L'incidente del SUV: così Messina Denaro sfuggì alla cattura a Bagheria

L'incidente del SUV: così Messina Denaro sfuggì alla cattura a Bagheria

cronaca
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Due anni fa, a Bagheria, l’ultimo latitante tra i boss stragisti passa indisturbato per le strade della città: prima di lui, un’auto identica sperona un’altra vettura e fa saltare il piano dei Carabinieri

Lo sostengono Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza  in un articolo pubblicato oggi sul periodico on line  Antimafia duemila.

Riportiamo integralmente il passaggio più significativo dell'articolo, che è una vera e propria rivelazione.

Avvisati da una fonte confidenziale, due anni fa, a Bagheria, i carabinieri arrivarono ad un passo dalla cattura del superlatitante Matteo Messina Denaro.

Il boss trapanese viaggiava a bordo di un fuoristrada di colore scuro, con i vetri oscurati, guidato dal proprietario di un noto ristorante della zona, ma i militari che avevano predisposto il posto di blocco vennero ingannati dall’auto di staffetta, un fuoristrada identico al primo, che davanti ai carabinieri speronò un’auto creando un diversivo, e consentendo così la fuga all’ultimo dei boss stragisti rimasto in libertà. 

L’episodio, con altri dettagli investigativi, segnalato al generale Giampaolo Ganzer, allora comandante del Ros, è uno dei nuovi elementi di indagine contenuti nei due esposti presentati dai marescialli dei carabinieri Saverio Masi e Salvatore Fiducia, che hanno denunciato i loro superiori gerarchici, accusandoli di avere intralciato le indagini finalizzate alla cattura di Bernardo Provenzano e Messina Denaro.

Sono sei , secondo quanto riportato nell'articolo di Antimafia duemila- gli ufficiali della caserma Carini (e due di essi da entrambi i sottufficiali) denunciati dai colleghi per una serie di reati gravi che vanno dal concorso in associazione mafiosa, al favoreggiamento personale aggravato dall’art. 7 e all’omissione di atti di ufficio.

Masi e Fiducia sono stati ascoltati nei giorni scorsi dal procuratore aggiunto di Palermo Vittorio Teresi al quale hanno raccontato anche altri episodi non contenuti negli esposti e che potrebbero riaprire capitoli già definiti della lotta alla mafia di questi anni, riscrivendone la dinamica, a cominciare dalla mancata irruzione, tuttora misteriosa, nel covo di Riina in via Bernini, il 15 gennaio del 1993.

 Masi - si dice nell'articolo - segnala anche che a casa di un consigliere provinciale Udc, Giovanni Giuseppe Tomasino (arrestato per una storia di appalti truccati) , uno degli ufficiali da lui denunciati omise di sequestrare il personal computer dell’uomo politico.

Masi nel suo esposto scrive di aver saputo “che a casa del Tomasino si trovava un computer, al cui interno erano presenti documenti relativi sia alla gara d’appalto richiamata, oltre a documenti ricattatori e scottanti riguardanti l’Onorevole Salvatore Cuffaro”.

Naturalmente il sottufficiale denunciò il tutto ai superiori, compresi “gli atteggiamenti e i modi esageratamente confidenziali tra il capitano dei carabinieri che condusse l’operazione ed il Tomasino”, ma la sua denuncia rimase, anche in questo caso, senza esito.

Il sottoscritto scrive Masi - ha saputo da altri colleghi che sono stati avviati accertamenti sul capitano e sulla moglie dello stesso, la quale avrebbe percepito dei compensi per delle perizie professionali, per le quali si sarebbe prodigato anche l’On. Cuffaro”.

E senza esito è rimasta anche la segnalazione al Ros della fuga spericolata di Messina Denaro dal posto di blocco di Bagheria, conclude l'articolo.

Articolo tratto da Antimafia duemila