccupato, ma  sentire  accanto a me la solidarietà della gente comune, altri imprenditori che mi invitano a tenere duro, e soprattutto la straordinaria professionalità dei magistrati e delle forze dell'ordine sono le cose mi fanno sentire più tranquillo:'

Non lesina i riconoscimenti alla professionalità e all'impegno del maggiore Francesco Tocci, comandante della Tenenza di Bagheria, del magistrato Leonardo Agueci e di quanti indagano per smascherare i potenziali estortori.

Da quando, suo malgrado, è diventato il centro dell'attenzione delle iniziative dei movimenti antiracket e antimafiosi, ha cercato sempre di dedicarsi al suo lavoro con il massimo di serenità necessaria, anche perchè in tanti casi la solidarietà verbale si è tramutata in vicinanza concreta. Ed è questo, ce lo ripete tante volte, è il carburante che gli dà la forza di proseguire.

Non ha nessuna o intenzione di gettare la spugna, Gianluca Calì, ma mette in guardia contro un altro nemico subdolo delgi imprenditori in difficoltà che in questo momento sono tanti.

'Il pericolo sempre in agguato è l'usura - ci spiega - quelli che si presentano con l'atteggiamento di volerti dare una mano e  come tali vengono spesso percepiti da commercianti o imprenditori 'deboli' economicamente'. Sono quelli invece che con la loro presunta 'disponibilità'  insaponano la corda per costringere chi è in difficoltà a mollare."

Quando lo abbiamo chiamato Gianluca Calì si trovava a  Milano, dove ha un'altra azienda di commercializzazione di auto nuove e usate, e conclude la telefonata con un appuntamento : 'Tornerò di proposito in Sicilia martedì prossimo,- precisa - quando, ma era già prevista, si svolgerà a Bagheria alle 18.30 nell'aula consiliare una manifestazione contro il pizzo e l'usura , organizzata dal Centro Studi Pio La Torre, ed alla quale parteciperanno oltre che esponenti dell'imprenditoria e delle realtà associative, anche rappresentanti delle forze dell'ordine e della magistratura inquirente'.

 

 

Nuovi controlli a tutela della legalità del mercato e del consumatore finale nel settore della distribuzione carburanti sono stati effettuati la scorsa settimana dalla Guardia di Finanza di Palermo, anche in risposta ad alcune segnalazioni pervenute al numero di “Pubblica Utilità 117” da cittadini palermitani, riguardanti presunti casi di abusivismo e di frode nella erogazione di minor quantitativi di carburante rispetto a quelli “pagati” e mostrati dal “display” della colonnina di erogazione ovvero per rendimenti non ottimali delle autovetture dopo i rifornimenti.

I controlli hanno riguardato, oltre che l’osservanza degli adempimenti contabili ed amministrativi ed il possesso delle autorizzazioni di legge, la rilevazione delle giacenze dei prodotti energetici con prelievo di campioni, il controllo metrico tendente ad accertare l’effettiva erogazione di prodotto nelle quantità richieste, nonché la verifica dell’integrità dei sigilli apposti sui congegni elettrici ed elettronici che sovrintendono al funzionamento delle colonnine di erogazione in uso agli impianti.

Nei confronti di un primo impianto, le Fiamme Gialle del Gruppo di Palermo hanno appurato la manomissione dei sigilli metrici apposti ai dispositivi di taratura dall’Ufficio Metrico per evitare alterazioni dei congegni di misurazione, nonché l'alterazione di tali congegni su 3 colonnine di erogazione.

In dettaglio i finanzieri hanno scoperto che il gestore, mediante l’ausilio di un’artigianale strumento tipo “spillo”, agiva sui dispositivi contatori delle testine contometriche, il cui vetrino posto a protezione risultava facilmente rimovibile, in maniera tale da modificarne la lettura, in più o in meno a seconda della necessità, in modo da far “quadrare i conti” tra i registri contabili e le giacenze effettive dei prodotti petroliferi contenuti nei serbatoi.
Il tutto per dare “copertura” contabile a quantitativi eccedenti di prodotti, ottenibili per effetto di rifornimenti ai clienti in misura inferiore a quella indicata dalle colonnine ovvero di illecite introduzioni o recuperi di carburante in evasione delle accise, delle imposte dirette e dell'Iva e quindi “in nero”.

Un secondo intervento presso altro impianto di carburanti, ha portato i finanzieri del Nucleo di polizia tributaria, oltre alla scoperta di un identico caso di manomissione dei sigilli delle colonnine del distributore, ad appurare gravi irregolarità sotto il profilo qualitativo dei prodotti petroliferi commercializzati.

Infatti, da un lato è stata riscontrata la manomissione del sistema di misurazione, posto all’interno delle colonnine di erogazione e la sostituzione dei totalizzatori dei litri erogati e del relativo display, senza alcuna comunicazione all’Ufficio metrico della Camera di commercio, anche in tal caso strumentali all’esigenza di una “quadratura” dei conti per riallineare le giacenze contabili con quelle fisiche dei prodotti energetici detenuti, dall’altro lato è emerso che i campioni di prodotti petroliferi, prelevati all’atto dell’intervento ed inviati al competente laboratorio chimico delle Dogane, sono risultati non conformi alla normativa vigente in quanto costituiti da miscelazioni abusive di sostanze diverse o di infima qualità, anche denominate “più bassobollenti” per complessivi litri 9.907, spacciati parte come benzina, parte come gasolio per autotrazione.

Un terzo intervento è stato invece mirato al commercio “in nero” di carburanti ed ha portato al sequestro di un impianto privato di distribuzione di gasolio per il rifornimento degli automezzi aziendali ubicato all’interno di un deposito commerciale di prodotti energetici, illecitamente adibito alla vendita di carburanti alla stregua di una normale stazione di servizio.
La normativa vigente consente ad alcune imprese che dispongono di automezzi - quali le aziende di trasporto o i depositi commerciali - di installare negli spazi aziendali un distributore privato di carburanti per le esigenze dell’impresa connesse al rifornimento continuo dei mezzi, anche in orari di chiusura degli impianti commerciali della rete stradale; è fatto comunque divieto al titolare del distributore privato di cedere carburanti mediante l’immissione nel serbatoio degli autoveicoli diversi da quelli della propria azienda.
Ed invece, dai numerosi appostamenti e dalle indagini dei finanzieri del Nucleo di polizia tributaria effettuati al di fuori dei cancelli posti a delimitazione dell’area commerciale di un deposito palermitano, sono stati notati, in diverse occasioni, numerosi automobilisti in paziente attesa di effettuare rifornimento di carburante.

Intervenuti all’interno dell’area aziendale, poi, le Fiamme Gialle hanno rinvenuto diversi automezzi, tra cui autocisterne, in attesa di approvvigionamento all’ingrosso di quantitativi di prodotto energetico e autovetture private che attendevano in prossimità di una colonnina di erogazione di gasolio per autotrazione.

Dai riscontri operati nell’immediatezza, si è avuta conferma che si trattava di un punto di rifornimento, gestito come un vero e proprio impianto stradale, completamente abusivo, privo di certificazione antincendio e della prescritta autorizzazione alla commercializzazione di prodotti energetici al dettaglio.

Addetti alla pompa erogavano, a clienti privati, carburante ad un prezzo inferiore a quello mediamente praticato dai distributori stradali regolarmente abilitati, pari ad € 1,60.
Al termine dell’intervento, i finanzieri hanno sottoposto a sequestro la colonnina di erogazione ed il serbatoio a cui la stessa era collegata ed il gasolio in esso contenuto, strumentali all’esercizio dell’attività abusiva, ed hanno deferito alla locale Autorità Giudiziaria il rappresentante legale del deposito commerciale.

Sono stati avviati i necessari approfondimenti mirati a ricostruire il reale volume di affari, conseguito nell’esercizio della menzionata attività, nonché sulla legittima provenienza dei  

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