Cultura

Anche quest’anno, per la seconda volta, il bagherese Architetto Designer del gioiello Carmelo Maria Carollo sarà uno degli espositori della mostra “Nativitas Christi -

Il Natale nelle immagini devozionali dal XVI al XX secolo”. La mostra, realizzata dall’ A.I.C.I.S. - Associazione Italiana Cultori Immaginette Sacre, in collaborazione con la Comunità del Convento di Santa Maria sopra Minerva, in occasione dell’anno giubilare del proprio XXX anniversario di fondazione, è stata inaugurata il 7 dicembre 2012 presso il Salone del Chiostro del Convento di Santa Maria sopra Minerva a Roma. 

Si tratta di un’esposizione di immagini devozionali sul tema natalizio dal XVII al XX secolo ed è visitabile ufficialmente dall’8 dicembre 2013 da Piazza della Minerva n. 42, dalle ore 17,00 del 7 dicembre 2013 (inaugurazione) fino alle ore 19,00 del 6 gennaio 2014 ed osserverà il seguente orario 9,30 - 12,30 e 16,00 - 19,00, festivi compresi. 

Per Natale e Capodanno sarà aperta solo nelle ore pomeridiane.

Carollo, che è l'unico espositore di gioielli tra coloro che invece esporranno "santini", metterà in mostra 10 pezzi di gioielleria in argento. 

Nel dettaglio il designer proporrà due bracciali in lastra d’argento ed ottone traforato ed inciso a bulino, due medaglioni traforati incisi con basi in plexiglas.

Tutti i pezzi raffigurano la natività in forma stilizzata.

Foto di Giuseppe Fricano

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Salve. Questa è la seconda volta che scrivo un articolo per questa testata giornalistica. Sono un ragazzo che per 25 anni ha vissuto a Bagheria. Dentro di me ho le radici bagheresi, palermitane, siciliane.

Ho un Diploma Accademico di I livello conseguito presso il Conservatorio di Palermo e, da due anni, mi sono trasferito in centro Italia per studiare musicoterapia.

A L’Aquila c’è un buon corso, all’interno del suo Conservatorio. Io ho frequentato anche il corso quadriennale di Assisi.

In alcune nazioni, la figura del music-therapist, è considerata come una delle poche professioni utilizzanti la musica che può arrivare a guadagnare 135000 $ annui (faccio copia/incolla di un link che porta ad un articolo che ne parla: http://www.forbes.com/pictures/eeel45eehjf/music-therapist-2/ ).

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Purtroppo, molto probabilmente, non tornerò a vivere definitivamente a Bagheria. Secondo il mio modestissimo parere, si è riusciti a peggiorare le cose a tal punto da volerci troppi anni per recuperare, almeno in parte, la situazione. Sempre secondo il mio modestissimo parere, però, si può anche essere utili per dare una mano vivendo a distanza.

Qualcuno potrebbe dire che non ho il coraggio di tornare per lottare. Io preferisco pensare che non voglio rinunciare alla qualità della mia unica vita per rinunciare al mio benessere o per lottare contro i mulini a vento.

Per fare un esempio: ritengo che non si risolve la situazione portando la spazzatura davanti al comune per ricordargli che sta vicino le nostre case. Lo sanno benissimo, se lo ricordano tutti i giorni. Ma nella politica italiana ci sono altre priorità.

Ritengo, inoltre, che le manifestazioni servono a sensibilizzare i cittadini sui problemi che ci riguardano. Ma la storia ci insegna che i cittadini sensibilizzati non fanno altro che soffrire ancor di più per qualcosa che non riescono a risolvere.

In casi più estremi la sensibilizzazione non avviene, e non si fa altro che gridare il proprio disgusto. La voce esce potente dalla propria gola, ed inesorabilmente rientra dentro le proprie orecchie. Esattamente come colui che urla contro una vallata desertica, producendo un eco che sente soltanto lui.

Forse, una delle poche maniere che può portare a qualcosa, è quella dei più coraggiosi, che vanno alla radice dei problemi, la politica, e lottano, in maniera reale per fare qualcosa per cambiarla.

Loro si espongono, andando contro quel triste concetto di neutralità che porta soltanto a far finta di non essere di parte, a non far capire come funzionano esattamente le cose. La vera neutralità credo che si realizzi con i dati, precisi, e senza aggettivi.

Esempio. Se, all’interno di una testata giornalistica, si parla di cifre economiche, e si vogliono esporre soltanto dei dati, non si possono usare espressioni come “grosse cifre”, “situazione irrimediabile”. Si espone la cifra, e basta.

Essere neutrali, a mio parere, dovrebbe far parte della professione giornalistica, e di alcune cariche politiche. L’uomo non nasce per essere neutrale, ma lo impara. La professione dell’opinionista, o del critico, credo che sia di fondamentale importanza.

Ma se non si espongono le proprie opinioni, che dovrebbero essere complementari all’esposizione dei dati oggettivi, si rischia di far confondere enormemente le idee. C’è gente che ha difficoltà a mangiare, non si può essere soltanto neutrali. Però la gente ha bisogno di farsi un’idea personale, non possono essere esposti soltanto dati oggettivi.

Tornando al discorso iniziale. Io credo che si può fare molto, sia in loco che a distanza. Poco fa accennavo ad “una delle poche maniere”.

A distanza si può fare molto, dando anche il buon esempio ed esponendo le proprie opinioni, arrivando a dare, all’interno di un’epoca mediatica, delle idee. Quest’ultima operazione credo che sia stata, insieme alle rivolte, la cosa che ha prodotto i cambiamenti maggiori all’interno di tutta la storia dell’umanità. Ancora siamo in tempo per provare ad iniziare un lento cammino che potrebbe portare ad una crescita, senza, necessariamente, arrivare ad una rivolta.

 

altFaccio un esempio di un possibile contributo, che riguarda la mia professione. Un musicoterapeuta italiano, Alfredo Raglio, è riuscito a far partire un Master di I livello all’interno della facoltà di medicina dell’Università degli Studi di Pavia. Essendo uno dei pochi in Italia che fa ricerca scientifica in musicoterapia e che vive dignitosamente grazie al suo mestiere, credo che “non gli farebbe fare nessuno questa cosa”.

Chi sta all’interno delle Università sa benissimo quanto è difficile far partire un Master ideato da lui, specialmente se riguarda una professione sanitaria che nel proprio paese non è ancora riconosciuta. Lui ci è riuscito. Come affermavo prima bisogna andare alla radice dei problemi, e come direbbe il nostro Giovanni Falcone “Perché una società vada bene, si muova nel progresso, nell'esaltazione dei valori della famiglia, dello spirito, del bene, dell'amicizia, perché prosperi senza contrasti tra i vari consociati, per avviarsi serena nel cammino verso un domani migliore, basta che ognuno faccia il proprio dovere”.

Il suo unico errore, e mi espongo notevolmente nel dire questo, è stato nel comportarsi da eroe. Gli eroi hanno dato molto, a volte hanno cambiato le cose, ma lo hanno fatto in tempi diversi dalla nostra epoca.

Gli “eroi dei nostri tempi”, come ama dire qualcuno, non credo che abbiano molte speranze di riuscire nella loro impresa. Per il semplice fatto che siamo in una situazione tale che, chi si muove da solo, non ha proprio dove andare. Ma questo non significa che non ci sia niente da fare, e non deve portare al totale scoraggiamento. I metodi ci sono, ma molti preferiscono non esporli.

Preferiscono esporre la maniera per diventare ricchi senza sacrifici, come, per esempio, finanziare chi va in televisione senza saper fare qualcosa in particolare, soltanto per alleviare le giornate di chi segue determinate trasmissioni al fine di non dover fare alcuno sforzo per comprendere cosa accade in TV o su internet. Sta diventando l’epoca del non sacrificio, sta tornando ed essere l’epoca dei potenti che mantengono il proprio popolo ignorante.

La nostra nazione sta diventando la vignetta di Altan, quella del politico che usa l’ombrello col cittadino. Soltanto che stanno riuscendo, con arte, a realizzare un’evoluzione di questa tecnica: il cittadino non si sta più accorgendo dell’esistenza di quell’ombrello.

Spero di non essere stato troppo noioso. Mi farebbe piacere continuare a scrivere all’interno di questo sito, anche perché ho parlato di idee, di metodi, ma non ho fatto quasi nessun cenno su cosa si potrebbe fare. Vorrei concludere con un’ultima citazione, di Papa Francesco: “Non fatevi rubare la speranza”.

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Giampiero Carollo
 

Domenica 15 dicembre alla Galleria 'Pittalà' si conclude il 2013 con la mostra 'A propositi di Schmiedt'  di Daniele Schmiedt junior e senior: la mostra è curata  da Anna Maria Ruta

La Galleria Pittalà, sita a villa Casaurro a Bagheria (Pa), dal 15 dicembre 2013 al 20 febbraio 2014, ospita “A proposito di Schmiedt”.

Si tratta di un’esposizione che presenta le opere di due artisti siciliani omonimi dal cognome boemo: Daniele Schmiedt, vissuti in periodi diversi ma uniti dall’amore per l’arte e soprattutto da legami di sangue (nonno e nipote).

L’allestimento sarà diviso in due parti: nell’area laterale si potranno ammirare le opere dell’autore verista scomparso- considerato da illustri critici "il capo del realismo italiano"-, Daniele Schmiedt, esposte recentemente a Palazzo Sant'Elia; nell’area centrale, invece, verrà dato spazio alle sculture del contemporaneo Daniele Schmiedt che da sempre appassionato di natura e agricoltura, si è concentrato nella realizzazione di grandi animali in ferro e cemento per ampliare il suo bestiario, definito “Fantastico”, che va al di là dei confini dello spazio e del tempo.

Domenica 8 dicembre, dalle 11.00 alle 13.00, nei locali della suddetta galleria si terrà la preview per i giornalisti della mostra, curata da Anna Maria Ruta e realizzata dall’Associazione “Quelli di Pittalà”, mentre l’allestimento sarà inaugurato domenica 8 dicembre alle 19.00, in presenza del giovanissimo gallerista, Adalberto Catanzaro e del Soprintendente della Fondazione Sant’Elia, Antonino Ticali.

Daniele Schmiedt Senior (Palermo 16 gennaio 1888 – Messina 4 dicembre 1954), protagonista indiscusso del panorama artistico italiano del primo Novecento, svolge la sua attività creativa in un momento storico assai difficile ma ricco di fermenti culturali. L’intera produzione è attraversata da una luce di malinconia, rivelatrice di tutto il dramma di un’epoca tormentata che lo conduce verso un lavoro impregnato di serietà morale ed impegno sociale. Il tema del mondo del lavoro, i paesaggi peloritani sconfinati, le vedute urbane da fine del mondo in cui è assente la presenza umana, colgono elementi di disfacimento e sconforto pur nelle vivaci scelte cromatiche. Ed anche le nature morte, l’interesse per le figure femminili (madri, figlie, prostitute, lavoratrici, giovani e anziane) – immagini inedite per la pittura italiana di quegli anni – i nudi ed i ritratti sono colmi di solitudine, di disperazione, di fame causata dalla guerra. L’autore usa colori corposi e codici pittorici rielaborati, coniugando la ricerca figurativa tipica dell’arte pittorica del tempo, con la lezione impressionista, con il realismo ottocentesco e con il movimento sarfattiano (Bucci, Drudeville, Sironi, Funi, Oppi, Malerba, Marussig).

Daniele Schmiedt Junior (Firenze 30 dicembre 1954), dopo il liceo si iscrive a Scienze Forestali e inizia a dedicarsi alla scultura nel 1978, usando materiali di recupero come vecchie parti di attrezzi agricoli in ferro. La prima mostra personale allo Studio d’arte IL Moro a Firenze nel 1991. Tra le ultime mostre più significative: 1996 Innsbruck Tiroler Sparkasse,
1996 Creditanstalt Innsbruck, 1998 Altstadt Galerie Hall im Tirol, 2000 Salmagundi Club New York, 2000 Alpenzoo Innsbruck, 2005 Fiesole Collezioni, Museo Archeologico, 2005 Koermendi Galeria Sopron Ungheria, 2006 Chiostro delle monache Certaldo, 2008 Consiglio Regionale della Toscana, 2008 Villach. Da sempre appassionato di natura e agricoltura, attualmente vive tra Pisa, dove ha un’azienda agricola e il suo laboratorio, e Fiesole, dove collabora alla gestione della pensione Bencistà. Di lui hanno scritto:“… non si contenta più di scoprire e mantenere la forma contenuta in un certo materiale informe, ma quella forma appena intuita ora vuole inventarla, aiutandola a venire fuori con un lavoro creativo che piega la materia, nel suo caso il ferro, alle necessità della fantasia.” di Manlio Cancogni.
Tra i critici che si sono interessati alla sua arte, Angelo Ferragina, Stefano De Rosa, Hannes Niederlechner.
Al momento sta lavorando alla preparazione di grandi animali in ferro e cemento per ampliare il suo bestiario fantastico al di là dei confini dello spazio e del tempo.

La mostra è visitabile tutti i giorni dalle 18.30 alle 20.00.

Franchetti e Sonnino, due giovani studiosi settentrionali, compiono all’inizio degli anni settanta una inchiesta sulle condizioni della Sicilia. E’ una inchiesta privata, non governativa, i cui risultati vedranno la luce nel 1876.

Da essa, a proposito di Palermo e dei suoi dintorni, leggiamo: “Se poi, uscendo dalla città, si girano le campagne che la circondano, s’impongono agli occhi e alla mente segni anche più caratteristici di una civiltà inoltrata. La perfezione della coltura nei giardini d’agrumi della conca d’oro è proverbiale e ogni palmo di terreno è irrigato, il suolo è zappato e rizappato, ogni albero è curato come potrebbe esserlo una pianta rara in un giardino di orticoltura. Dove manca il verde cupo degli alberi di agrumi, l’occhio incontra le vigne coi loro filari lunghi e regolari, gli orti piantati di alberi fruttiferi, qualche uliveto, qualche raro pezzetto di terra seminata e dappertutto segni del lavoro più accurato, più perseverante, più regolare”. ( 1 )

Non facciamo fatica, specie sulla scorta di alcuni libri che dell’argomento trattano, ad immaginare per Bagheria e per i terreni non ricadenti nei suoi confini amministrativi ma che di bagheresi sono proprietà, quell’eden ambientale ed operoso sopradescritto.

Sono anni di grande sviluppo economico fondato, a Bagheria, soprattutto sulla coltivazione della vite che, già a metà del secolo, predominava su ogni altra coltura. Ma, come scrive Vincenzo Lo Meo, “la consistenza del vigneto sarebbe da lì a poco aumentata a seguito dello smembramento del feudo dell’Accia di proprietà ecclesiale voluto all’indomani dell’Unità dalla legge Corleo del 1862 che portò alla assegnazione nell’agosto del 1865 di circa 450 ettari di terreno incolto agli agricoltori del comprensorio”. ( 2 )

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Si trattò di circa un migliaio di bagheresi; ad ognuno di essi toccò mezzo ettaro di terra divisa in strisce strette e lunghissime, “ma era terra ottima “ e i braccianti e i piccoli proprietari cui, secondo Giuseppe Speciale, a Bagheria essa fu data, “erano eccellenti vignaioli. L’ex feudo sul quale al momento dell’esproprio furono contati cento alberi…divenne nel giro di pochi anni un immenso giardino"

Durerà un quindicennio; nel 1880 in Sicilia ( e a Bagheria ) giungerà la Fillossera che distruggerà le piante e l’economia del vino. I bagheresi allora si attrezzeranno per mutare tipo di coltura, economia e paesaggio agricolo.

Scrive ancora Vincenzo Lo Meo: “I terreni asciutti e quelli nei quali l’acqua non era abbondante furono utilizzati per buona parte e per i successivi trent’anni per la coltivazione del pomodoro e altre ortive in coltura asciutta che alimentarono una fiorente industria di trasformazione di conserve alimentari ed in particolare della salsa di pomodoro in scatole di latta all’epoca all’avanguardia in Europa”. ( 4 )

Ma l’industria conserviera aveva avuto un pioniere nella persona dell’imprenditore Giuseppe Verdone che, nel 1857, aveva creato a Bagheria il primo stabilimento e, nel 1879, dopo vent’anni di attività ,si era presentato ad un concorso, svoltosi a Caltanissetta, particolarmente importante perché comprendeva tutte le provincie siciliane.
Scrive Emanuele Nicosia: “Questo fu, per quanto ne sappiamo, l’esordio di Verdone e quindi della produzione bagherese sulla scena delle esposizioni agro-industriali in Sicilia”. ( 5 )

Per il periodo che ci interessa, cioè gli anni settanta dell’ottocento, dopo il vigneto la seconda coltura in termini di estensione era l’ulivo; terreni a sommacco e seminativi arricchivano il panorama agricolo.

E gli agrumi? Iniziava in quegli anni, con l’approvvigionamento dell’acqua per uso irriguo, il loro sviluppo. Dai soli 29 ettari ad agrumi censiti nel 1853 arriveremo ai 180 ettari del 1890; nessun paragone comunque con l’estensione della coltura del limone nella vicina conca d’oro ricca d’acqua. Ma, se questa era la diversità, i due territori avevano un denominatore comune: la violenza.

Riprendiamo Franchetti e Sonnino laddove essi, non fermandosi alla impressione del primo impatto, scrivono: “I colori cambiano, l’aspetto di ogni cosa si trasforma…in quel tal luogo è stato ucciso con una fucilata partita da dietro a un muro, il guardiano del giardino, perché il proprietario lo aveva preso al suo servizio invece di altro suggeritogli da certa gente che s’è presa l’incarico di distribuire gli impieghi nei fondi altrui, e di scegliere le persone cui dovranno darsi a fitto. Un poco più in là un proprietario che voleva affittare i suoi giardini a modo suo si è sentito passare una palla un palmo sopra il capo, in via di avvertimento benevolo, dopo di che si è sottomesso. …Le violenze, gli omicidi, pigliano le forme più strane . …Dopo un certo numero di tali storie, tutto quel profumo di fiori d’arancio e di limone principia a sapere di cadavere. …"

altLa violenza va esercitandosi apertamente, tranquillamente, regolarmente; è nell’andamento normale delle cose”. ( 6 )

C’era anche a Bagheria, perché di questo si tratta, la mafia? E quella violenza era nell’ordine delle cose anche a Bagheria?

Antonino Morreale annota i dati contenuti in un rapporto del 1877 del questore di Bagheria riguardanti gabelloti e campieri in odore di mafia i cui reati andavano dal taglio delle viti, al manutengolismo, al sequestro di persona, all’omicidio.

Costoro, su un totale di 42 proprietà, erano presenti in almeno 18 di esse. Vale la pena elencare queste proprietà : Scotto, Serradifalco, Incorvina, Rajata, Accia, Parisi, Marino, Aspra, Palma, Coglitore, Bellacera, Chiarandà, Cifalà, Spucches, Mondello, Sperlinga, Chiusa di Solanto, S. Marco. Esse appartenevano in genere a nobili, ma anche a borghesi e, perfino, al demanio ( Accia ).( 7 )

Per quanto riguarda la violenza a Bagheria durante quegli anni , non possiamo non rivolgerci al racconto estremamente realistico di Antonino Cutrera, delegato di P.S. e scrittore, tra i primi, di cose di mafia.

“Era a quel tempo cancelliere della pretura di Bagheria il sig. Gaspare Attardi…si mostrava molto zelante e rigoroso nell’adempimento dei suoi doveri d’ufficio, specialmente per la parte penale; perciò la mafia non lo vedeva di buon occhio. …Mentre una sera camminava sulla pubblica via, tenendo per mano l’undicenne figliuolo a nome Emanuele, nel rincasare, e precisamente mentre stava per porre il piede sulla soglia della sua casa, fu fatto segno ad un colpo di fucile, che gli freddò lo sventurato figliuolo”. ( 8 )

Il ragazzino morì l’8 novembre del 1874; pare che il padre avesse contribuito a riconoscere e fare arrestare un tale che si riteneva mafioso.
Aguglia Giuseppe era caporale delle guardie campestri di Bagheria. …Ligio al suo dovere…con zelo si prestava a favorire le autorità e la forza pubblica, fornendo tutte quelle notizie che potevano interessare la giustizia. …Trovandosi l’infelice Aguglia a passeggiare con la moglie per una via di Bagheria da uno sconosciuto fu ucciso con una pistolettata al cuore”. ( 9 )

L’uomo morì la sera del 15 giugno 1876; pare che, sconvolto dai misfatti compiuti dalla mafia, dicesse di volersi adoperare per un’opera di risanamento morale di Bagheria.

A "Tomaselli Ferdinando…in una sola notte gli recisero in un suo vigneto, ben dodici mila piante di vite; questo non bastando, occorreva fargli sapere che la sua morte era vicina, perciò nello stesso vigneto in mezzo agli avanzi della vandalica devastazione, formarono una specie di cataletto con canne; ai piedi posero una carica di polvere, ed una palla di piombo, su di una canna conficcata nel terreno un pezzo di carta con le parole in dialetto: Sei futtutu ( sei fottuto ), cioè, sei prossimo a morire...

La mafia anche questa volta provò che le sue minacce non sono vane: infatti due anni e mezzo dopo quel fatto mentre Tomaselli, verso l’alba di un giorno di maggio stava sulla via, fu avvicinato da quattro persone che gli fecero una scarica con i loro fucili e lo stesero morto al suolo. La sentenza era stata eseguita”. ( 10 )

Secondo Antonino Morreale, il Tomaselli ( che nel Morreale diventa Tomasello ) venne ucciso il 30 dicembre del 1876 ( e non a maggio ); e, probabilmente, le cose stanno così se, secondo lo stesso Cutrera, venne ucciso due anni e mezzo dopo il taglio delle viti che era avvenuto il 27 maggio del 1874; era un mafioso ma “verso il 1876 erasi manifestata una specie di antagonismo fra lui e i più influenti della mafia”. ( 11 )

Sciortino Francesco era un servo di Tomaselli, al quale era affezionato. … Non tardò neanche per lui la vendetta; dopo poche sere da due individui appostati poco lungi dalla sua casa gli furono sparati due colpi di fucile , che fortunatamente non l’uccisero”. ( 12 )

Perché quel tentato omicidio? S’era trovato “un fucile snodato a due canne, nel fondo Palagonia…pel quale appunto si sapeva nel pubblico che erano passati gli assassini…nel fuggire, dopo commesso il delitto”. ( 13 )

Lo Sciortino, fattasi consegnare quell’arma da chi l’aveva trovata, era corso a consegnarla al delegato. Antonino Cutrera riporta dunque tre omicidi e ( non considerando Attardi padre )un tentato omicidio ritenendoli “tali da darci una prova assoluta della capacità delittuosa della mafia”. ( 14 )

Ma, in quegli anni, numerosi furono i misfatti che a Bagheria si verificarono. Antonino Morreale, non calcolando il tentato omicidio Sciortino, evidentemente del ’77, elenca quanto di delittuoso avvenne dal 1872 al 1876, riportando 13 omicidi, 2 tentati omicidi ( compreso stavolta quello di Attardi padre ), 4 danneggiamenti ( taglio di viti ). ( 15 )

In una nota scrive: “ Per quei cinque anni una media annua di 2,6 omicidi e di 21 ogni 100 mila abitanti, cifre che fanno impallidire i 7 assassinati del 1960-66 ( media annua di 1 e quoziente 2,92 per centomila abitanti ) e i 16 del 1978-84 ( media annua di 2,2 e quoziente 5,70 per 100 mila abitanti ) periodi entrambi di intensa attività mafiosa “. ( 16 )

Responsabile di quella violenza fu ritenuta una associazione di malfattori che era chiamata dei Fratuzzi, considerata filiazione diretta di analoga associazione nata negli stessi anni a Monreale , detta degli Stoppaglieri.

Biagio  Napoli

 

NOTE
1.Leopoldo Franchetti, Sidney Sonnino, La Sicilia nel 1876, libro 1, Condizioni politiche e amministrative
della Sicilia ( L. Franchetti ), Firenze, Tipografia di G. Barbera, 1877, p. 2, archive.org>…> American Libraries
2.Vincenzo Lo Meo, Il limone perduto, I cinquant’anni della limonicoltura nel comprensorio di Bagheria,
Il nuovo Paese, Bagheria 2010, p. 34
3.Giuseppe Speciale, Introduzione a Bagheria Solunto Guida illustrata, Edizioni “Casa di Cultura “-Bagheria
1911, Ristampa anastatica a cura della Civica Amministrazione di Bagheria, dicembre 1984
4.Vincenzo Lo Meo, op.cit., p. 35
5.Emanuele Nicosia, Bagheria operosa, Istituto Poligrafico Europeo, Palermo 2010, p. 32
6.Leopoldo Franchetti, Sidney Sonnino, op. cit., pp.3-5
7.Antonino Morreale, La vite e il leone, Storia della Bagaria, Secc, XII-XIX, Editrice CIranna, Palermo 1998,
pp.405-410
8.Antonino Cutrera, La mafia e i mafiosi, origini e manifestazioni, Alberto Reber, Palermo 1900, pp.149-150
archive.org>…>American Libraries
9.Ivi, pp. 147-148
10.Ivi, p. 147
11.Ibidem
12.Ivi, pp. 148-149
13.Ibidem
14.Ivi, p. 147
15.Antonino Morreale, op. cit., pp.412-413
16.-Ivi, nota n. 87, p. 429

Settembre 2013 Biagio Napoli


 

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