Baarìa, la memoria nascosta nel film di Giuseppe Tornatore - di Piero Violante

Baarìa, la memoria nascosta nel film di Giuseppe Tornatore - di Piero Violante

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Pubblichiamo uno stralcio della riflessione di Piero Violante pubblicata sull'opuscolo "Baarìa, la memoria nascosta del film di Tornatore" edito da Ezio Pagano, e presentato sabato al Museum.

Chi - come me - è nato a Bagheria considera le immagini ricostruite con affetto da Tornatore, le persone e gli oggetti della sua ricostruzione come tante madeleines. Il loro sapore non solo ci fa ricordare ciò che Tornatore ricorda, ma anche ciò che nel film non si vede.

Lo scenario funziona come un armadio dei ricordi.

Di fatto dopo la visione del film, ma anche dopo la lettura della sua sceneggiatura, nottetempo sono stato bombardato da cose, riti, personaggi, rimossi da tempo, ma che da me volevano conto e ragione perché proprio loro fossero stati dimenticati da Tornatore.

Quei ricordi-personaggi, da bravi bagheresi, se la prendevano con il primo che incautamente li aveva evocati.

Anche se in verità altri amici, miei coetanei, hanno avuto la stessa esperienza. Il film ha messo in libertà fantasmi della memoria che reclamavano il proprio diritto alla rappresentazione. Ma non è solo la visione di un film o lo sguardo sulle immagini rubate sul set ricostruito a scatenare la memoria.
Basta parlare del film, raccontarlo, per evocare nell’interlocutore che non ha visto il film la stessa valanga di ricordi.

Mi è capitato con mio padre e mia madre ora ultraottantenni. Al racconto del film reagiscono subito subissandomi con una valanga di particolari, di storie, di personaggi, ma soprattutto di domande: i venditori di cardi che portavano i cardi dentro dei panari ci sono? E quelli della “quaglie” (melenzane fritte a spicchi) che andavano in giro con un piatto di alluminio per tenerle calde:” Quagghie cavuri aju”? Quando le quaglie finivano il venditore metteva al loro posto la forchetta che sbatacchiando comunicava che quaglie non ce n’erano più. E si sente “astura v’arrifriscanu”, che era la cantilena dei venditori di gelsi? E si vede u sangunazzu? E Donna Prudenzia c’è con la canna della pasta ad asciugare nnu stratuneddu?
E a ciacatarba c’è? E si vedono le vastedde con la ricotta e il caciocavallo a fili? E i carameli artia avvolti nella carta oleata?

Tra un quesito e l’altro, mi confermano la veridicità di episodi che non ricordavo, e apparentemente inverosimili come la morte di Petru Lanza che alla guardia che gli intima di alzarsi dal selciato dove ubriaco era scivolato, ribatte:”Stupitu…’un lu vitri ca staju muriennu… Mancu preju mi ci stati faciennu sientiri”.

Cerco di giustificare questi buchi,e che insomma Tornatore non poteva proprio mettere tutto, e ne elogio la straordinaria filologia, come ad esempio nel fare intravvedere le cassette con la retina del panettiere all’angolo ru stratuneddu.”Bravo -dice mio padre- ma in quelle cassette ci si metteva solo il piano di Palermo, Si vede?”
Ed è come quando Visconti pretendeva autentico champagne nelle coppe del brindisi della Traviata.

l guaio è che più si è filologi nel ricostruire la memoria, più la memoria diventa esigente. Faccio un esempio. Il film è tutto imperniato sulla strùmmula che ha l’anima, ossia la mosca che poi si libera alla fine del film. Ed è un finale incantevole.
Ebbene il gioco della strùmmula mi ha ricordato un altro gioco che aveva come colonna sonora la cantilena” rovè/rovè/ puru cu figgi du re”.
In autunno si andava a comprare di volta in volta una noce sutta l’Arcu, oscuro passaggio tra il Corso e la stradina parallela leggermente rialzata.
L’Arco confinava con la gelateria dell’Aurora.

Erano noci nerissime perché liberate da poco dal mallo nero perché maturo. Se ne sceglieva una battendola ripetutamente sul pezzo di marmo, gentilmente offerto dal venditore, per sentirne il suono. Se il suono era compatto la si acquistava e iniziava la sfida. Rovè/rovè consisteva nello sfidare un altro proprietario di noce per provare la più resistente. Si mettevano una sull’altra e lì una botta. La noce che si spaccava naturalmente perdeva. Il vincitore accettava nuove sfide: era un campionato ad eliminazione.

Ma com’erano dure e compatte le noci di allora.
 

Piero Violante e Nino Morreale nella foto di copertina. Piero Violante nato a Bagheria nel 1945 è docente di Storia delle dottrine politiche e Sociologia della musica presso l'Università di Palermo