"Appunti per una storia di Bagheria" II° Parte - di Giuseppe Speciale

"Appunti per una storia di Bagheria" II° Parte - di Giuseppe Speciale

cultura
Typography

La seconda puntata degli "Appunt per una storia di Bagheria" di Peppino Speciale:

"Alcuni “notamenti” di nascite, morti, battesimi e matrimoni, da me rintracciati nell’archivio Butera, ancora alla metà del ‘700 registrano come sparsa totalmente nelle campagne la popolazione che di lì a poco avrebbe dato vita al nuovo agglomerato di Bagheria.


Del resto è noto che il Dizionario topografico dell’Amico, apparso alla metà del ‘700, descrive la Bagarìa come un minuscolo villaggio abitato da non più di trecento “anime” che si ammassano nei "catoi" e nei “dammuselli” del palazzo del triste don Giuseppe Branciforti, conte di Raccuja.

Evidentemente la costruzione di una dimora come quella del Signore di Raccuja non poteva non esercitare una sensibile forza di attrazione nei confronti delle popolazioni sparse nella campagna.

Ciononostante Bagheria sarebbe rimasta a lungo poco più di un “baglio” se alle costruzioni del Branciforti e del Filangeri, sorte, come abbiamo visto, come rifugio in caso di epidemia e tumulti, a cominciare dai primi del Settecento non si fossero affiancate le diecine di ville auliche e meno auliche che ancora oggi si possono ammirare tra Bagheria e Santa Flavia.

E anche questo boom non è stato determinato dal caso.

Possiamo dire che c’è stata una mente che lo ha determinato: quella di Niccolò Placido Branciforti, che ebbe la straordinaria fortuna di ereditare alle soglie del ‘700, dallo zio Giuseppe Branciforti, conte di Mazzarino, le terre e il titolo di principe di Butera, e dall’altro zio, Giuseppe Branciforti, conte di Raccuja, il “casino della Bagaria” assieme ad altri possedimenti e benefici.

Nicolò Placido Branciforti che fu, dunque, il primo che con il titolo di principe di Butera possedette quello che a Bagheria per antonomasia è chiamato “il palazzo”, fu anche il primo ad intuire i notevoli profitti che avrebbe potuto ricavare dal possesso di questo bene che, rispetto ai tanti feudi e palazzi ereditati, poteva considerarsi tra le cose di minor valore.

Egli sfrutta a questo scopo la moda che proprio allora si andava diffondendo nell’aristocrazia palermitana della villa suburbana.
Per tutto il Seicento i baroni siciliani avevano profuso immense ricchezze nella costruzione dei loro palazzi lungo l’antico Cassaro, lungo la nuova strada aperta dal vicerè Maqueda e lungo la prestigiosa Via Alloro; adesso volevano la villa in campagna.

Com’è naturale e come del resto avviene nelle altre grandi città d’Europa nello stesso periodo, queste ville sorgono nella zona suburbana più vicina alla città, nel caso di Palermo soprattutto ai Colli.
Pr ribaltare questa naturale tendenza non bastano le bellezze naturali della campagna e del litorale di Bagheria. Ci vuole qualche cosa d’altro.

Un importante avvenimento politico viene in aiuto del principe di Butera.

Nel 1714 si conclude, con il trattato di Utrecht, la lunga e sanguinosa guerra per la successione al trono di Spagna rimasto vacante alla morte dell’ultimo Asburgo di Spagna.
I Borboni di Francia avevano conquistato il trono di Madrid ma avevano dovuto accettare lo smembramento di quello che era stato l’impero di Carlo V.
Essi riuscirono, tuttavia, a fare assegnare al duca di Savoia, loro alleato, la corona di Sicilia, che da tre secoli era posata sulla testa dei re di Spagna.

Il duca di Savoia venne a Palermo nell’autunno di quello stesso anno per essere incoronato nella cattedrale.

Preso possesso del nuovo regno il Savoia decise di visitare l’Isola. Prima tappa: Messina.
Il principe di Butera che, come primo pari del Regno, era stato sempre al fianco del nuovo re durante le cerimonie dell’incoronazione, organizzò una tappa a “Bagarìa”.
E ivi offrì un sontuoso pranzo al quale parteciparono anche i numerosi nobili che avevano voluto accompagnare il nuovo monarca in questa prima tappa del suo viaggio verso Messina.

Dopo il pranzo il principe offrì anche uno straordinario spettacolo: una bellissima danza sul toro eseguita da un agile e vigoroso bovaro baarioto nel cortile orientale del “palazzo”, secondo regole antichissime risalenti addirittura all’epoca micenea.

Fu questo il lancio di Bagheria come luogo di villeggiatura della più alta aristocrazia palermitana.

immagine

_______

I primi ad accorrere a Bagheria sono il principe di Palagonia, che inizia la costruzione della sua celebre villa addirittura nel 1715, il principe di Larderia e il principe di Comitini e, infine i Villafranca.
Tutti ottengono a censo dal Butera appezzamenti non eccessivamente estesi ritagliati da quelle 45 salme che il conte di Raccuja, alla metà del ‘600, aveva messo insieme acquistandoli da cinque diversi proprietari.
Una volta dato il là, naturalmente, altri potenti vengono attratti a Bagheria.
Fra questi (siamo attorno agli anni Venti del 1700) c’è il principe di Cattolica che, oltre ad essere un grande barone, è anche pretore cioè capo dell’amministrazione civica di Palermo.

Egli acquista il terreno che gli serve per la costruzione del suo massiccio palazzo al di fuori della proprietà Branciforti e, come se ciò non bastasse, sconvolge il millenario assetto della viabilità del territorio, deviando, a spese naturalmente del municipio di Palermo, la via Consolare subito dopo il ponte sull’Eleuterio e spostando il nuovo percorso verso la costa in modo da collegare la sua villa direttamente alla nuova arteria.

Se da una parte questa prepotenza del principe di Cattolica taglia fuori il palazzo Butera dalla principale via di comunicazione lungo la costa settentrionale dell’Isola dall’altra pone le condizioni per la nascita di Bagheria.
Molti altri nobili chiedevano di acquistare terreni nella zona di Bagheria per costruirvi le loro ville ma quasi nessuno si rivolgeva più ai Branciforti.
Il duca di Villarosa acquista ad esempio da quattro o cinque diversi piccoli proprietari la collinetta sulla quale sorgerà poi la villa che ancora oggi ammiriamo.
La stessa cosa fanno il principe di San Cataldo, i Galletti, i Torremuzza, i Rammacca, i De Spuches, i marchesi d’Arezzo e così via di seguito.
A questo punto il successore di Don Placido, il principe Salvatore Branciforti che detiene il titolo alla metà del ‘700, ha anch’egli una felice intuizione: progetta la costruzione di una vera e propria nuova città senza nemmeno chiedere al re la concessione dello “jus populandi” indispensabile sotto la monarchia feudale, per fondare un nuovo centro abitato.
Egli non ha altra strada per sfruttare a fini edilizi la sua vasta proprietà di Bagheria.

I baroni più ricchi non si rivolgono più ai Branciforti, come abbiamo visto, per acquistare i terreni per le loro ville, ma a Palermo esiste anche una pletora di piccoli nobili che vogliono imitare i più potenti anche se non hanno i mezzi per farlo.
Già lungo il viale degli Oleandri, in fondo al quale c’è l’ingresso principale del palazzo dei Branciforti, si sono andate allineando, sin dagli inizi del Settecento alcune modeste dimore.
Una di queste appartiene ad un ramo cadetto dei Lanza.

Il piano regolatore che il principe Salvatore Branciforti idea, prevede un viale diritto proteso verso il mare di Aspra e uno più corto che va nella direzione della baia di Solanto.
Naturalmente anche il suo palazzo deve cambiare fronte. Nasce così la facciata settecentesca che fa da sfondo a quello che per il momento si chiama lo “stratone” e che, molto più tardi, topo nomasti ossequiosi chiameranno corso Butera.
Il fronte che guarda verso Palermo con la torre e l’arco a tutto sesto con la famosa scritta “O Corte a Dio 1658” diventa così un lato secondario ed il portone che vi si apre verrà più tardi addirittura murato e sommerso da una miriade di misere casupole sorte sui primi terreni lottizzati dai Branciforti.

In questo stesso periodo viene eretta la Madrice che fa da sfondo allo “stratonello” (dopo l’unità d’Italia corso Umberto I).
Su questi due cardini avviene lo sviluppo urbanistico di Bagheria, dapprima lentamente, poi via via sempre più rapidamente.
E anche oggi i due assi tracciati oltre due secoli addietro dal principe Salvatore Branciforti condizionano gran parte della nuova espansione edilizia di Bagheria.

monaco

________

Per collegare il suo palazzo con la nuova strada costruita dai principi di Cattolica, il Branciforti incontra un grosso ostacolo. I suoi terreni, infatti, non arrivano fin là.
Al di là dei tre portoni c’è il loco del principe di Cattolica.
Il prolungamento dello “stradone”, da questa località alla Puntaguglia
(una monumentale pietra miliare posta nei pressi dell’attuale passaggio a livello della ferrovia Palermo-Messina fu vandalicamente distrutta agli inizi di questo secolo quando fu aperto il rettifilo per Aspra), ha dato origine ad una delle tante leggende sulle origini di Bagheria che pure come abbiamo visto sono abbastanza recenti. 

Secondo questa leggenda l’attuale corso Butera sarebbe stato tracciato dal principe di Butera con atto mafioso ante litteram nel corso di una sola notte.
Come tutte le leggende anch’essa ha il suo fondo di verità.
In realtà, la parte del corso tracciata con atto violento è quella che va dai “tre portoni” alla Puntaguglia.
La lite che ne derivò tra i due aristocratici fu successivamente composta da un compromesso patrocinato da un paterno vicerè.
Ma questa non è la sola leggenda.

Favorita dall’ambigua scritta che si legge ancora oggi sul fronte occidentale del palazzo Butera (“O Corte a Dio”) e da una non meno ambigua lapide che si trova nel cortile ovest, in cui il fondatore del palazzo don Giuseppe Branciforti, conte di Raccuja, accenna a ai servigi resi ai re di Spagna e all’ingratitudine degli stessi verso di lui, nacque la leggenda di un esilio volontario a cui il nobiluomo si sarebbe votato per elevare una solenne protesta politica contro la corruzione della corte spagnola e di quella vicereale.

Effettivamente il conte di Raccuja aveva dei seri motivi per lamentarsi del trattamento che la corte di Madrid gli aveva riservato in una circostanza decisiva della sua vita, quando cioè, alla morte della cugina Margherita Branciforti, avvenuta a Roma agli inizi del 1659, si aprì la questione della successione al titolo di principe di Butera.

Pretendevano l’importante titolo, e le più importanti ricchezze ad esso incorportate,( lo “stato” di Butera, che era il centro del dominio dei Branciforti in Sicilia, dava una rendita netta di 24.000 onze all’anno, cifra per l’epoca favolosa) due cugini, entrambi di nome Giuseppe e di cognome Branciforti, il primo conte di Raccuja, il secondo conte di Mazzarino.

Il conte di Raccuja era stato sempre un fedelissimo servitore della corona di Spagna. Tra l’altro dal 1653 al 1657 aveva ricoperto la carica di pretore di Palermo la quale veniva attribuita dal vicerè agli aristocratici che si erano distinti per la loro fedeltà alla Spagna.
Il Mazzarino, invece, era stato sempre guardato dagli spagnoli con sospetto. (Foto in alto: la Punta Aguglia ai primi del 900', le case di contrada Monaco, ritenute fra i primissimi insediamenti abitativi sul territorio bagherese; foto di copertina: i registri dei primi battesimi avvenuti a Bagheria presso la chiesa Madre)-

Peppino Speciale giornalista, politico, storico.

We use cookies

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). Puoi decidere tu stesso se consentire o meno i cookie. Ti preghiamo di notare che se li rifiuti, potresti non essere in grado di utilizzare tutte le funzionalità del sito.