Luca Salvemini: uno scatto di reni, un sussulto di dignità, questo serve ai siciliani

Luca Salvemini: uno scatto di reni, un sussulto di dignità, questo serve ai siciliani

attualita
Typography

Abbiamo realizzato questa intervista con il dirigente del Commisariato di Pubblica Sicurezza  di Bagheria Una lunga chiacchierata a tutto campo che vi suggeriamo di leggere attentamente

 

Cosa l'ha spinta a scegliere la carriera in Polizia?

Un misto di casualità e desiderio. Terminato il servizio di leva, come tanti neolaureati in Legge della mia età ho cominciato a studiare per il concorso in magistratura. Era il 1988 e a quell'epoca la mia più grande aspirazione era quella di poter diventare un pubblico ministero.

Sin da ragazzo sono stato un grande appassionato di cronaca politica e giudiziaria: l'avere "divorato" tanti libri sugli anni di piombo, sul terrorismo, su Cosa Nostra, ha fatto sì che quelle figure di Pubblici Ministeri e Giudici Istruttori - uomini di cui l'Italia deve continuare a sentirsi fiera - siano diventate un mio personale ed ambizioso punto di riferimento e di approdo.

Si sa, però, che il concorso in magistratura è piuttosto difficile e selettivo: durante la frequentazione di un corso di preparazione a quegli esami, appresi da amici dell'esistenza di un concorso pubblico per funzionari di polizia, che alcuni di loro avevano appena sostenuto e superato.

E questo le ha fatto cambiare idea?

Non scientemente: ma così, quasi per caso, seguendo le loro orme, mi sono ritrovato dopo alcuni mesi a cimentarmi anch'io in quel concorso, pur continuando a studiare per quello in magistratura. Una volta superato il primo, ho dovuto fare una scelta: rinunciare all'arruolamento in Polizia o abbandonare gli studi per magistratura.

A distanza di oltre 20 anni non sono affatto pentito della scelta fatta, anche se all'epoca colsi un velo di dispiacere sul volto dei miei genitori, per i quali l'abbandono dei miei sogni di ragazzo fu vissuto quasi come rinuncia ad un ulteriore impegno e sacrificio. Ma se ne sono fatti presto una ragione e credo di averli resi orgogliosi di me anche come poliziotto.

Quale era il suo incarico prima di venire a Bagheria?

Come ho detto, sono entrato in Polizia nell'autunno del 1989. Alla fine del corso di formazione a Roma - dove ho avuto modo di conoscere una giovane collega palermitana, poi divenuta mia moglie - ( in atto è dirigente del Commissariato di Polizia "Politeama" di Palermo n.d.r.) ho passato i primi tre anni alla Questura di Genova.

Nel 1993 sono stato assegnato alla Sezione di Polizia Giudiziaria presso il Tribunale di Perugia, che ho diretto per sei anni, vissuti in maniera molto intensa e professionalmente impagabili.

Nella primavera del 1999, anche alla luce di quella esperienza e delle capacità evidenziate, sono stato trasferito alla Squadra Mobile di Palermo: dopo tre anni in quel delicato ufficio, il passaggio alla DIGOS, ove ho prestato servizio per oltre sei anni. Dal gennaio del 2009 mi trovo qui a Bagheria come Dirigente del Commissariato.

Lei ha appena accennato ai lunghi anni trascorsi presso la DIGOS, quella branca della Polizia  che noi, cronisti "meno giovani" continuiamo a chiamare "Ufficio Politico". Come è cambiata la funzione di quest'ufficio rispetto a qualche decennio fa, allorchè serviva per "schedare" i cosiddetti estremisti, di sinistra soprattutto?

E' una domanda alla quale non è facile rispondere, perché immagino Lei si riferisca agli anni di piombo e agli scontri di piazza degli anni '70, da me vissuti come studente liceale.

Di sicuro è stata un'esperienza molto formativa, nella quale ho potuto mettere a frutto le mie antiche passioni giovanili e le mie conoscenze delle dinamiche sociali, politiche e sindacali.

Quello della DIGOS è un settore delle attività di polizia in cui, più che altrove, contano la capacità di ascolto, il modo di approcciare i problemi e le rivendicazioni dei tuoi diversi interlocutori (studenti, operai, disoccupati, sindacalisti etc.), ma anche la giusta fermezza ed autorevolezza nell'affrontare le masse, assumendosi le proprie responsabilità.

In che senso?

Quando ti ritrovi a fronteggiare una folla, in una piazza o in un'assemblea studentesca infuocata, in un consiglio comunale o a presidio di una sede istituzionale, in un blocco stradale o nello sgombero di un edificio occupato, conoscere i motivi di una vertenza o di una rivendicazione, avere un bagaglio di conoscenze su chi siano questi soggetti e di quali interessi siano portatori gli esponenti di quel partito, sigla sindacale o quel movimento, il mostrarsi interlocutore preparato e credibile trasmette serenità non solo a chi ti collabora nell'espletamento di quel servizio, ma anche a chi ti si contrappone.

In questo devo ringraziare mio padre, che mi ha fatto respirare quest'aria e questa passione sin dalla mia più tenera età.

Una protesta dei dipendenti del Coinres nel luglio 2008

Quanto ha influito sul suo carattere, sulle sue convinzioni personali, etiche e politiche, sul suo stesso modo di fare il poliziotto, il cognome che porta?

Mi viene da sorridere, perché questo è davvero il suo "pallino" di cronista, da quando per la prima volta si è presentato nel mio ufficio per conoscermi e presentarmi ai cittadini bagheresi attraverso le colonne del suo giornale. E' vero, Gaetano Salvemini, socialista e grande studioso della questione meridionale, storico ed antifascista della prima ora, è un mio lontano parente, nel senso che il mio nonno paterno era suo cugino, molfettese come lui.

Detto questo, è di certo mio padre Stefano, che purtroppo non c'è più da alcuni anni, il SALVEMINI del quale sono più fiero di portare il cognome.

Papà è stato per 35 anni un preside di scuola media inferiore, prima nella Provincia di Lecce e poi nel capoluogo: fondatore del primo sindacato di categoria ed animatore di un apprezzato circolo politico-culturale, è stato un punto di riferimento per generazioni di professori e studenti, che ne hanno apprezzato le qualità morali e culturali, le indubbie doti di equilibrio e saggezza.

Dopo essere andato in pensione, molti in città si sono chiesti se egli potesse ancora dare e trasmettere qualcosa di utile alla collettività, quella figura di "civil servant" di cui ha tanto bisogno la politica italiana: e fu così che, contro ogni aspettativa, nella primavera del 1995 egli divenne il primo Sindaco di Lecce ad essere eletto dai propri concittadini con il nuovo sistema elettorale.

Una stagione breve ma esaltante, che ha ancor più radicato in me e nella mia famiglia l'orgoglio di portare quel cognome a testa alta.

Ben altri motivi, e più vicini e recenti per essere orgoglioso del cognome che porta, quindi?

Senz'altro. Mi consenta di raccontare un piccolo aneddoto: lo scorso mese di gennaio ho preso parte, come tanti, alle esequie del Preside dell'I.T.C. "L. Sturzo" di Bagheria immaturamente scomparso, Salvatore Provenzani, ed ho ascoltato con attenzione le parole di chi ha voluto tributargli un ricordo ed un commosso saluto.

Sul sagrato della Matrice mi sono accorto, sorprendendomi io per primo, di avere gli occhi lucidi ed un nodo in gola, nonostante non avessi avuto la fortuna di conoscere personalmente il preside Provenzani.

Poi ho capito che stavo rivivendo un doloroso "flash back": le stesse parole dei ragazzi, le stesse testimonianze dei professori, lo stesso dolore di collaboratori ed amici, lo stesso cordoglio delle Istituzioni che io avevo ascoltato nel Duomo di Lecce il 16 maggio di otto anni fa.

E' come se in quella orazione funebre, in quella "preghiera laica" fosse condensato quel patrimonio di idee, di valori, di insegnamenti senza i quali, sono certo, sarei un cittadino meno consapevole ed un Funzionario dello Stato non all'altezza del proprio ruolo.

Una domanda legata alle sue funzioni: che peso ha la criminalità comune a Bagheria: scippi, furti , rapine, possono far pensare ad una vera e prorpia emergenza sicurezza?

Dai dati in nostro possesso non ci risulta nè un incremento percentuale nè una particolare incidenza di questi fenomeni, in considerazione anche del fatto che Bagheria e il suo interland, su cui si estende la nostra giurisdizione, conta centomila abitanti.

Ci sono senz'altro degli elementi occasionali che fanno innalzare il picco di episodi legati alla criminalità comune: il forte disagio economico, e la presenza nel territorio di gruppi, talvolta anche familiari di malavitosi, ma non vere e proprie "gang criminali".

Quando Polizia, Carabinieri e altre forze dell'ordine riusciamo ad assicurare alla giustizia qualche decina di questi personaggi, come è di recente avvenuto, si ha una riduzione dei fatti di criminalità comune a livelli "fisiologici" e viceversa.

Trovate collaborazione nei cittadini nell'espletamento del vostro lavoro?

Lei trocca un tasto dolente: a Bagheria, diversamente che a Palermo, dove le segnalazioni di individui sospetti che si accingono a commettere reati sono abbastanza frequenti, sono praticamente inesistenti.

La gente telefona solo quando vede messi a repentaglio un proprio bene o la propria incolumità, per il resto preferisce stare a guardare.

Queesto atteggiamento ci crea enormi difficoltà nell'individuazione dei responsabili di tanti reati, magari minori, che però colpiscono l'immaginario popolare: i furti di auto o di appartamenti, le rapine, i danneggiamenti ecc...

Noi auspichiamo una maggiore collaborazione dei cittadini: la gente deve guardare con fiducia alla Polizia; noi siamo qui anche per prevenire o intervenire tempestivamente se veniamo messi in condizione di farlo.

Quando veniamo chiamati a reato consumato troviamo spesso un muro di silenzio, e questo atteggiamento trova scarsa giustificazione.

Che opinione si è fatto in questi due anni e mezzo di Bagheria e dei Bagheresi?

Non sono un sociologo, né uno studioso di usi e costumi, ragion per cui non mi avventuro in analisi e confronti.

Da persona che vive da dodici anni a Palermo, dico solo che non trovo grandi differenze tra il bagherese ed il palermitano: entrambi non si rendono conto delle sconvolgenti bellezze naturali, della cultura che trasuda dai palazzi e dalle dimore storiche, delle enormi potenzialità turistiche e ricettive del territorio in cui vivono.

Così facendo, disperdono, se non addirittura distruggono essi stessi, ogni possibilità di cambiamento e miglioramento della qualità della vita e della civile convivenza.

Sono meridionale anch'io e quindi consapevole delle problematiche del Mezzogiorno: ma se il cambiamento non nasce dentro se stessi, se non modifichiamo noi per primi abitudini, stili di vita e mentalità, se non ci rendiamo conto che il rispetto del bene comune e della collettività, che vuol dire mio ma anche di tutti gli altri, richiedono una pratica ed un impegno quotidiani, finiremo col sottrarci ancora una volta alle nostre responsabilità.

Peggio, ci ritroveremo a delegare ad altri, sovente non diversi e migliori di noi, il compito di risolvere i problemi di tutti. Con il risultato di un sempre maggiore e preoccupante scollamento tra la società civile ed i suoi rappresentanti, eletti, nominati o, peggio, cooptati.

Giancarlo Caselli, Luca Salvemini, Giampiero Oteri, A.D. villa S.Teresa

Una domanda inevitabile: quanto pesa oggi la presenza della mafia nella mentalità dei cittadini bagheresi e nei loro comportamenti economici, politici e sociali?

Per rispondere a questa difficile domanda mi si impone una premessa, che non vuole essere una digressione.

Nella mia veste di Dirigente del Commissariato, ho preso parte, in questi anni, a diversi incontri, tavole rotonde, seminari, inaugurazioni, promossi da enti scolastici, associazioni, Istituzioni locali: tutti eventi pubblici nei quali entrava sempre, nel titolo o nella discussione, il binomio mafia/antimafia.

Ecco, se posso esprimere un disagio, l'abuso di questi due termini - come scrive Gianrico Carofiglio nel suo ultimo libro "La manomissione delle parole" - ne svuota il significato vero e confonde i piani di una corretta discussione, che riguarda principalmente la LEGALITA' ed il RISPETTO DELLE REGOLE.

In questa città vedo con tristezza tanta inciviltà, scarso senso civico, mancata consapevolezza di appartenere ad una "polis" intesa come collettività, il disprezzo - specie nelle giovani generazioni - delle più elementari norme di comportamento.

Norme e regole, si badi bene, che non sono soltanto quelle codificate e statuite per legge, ma soprattutto quelle dell'educazione e del rispetto degli altri.

Si é perso, spero non irrimediabilmente, il senso della legalità in senso lato, la stessa percezione che determinate condotte e modi di agire, a scuola come in famiglia, per strada come in un locale pubblico, alla guida di una moto o di una macchina, siano contrarie alle regole della civile convivenza.

In questo quadro desolante, fatto anche di un disagio economico sempre crescente e dell'acuirsi della marginalità sociale, non si possono attribuire responsabilità univoche e dirette alla mafia, per quanto possa essere radicata e presente nel tessuto cittadino.

Ci faccia  qualche esempio

Mi viene in mente, proprio a titolo di mero esempio, il problema dei rifiuti, della sporcizia delle strade e del decoro urbano in genere.

Sarà capitato a tanti di visitare o lavorare a Castelbuono, a Pollina o in altri Comuni delle Madonne: come Bagheria, ricadono anch'essi nella Provincia di Palermo e si trovano a poche decine di chilometri da qui.

Eppure quelle realtà trasmettono un senso di pulizia, di ordine, di osservanza delle regole, tipiche di ben altre latitudini.

Lancio una provocazione: si presentano in questo modo perché quei territori sono del tutto impermeabili ai condizionamenti criminali oppure perché nei suoi abitanti si é radicato nel tempo il concetto che è più bello, semplice, redditizio e conveniente mantenere le città pulite semplicemente non sporcando?

Non sarà che gli stessi amministratori pubblici, espressione di quelle comunità, hanno capito che a giovarsi di tutto questo, in termini di turismo, di accoglienza, di sviluppo economico, di posti di lavoro per i giovani, di immagine all'esterno sia anche il bilancio delle casse comunali e quindi l'intera collettività?

Non servono dunque convegni e dibattiti?

E' ovvio che servono, ma credo anche che ci sia la necessità di precisarlo, perché ritengo che la quotidiana pratica, solo verbale, dell'antimafia non possa essere la sola ed unica ricetta del male.

La verità é che siamo di fronte ad un crollo di valori e di punti di riferimento etici e morali, proliferato con la crisi dei centri primari di socializzazione (disgregazione delle famiglie; scuola pubblica sempre più marginalizzata e svuotata di strutture e risorse), cui neppure la missione pastorale della Chiesa riesce a far fronte e alle quali la Politica con la P maiuscola - ossia la Buona Amministrazione - non ha saputo fornire risposte adeguate, né in termini di trasparenza dei propri atti né in quelli di legalità dei propri apparati.

Dopo, e soltanto dopo, subentra il condizionamento criminale o mafioso, che a Bagheria c'è, che è magari radicato nella mentalità di molti ma al quale - è il mio opinabilissimo pensiero - non può attribuirsi in esclusiva la responsabilità di questo stato di cose.

A Bagheria esiste la pratica del pizzo? arrivano segnalazioni in questo senso?

Il pizzo è una dei canali con i quali la mafia si approvvigiona di risorse illecite per la propria sopravvivenza e sarebbe ben strano che a Bagheria, terra in cui la mafia in certi periodi l'ha fatta da padrona, non esistesse questa pratica criminale.

Però se c'è qualcosa che a Bagheria manca quasi del tutto, mentre a Palermo si intravede da alcuni anni un mutamento di rotta, è la sconfortante assenza di denunce alle autorità di polizia.

Sono in città da poco meno di tre anni, eppure si contano sulle dite di una mano gli imprenditori, i commercianti, i professionisti che hanno varcato l'ingresso del Commissariato per raccontare a me o ai miei collaboratori le vessazioni, le intimidazioni o le estorsioni subite: questo significa che a Bagheria la mafia non c'è?

Mi guardo bene dal fare una simile affermazione! Significa che combatterla è impossibile?

Neppure questo, come dimostrano recenti ed importanti operazioni condotte in questo territorio da Carabinieri, Polizia e Guardia di Finanza.

Ma sarebbe ora di finirla con gli scritti e le missive anonime che di tanto in tanto circolano tra i palazzi del potere, le redazioni dei giornali, gli uffici di polizia.

In questa "mission" verso la LEGALITA' tutti dobbiamo fare qualcosa di concreto, di visibile e percepibile dagli altri, ciascuno nella propria attività o professione, senza l'alibi di non voler passare per eroi o vittime sacrificali.

Come disse un celebre rivoluzionario "l'unica battaglia che ho perso è stata quella che ho avuto paura di combattere". Uno sforzo collettivo, uno scatto di reni, un sussulto di onestà intellettuale e dignità: ecco di cosa c'è bisogno.

A tutti i livelli.

Da parte di tutti, soprattutto delle giovani generazioni.

Perché solo così sarà possibile onorare la testimonianza e la figura di un grande palermitano come Paolo Borsellino, quando invitava gli studenti delle scuole che visitava "... a sentire la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell'indifferenza, della contiguità e quindi della complicità."

Nota Biografica

Luca Salvemini, 49 anni, sposato, due figli è dal gennaio 2009 drigente del Commissariato di Pubblica Sicurezza di Bagheria.

Per sei anni ha diretto la DIGOS di Palermo, dopo che per tre anni aveva prestato servizio a Genova, città dove è stato rimandato subito dopo i fatti del G8 del luglio 2001, per indagare sui fatti della scuola "Diaz", che portarono ad un procedimento penali contro dei poliziotti e loro dirigenti.

Un passaggio sull'attività di indagine di Salvemini su questi eventi si ritrova nel libro di Vittorio Agnoletto "Genova:l'eclisse della democrazia" (ed. Feltrinelli)