Bagheria come un' infanzia (8) - di Biagio Napoli

Bagheria come un' infanzia (8) - di Biagio Napoli

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1-Via Vallone De Spuches.

Pesce di terraferma è il titolo di un libro dello scrittore bagherese Maurizio Padovano pubblicato l'anno scorso da Drago Edizioni.

Comprende due racconti brevi, uno dei quali ( Eros e tanatos ) narra di una impressionante caccia alle lucertole da parte di un gruppo di ragazzi e della cattura con un affucasiejpi di una di esse che verrà martoriata. Quei ragazzi si erano radunati al Fossazzo e questo, a Bagheria, davvero esisteva ed era, appunto, un enorme fosso nella strada del coffee house di villa Valguarnera, ai piedi di questa, dove quella strada fa la curva allungandosi poi n'Arizzi e oltre. Naturalmente dove c'era il Fossazzo c'è ora un villino. Non so però di un posto chiamato i Centoscaloni che, nel racconto, porta a una Gebbia Grande dove quei ragazzi faranno strage dei piccoli animali straziandoli con le fionde. L'undicenne protagonista del racconto , che s'accompagna a quei ragazzi di lui più grandi, sopporterà altre cattiverie ma saprà, alla fine, concedersi una rivolta totale nei confronti degli altri. Anche col mio gruppo si andava a volte a caccia di lucertole e a nessuno venne mai in testa di ribellarsi. Cambiava il posto ma la cattiveria non era minore. Ognuno aveva il suo filo di saggina con l'estremità a cappio, ognuno catturava la sua lucertola, si mettevano poi tutte assieme e si arrostivano in un fuoco apposta acceso. Era quanto andavamo a fare nel vallone De Spuches dove allora non c'erano ancora case né strade asfaltate. Ci si andava anche a cercare ferro, rame e alluminio e quando di questo materiale se n'era trovato abbastanza, si andava a venderlo a uno che si chiamava Ciccio Sorci e comprava il ferro vecchio dietro villa Palagonia.

2-I più grandi si davano delle arie.

I più grandi, ma avevano comunque i pantaloni corti, li vedevamo fumare soddisfatti, beatamente. Schiattavamo d'invidia. Gli portavano i soldi e il tabaccaio gliele dava le sigarette perché allora aprivano i pacchetti e le vendevano anche sfuse. Di quelli che fumavano, uno gli dicevano u ciuriddru. Con i fiori non aveva però nulla a che fare perché era uno spilungone sgraziato con la faccia piatta. Era un prepotente e,una volta , ci litigai. Naturalmente le presi ma non mi arrendevo. Io non mi arrendevo e lui continuava a darmele. Mi ci dovettero togliere di sotto. M'arriddrucivu chi spaddri chini ri bulli nivuri.
Ma quel Carmelo, u ciuriddru così si chiamava, dovette pentirsene. Due amici avevo, ch'erano più grandi ma non ricordo che fumassero, essi mi proteggevano , uno era naturalmente Michelangelo, quello delle pecore, l'altro si chiamava Vittorio ed era alto e grosso. Lo presero quel Carmelo e gli restituirono tutte le legnate che mi aveva dato. Ca junta. Anche Vittorio era di famiglia poverissima. Aveva una sorellina più piccola che, spesso, stava con noi. La facevano andare senza mutandine. Un altro che fumava aveva soprannome mezzo chilo, sicuro era un soprannome di famiglia. I più piccoli, in estate, prendevamo la barba secca delle pannocchie, l'avvolgevamo in un pezzetto di quella carta scura che s'usava per la pasta fresca, provavamo a fumare. Lo facevamo anche con la corteccia delle viti. Ci veniva meno bene.

3-

Filippo D'Amico aveva una sola gamba.

L'altra gli era scoppiata insieme a un ordigno di guerra trovato per strada.

Quando giocavamo, i palloni più alti però li prendeva lui

perché alzava in aria la sua stampella di legno.

palagonia4- Nni Palaunia.

Il quartiere, quello mio, non era proprio la zona di villa Palagonia , ma così lo chiamavamo , perché le era accanto , e si estendeva tra la via Roccaforte fino alla villa, la via Roma con i suoi cinema, gli ampi spazi che circondavano la scuola elementare, le tre strade sotto la scuola che collegavano quelle altre due e che avevano ( e hanno ) nomi illustri: via Amerigo Vespucci fino allo stadio, via Archimede, via Guglielmo Marconi. Non era difficile vedere girare per il quartiere gente che il lavoro se lo inventava. Noi giocavamo e questi strani lavoratori ( a volte erano ragazzini mandati a fare quella cosa dai padri ) o cu na busa o con il raggio di una bicicletta raccoglievano da terra, infilzandole, bucce di limoni o di arance o di manderini. Quelle bucce, messe in una cesta che portavano sulle spalle, le vendevano alle fabbriche. Quanto gli davano? C'era pure chi raccoglieva mozziconi di sigarette. E c'era chi raccoglieva tappi di latta. Noi però e lannicieddri ci giocavamo. Ognuna di quelle senza disegni valeva uno e, invece, quelle con i disegni a colori, valevano tre o cinque. Le più belle avevano il disegno di una corona ed erano i tappi delle bottiglie di birra. Ogni tappo di una gazzosa valeva invece uno. La sera, però, quand'era il tempo, giravano il quartiere l'uomo che vendeva i cajduna cuotti e quello delle pannocchie, anch'esse bollite. Il primo aveva la voce molto rauca, era un ubriacone, non visse molto perché, per una cirrosi alcolica, una sera butto' dalla bocca tutto il sangue che aveva e morì. L'altro si chiamava Francesco. Forse era un uomo anziano. O così pareva a me che ero bambino. Gridava:-Cavura cavura a pullanca!- La luce delle case che si aprivano inondava i ciottoli delle strade.

5-Cusimuzzu & Co.

Ma che miracolo andavano raccontando, cosa cercavano di guadagnare dicendo ai quattro venti che quella loro era la casa del miracolo? Cusimuzzu prima neppure era capace di camminare e ora, invece, poteva andarsene tranquillamente in giro. Eccolo il miracolo. Camminava aiutandosi con un bastone di scopa, strascicando i piedi, ridendo come uno stupido, incapace di trattenere la saliva; si vaviava e non era in grado di parlare. Come miracolo non c'era male. E c'erano, nel quartiere, altri due ragazzi che, se potevamo, cercavamo di sfuggire. Uno, a furia di sbatterlo, s'era ridotto il capo pieno di cicatrici. Quella testa, infatti, la scuoteva violentemente e incessantemente. Oltre a questo, la sua malattia, non so perché, gli faceva prendere dei mattoni o delle grosse pietre, portava dei mattoni o delle pietre, che stringeva fortemente al petto, camminando. Scuoteva la testa senza mai fermarsi, portava dei mattoni o delle pietre, e camminava rigido come un automa. L'altro aveva delle braccine e delle gambette ma una pancia enorme. Ci dicevano che quella pancia era piena d'acqua, come un'otre, così i suoi pantaloni erano corti ma larghi ed erano tenuti dalle bretelle ri so' stiessi cavusicchi. Ed era giallo come Matteuccio, mio cugino. Presto non si videro più. Puru Cusimuzzu.

Biagio Napoli

Ottobre 2016

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