Cronaca

Il sequestro dei beni alla cosca bagherese ha permesso accertare come gran parte degli illeciti profitti fosse stata investita in beni mobili, immobili e complessi aziendali, intestati a prestanome compiacenti.

Fra i beni figurano:

- "VILLA GIUDITTA" via San Lorenzo, gestito fittiziamente da Michelangelo Maurizio Lesto e destinatario di investimenti da parte di Antonino Zarcone e Antonino Messicati Vitale.

- "Ditta CANDIS" operante del settore del movimento terra, riconducibile a Giacinto Di Salvo.

- "Agenzia di scommesse GOLDBET di Bagheria", intestata fittiziamente ad un familiare di Salvatore Giuseppe Bruno e riconducibile a Sergio Rosario Flamia

- Due supermercati intestati a prestanome e gestiti occultamente da Sergio Rosario Flamia con la complicità di Vincenzo Gagliano

- Ditta individuale "COSTANZO" intestata a Giuseppa Costanzo di Altavilla Milicia operante nel settore edile e riconducibile a Rosario La Mantia

- Ditta individuale "LOMBARDO" intestata a Giuseppe Lombardo di Altavilla Milicia operante nel settore edile e riconducibile a Rosario La Mantia

- Ditta individuale "L.M. COSTRUZIONI Srl" di Altavilla Milicia operante nel settore edile riconducibile a Raffaele Purpi

- "Impresa SCIANNA" intestata a Isidoro Scianna di Bagheria operante nel settore edile riconducibile a Pietro Liga

- Vari immobili, beni mobili e conti correnti riconducibili a Raffaele Purpi, Rosario La Mantia, Francesco Lombardo e Pietro Liga

Il valore stimato dei beni e dei complessi aziendali oggetto del sequestro si aggira intorno ai 30 milioni di euro.

Pubblichiamo integralmente alcuni passaggi del comunicato dell'Ufficio Provinciale Stampa dei Carabineri relativo all'operazione 'Argo'

L'ASSOCIAZIONE  PER   DELINQUERE

Le indagini, avviate nel 2011, hanno permesso di ricostruire gli assetti organizzativi e gli equilibri del mandamento mafioso di Bagheria, duramente colpito nell’anno 2008 con l’operazione Perseo, che portò all’arresto di numerosi affiliati e, tra questi, del suo reggente SCADUTO Giuseppe, uno dei protagonisti del progetto di ricostituzione della commissione provinciale di cosa nostra.

ZARCONE Antonino, già a capo della famiglia di Altavilla Milicia, assumeva quindi la reggenza del mandamento, gestendone le dinamiche criminali, in sinergia con i vertici del mandamenti più influenti del capoluogo palermitano (Porta Nuova, Pagliarelli, San Lorenzo/Tommaso Natale).

La sua ascesa veniva interrotta nel dicembre del 2011 quando, con l’operazione Pedro, finiva in manette unitamente ad altri uomini d’onore del mandamento palermitano di Porta Nuova.

Con l’arresto di ZARCONE Antonino, la compagine criminale bagherese evidenziava chiari segni di crisi, di cui si faceva interprete, una volta divenutone reggente, un anziano mafioso, DI SALVO Giacinto (detto Gino), già capo famiglia di Bagheria (durante l'operazione di fermo nella sua abitazione sono stati ritrovati 70.000 euro in contante n.d.r.)

Tale periodo di reggenza è stato caratterizzato da alcune vicende che hanno influito sulla rimodulazione delle articolazioni del mandamento bagherese, tra esse l’indebolimento del vicino mandamento di Misilmeri che, a seguito dell’arresto del reggente, LO GERFO Francesco, perdeva la famiglia mafiosa di Villabate che, quindi, transitava al contiguo mandamento di Bagheria.

Tale sostanziale cambiamento, a sua volta, traeva origine dalla fine della latitanza (con la cattura in Indonesia ad opera del Nucleo Investigativo, in collaborazione con l’Interpol) del capo della famiglia di Villabate, MESSICATI VITALE Antonino, che agevolava la ascesa criminale di LAURICELLA Salvatore, amico del MESSICATI e già a capo della famiglia mafiosa di Ficarazzi, al quale veniva affidato anche il compito di reggere la famiglia villabatese.

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Alla luce di quanto sopra, può affermarsi che, attualmente, costituiscono articolazioni del mandamento mafioso di Bagheria le famiglie di Bagheria (che comprende anche i territori della frazione di Aspra nonché del comune di Santa Flavia), di Villabate e di Ficarazzi, di Altavilla Milicia e di Casteldaccia.

Le investigazioni hanno permesso di dimostrare che la struttura della consorteria di Bagheria riproduce il classico assetto verticistico dei sodalizi mafiosi, caratterizzati da una chiara e definita ripartizione dei ruoli. DI SALVO Giacinto si colloca a capo del sodalizio, in quanto forte di un passato criminale che lo ha visto trarre in arresto, nel 1998, nell’ambito dell’operazione Grande Oriente, in quanto ritenuto responsabile di aver favorito la lunga latitanza di Bernardo PROVENZANO, anche ospitandolo nella sua lussuosa villa bagherese.

Dai servizi di intercettazione è emerso in maniera chiara ed inconfutabile che DI SALVO Giacinto costituisce un autorevole elemento di raccordo delle più significative manifestazioni criminali del mandamento, talvolta contestato dai suoi diretti collaboratori che gli imputano un atteggiamento rigido ed accentratore, spesso finalizzato al soddisfacimento di interessi personali. A tal proposito è illuminante una conversazione intercettata, avente come protagonista FLAMIA Sergio Rosario che, testualmente, afferma: … questi …non hanno quella mente imprenditoriale …. ma che è giusto secondo te che a Bagheria ci sono un sacco di ditte di queste … di movimento terra … e i lavori li deve fare tutti Gino (DI SALVO Giacinto)?

FLAMIA Sergio Rosario, pregiudicato per fatti di mafia, è uno dei più fidati collaboratori del DI SALVO, per conto del quale gestisce la cassa del mandamento di Bagheria. Egli, in qualità di capo decina, si avvale di un gruppo di spregiudicati e pericolosi picciotti, a lui fedelmente legati, investiti di incombenze di mero carattere esecutivo ed individuabili in BRUNO Salvatore Giuseppe, GIRGENTI Silvestro, MOZDHAIR Driss detto Andrea, CENTINEO Francesco e GAGLIANO Vincenzo.

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Sullo stesso piano criminale del FLAMIA, nella veste di capo decina, si colloca BARTOLONE Carmelo, già tratto in arresto nel 2005 per associazione mafiosa nell’ambito della operazione Grande Mandamento, recentemente tornato in libertà e subito reinserito a pieno titolo nelle fila del sodalizio.

Anch’egli, che svolge un ruolo determinante nel reinvestimento dei capitali illecitamente acquisiti, è a capo di alcuni soldati, con mansioni meramente operative e individuabili principalmente in GRANITI Vincenzo e LIGA Pietro.

Particolarmente significativo, al fine di lumeggiare lo spessore criminale del BARTOLONE, è uno stralcio del provvedimento cautelare, relativo all’operazione Grande Mandamento, che testualmente riporta:

…omissis…

BARTOLONE Carmelo risponde nel presente procedimento del reato di cui all'art. 416 bis c.p., quale componente della famiglia mafiosa di Bagheria, legato da peculiari vincoli personali e fiduciari con la famiglia EUCALIPTUS - in particolare con EUCALIPTUS Nicolò e con MORREALE Onofrio - ed impegnato attivamente sia nel circuito di trasmissione dei biglietti da e per il latitante PROVENZANO Bernardo, sia come prestanome nella titolarità dell’impresa SICULA MARMI, facente parte del patrimonio occulto del capomafia EUCALIPTUS Nicolò.

  ...omissis …

Il carisma del BARTOLONE è messo in evidenza in un’intercettazione nella quale GRANITI Vincenzo, interloquendo con un altro sodale, rimarcava l’assoluta devozione nutrita nei confronti del suo capo, così affermando: “…io a CARMELO, …(omissis)… però CARMELO io non lo abbandonerò mai...”.

Più specificamente, dalle investigazioni è emerso il ruolo determinante svolto dal BARTOLONE Carmelo nel:

- sostenere economicamente la famiglia di ZARCONE Antonino e quella di alcuni soldati, durante la loro detenzione;

- contribuire al finanziamento della cassa della famiglia, con parte degli illeciti profitti derivanti soprattutto dalle attività estorsive.

La mattina del 04 dicembre 2012, si verificava però un accadimento destinato a segnare significativamente le dinamiche della famiglia mafiosa di Bagheria.

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I Carabinieri della locale Compagnia, nel corso di un servizio di controllo effettuato sul conto di BARTOLONE Carmelo, per verificare il rispetto delle prescrizioni imposte dalla sorveglianza speciale di P.S., ne constatavano l’assenza.

La moglie, apparentemente per nulla allarmata, rappresentava ai militari che il marito si era allontanato volontariamente, portando con se anche una valigia con degli indumenti.

E, in effetti, il quadro complessivo delle risultanze investigative converge sull’ipotesi dell’allontanamento volontario del BARTOLONE, in considerazione:

- della sua caratura criminale e della certezza di poter ricevere appoggio dai suoi fedeli sodali anche per sostenere un lungo periodo di latitanza;

- dei contrasti avuti con DI SALVO Giacinto, tanto da fargli temere per la sua incolumità personale. Nello specifico, il DI SALVO avrebbe contestato al BARTOLONE il mancato versamento alla cassa del provento di alcune attività illecite.

Un’ulteriore chiave di lettura dei fatti di cui sopra, ci è fornita dalla conversazione intercettata fra Sergio FLAMIA e Vincenzo GAGLIANO, nel corso della quale il primo asserisce: “eh non solo! non solo si è andato a buttare latitante....ENZO se viene un uccellino e mi dice a me..."stai attento...guardati quando cammini e stai attento perchè...(incomprensibile)...il programma che vogliono ammazzarti che e come"...io mio tolgo il guinzaglio...ed affronto a chiunque perché sono onesto...ma se io mi attacco alla "lanna" (non contesto le accuse n.d.r.) e me ne vado … già la prima cosa che sto dimostrando è che...minchia ho torto...”. omissis ..cornuto ed indegno che è...ed è tanto cornuto...capace che pensa che sono io che lo volevo portare a morire...”.

Per quanto riguarda la famiglia mafiosa di Villabate, è emerso che è stata retta da MESSICATI VITALE Antonino, anche durante la latitanza e sino suo arresto, avvenuto in Indonesia. Costui, storicamente legato a MANDALA’ Nicola, ergastolano capo mafia villabatese, scalava i vertici della famiglia mafiosa di Villabate, succedendo a D’AGATI Giovanni (tratto in arresto nel 2009 nell’ambito dell’operazione Senza Frontiere).

Come già detto, successivamente all’arresto del MESSICATI VITALE, LAURICELLA Salvatore assumeva la reggenza sia della famiglia mafiosa di Villabate che di quella di Ficarazzi, che è riuscito abilmente a gestire grazie alla fedele collaborazione di uomini d’onore, quali LEONFORTE Atanasio Ugo, CIRRINCIONE Michele, FONTANA Salvatore e RUBINO Michele.

Con riferimento alla famiglia di Altavilla Milicia, le investigazioni hanno consentito di documentare la delicata fase di riorganizzazione del sodalizio in seguito all’arresto del suo capo, LOMBARDO Francesco. Le indagini hanno anche evidenziato il significativo ruolo svolto da alcuni sodali, tra cui Rosario LA MANTIA, Pietro GRANA’, Raffaele PURPI, Vincenzo GENNARO e Umberto GUAGLIARDO, non solo nella commissione delle estorsioni, manifestazioni criminali tipiche di cosa nostra, ma anche nella gestione e nel controllo della criminalità comune.

Inoltre, è emerso che il sodalizio si è occupato del mantenimento della famiglia del detenuto LIPARI Gaetano, insospettabile dipendente dell’ASL di Bagheria e noto per essere stato l’infermiere di PROVENZANO, che lo indicava nei suoi pizzini con il “numero 60”.

CONTINUA....

 

Dalle prime luci dell’alba, 200 Carabinieri del Comando Provinciale di Palermo e del R.O.S., al termine di una complessa attività d’indagine coordinata dalla locale D.D.A. (Procuratore Aggiunto dott. Leonardo AGUECI e Sostituti Procuratori dott.ssa Francesca MAZZOCCO e dott.ssa Caterina MALAGOLI), sono impegnati nell’esecuzione di una trentina di provvedimenti restrittivi nei confronti di soggetti ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsioni, rapine, detenzione illecita di armi da fuoco, scambio elettorale politico mafioso e traffico internazionale di stupefacenti.

In cima alla lista dei fermati c'è Gino Di Salvo, considerato il nuovo reggente del mandamento di Bagheria. Una vecchia conoscenza delle forze dell'ordine visto che avrebbe ottenuto i gradi di capo dopo avere finito di scontare una condanna per mafia. Il suo delfino sarebbe Sergio Flamia, anche lui già finito in manette nei giorni del blitz Perseo del 2008. Allora gli veniva contestato il solo favoreggiamento per avere messo a disposizione un suo immobile per ospitare i summit dei boss di Bagheria. Successivamente, sarebbe diventato il cassiere del clan.

Altro nome “importante” è quello di Salvatore Lauricella, figlio di Antonino, lo scintillone, il boss della Kalsa arrestato dopo un periodo di latitanza.

Lauricella jr sarebbe entrato in contatto con il clan bagherese, cheormai  comprende le famiglie mafiose di Villabate, Ficarazzi e Altavilla Milicia, grazie alla sua amicizia con Antonino Zarcone, braccio destro di Antonino Messicati Vitale scovato a Bali dove stava trascorrendo, anche lui, una latitanza dorata.

Completamente disarticolato il mandamento mafioso di Bagheria, storica roccaforte di cosa nostra. Oltre a pericolosi e temuti esponenti della consorteria mafiosa, sono stati arrestati anche il reggente e il cassiere del mandamento, nonché i capi delle famiglie mafiose di Villabate, Ficarazzi e Altavilla Milicia.

Le investigazioni hanno dimostrato come il sodalizio fosse organizzato secondo il tradizionale assetto verticistico proprio delle più antiche consorterie mafiose, riprendendone addirittura i rituali di affiliazione: la punciuta e la presentazione dei nuovi affiliati ai mafiosi più anziani.

In un’intercettazione ambientale, un uomo d’onore, discutendo con un sodale, paragona le nuove leve a giovani cavalli da trotto, da addestrare - se necessario - anche ricorrendo alle maniere forti: “quando vedi che nella salita fanno le bizze...piglia e colpisci con il frustino....sulle gambe...che loro il trotto non lo interrompono...purtroppo i cavalli giovani così sono”.

Le indagini hanno inoltre messo in luce una mafia ancora aggressiva e sempre più camaleontica, pronta a mutare gli assetti organizzativi (in tal senso, il passaggio della famiglia mafiosa di Villabate dal mandamento di Misilmeri a quello di Bagheria).

Una mafia che, se da una parte continua a vedere nell’imposizione del pizzo la manifestazione più visibile della sua autorità sul territorio, dall’altra è ben consapevole che, complice anche la crisi economica, è più che mai necessario ricorrere ad altre fonti illecite di guadagno, come, ad esempio, la gestione del gioco d’azzardo.

Le attività hanno anche consentito di rilevare la perdurante capacità della consorteria di condizionare le dinamiche politico-elettorali locali. E’ stato accertato, infatti, un patto tra alcuni mafiosi di Bagheria e un candidato alle scorse elezioni amministrative regionali avente per oggetto la promessa di voti in cambio di danaro.

Le acquisizioni raccolte hanno permesso di delineare un archetipo del fenomeno mafioso che, mediante l’intervento su istituzioni, pubblica amministrazione ed imprenditoria, opera per trarre profitti e vantaggi illeciti e che è anche capace di mettere a frutto gli utili conseguiti, riciclandoli abilmente in remunerativi investimenti intestati a prestanome compiacenti.

E’ stato pertanto sottratto alla disponibilità di cosa nostra, in quanto sottoposto a sequestro, un ingente patrimonio costituito da beni mobili, immobili e complessi aziendali costituiti da locali notturni della movida palermitana, agenzie di scommesse, imprese edili, supermercati, per un valore complessivo di circa trenta milioni di euro.

Le indagini hanno infine consentito di accertare, con la collaborazione della Royal Canadian Mounted Police, l’esistenza di un raccordo operativo nel settore degli stupefacenti tra cosa nostra bagherese e la famiglia mafiosa italo-canadese dei Rizzuto, documentando, inoltre, la situazione di instabilità interna alle organizzazioni canadesi, degenerata negli ultimi anni in numerosi omicidi. 

I bagheresi erano in affari con il clan dei Rizzuto, il cui ambasciatore in Sicilia era Juan Ramon Fernandez. Era stato espulso dal Canada un anno fa e si era trasferito a vivere a Bagheria. Da oggi e' latitante.

Infine, l'inchiesta svelerebbe i retroscena della scomparsa di Carmelo Bartolone. Alcuni mesi fa ha violato l'obbligo di soggiorno per andare chissà dove. Aveva finito di scontare una condanna a sette anni e mezzo. Faceva parte dello scacchiere di uomini a disposizione di Bernardo Provenzano. Una volta libero ha deciso lasciare la Sicilia. Secondo gli investigatori, avrebbe capito che rischiava di finire ammazzato. Nel nuovo scacchiere non c'era più posto per uno come lui a cui, forse, veniva contestata la cattiva gestione del denaro della famiglia mafiosa. 

durante la mattinata gli aggiornamenti con i nomi dei fermati e le foto

nella foto di copertina Maggiore Francesco Tocci, comandante della Compagnia dei CC di Bagheria

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