Cronaca minima di un tempo andato - di Mimmo Gargano

Cronaca minima di un tempo andato - di Mimmo Gargano

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La vicenda narrata può servire a misurare "a naso" gli anni luce che separano la scuola e l'etica privata e professionale  di oggi rispetto a quella di appena cinquanta anni fa.

Era l’anno scolastico 1957/58, ed era il primo anno che il prof. G. insegnava Lettere presso il Liceo - Ginnasio "Francesco Scaduto" di Bagheria, che al tempo vantava una certa reputazione, e che aveva i locali al primo piano dell'attuale plesso "G.Cirincione".

La classe che gli era toccata quell’anno era una quarta ginnasiale mista composta da una quindicina di studenti. Come succede un po’ in tutte le classi anche in questa c’erano dei ragazzi notevoli per capacità di apprendere e voglia di farlo, altri di cui si poteva supporre che avrebbero continuato gli studi stancamente fino ad un esito qualsiasi.

C’era infine un ragazzo, M. tredicenne appena, il più giovane della classe, che lo aveva presto colpito; dotato di una ottima preparazione di base, intelligente, interessato alle materie oggetto del suo insegnamento, ma da cui era difficile ottenere un impegno appena sufficiente.

Nel consiglio di classe di fine anno, dato che il ragazzo aveva insufficienze in quattro materie di primaria importanza, si dovette impegnare al massimo per ottenere che non venisse respinto ma rinviato all’esame di riparazione di settembre; arrivò a proporre, per non dare adito a sospetti di favoritismi, che fosse il preside C. a condurre l’interrogazione del ragazzo agli esami di riparazione.

(Accade talora che le conseguenze delle azioni, vadano al di là delle intenzioni di chi le compie e quella volta la personale battaglia del prof. G. diventò un caso in tutto l’istituto perché intanto, nella classe parallela, una ragazza che presentava le stesse insufficienze venne respinta).

Agli esami di riparazione il ragazzo, grazie all’impegno cui era stato costretto, dimostrò di avere superato brillantemente le insufficienze e fu ammesso alla classe successiva.

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Da quando M. aveva cominciato a frequentare la quarta ginnasiale non andava bene a scuola; i genitori lo sapevano e non se ne davano pace; durante le scuola elementare e le medie il ragazzo era stato per loro fonte di gratificazioni: tutti gli insegnanti, lo avevano giudicato molto positivamente ed era stato sempre promosso con ottimi voti.

Quell’anno la musica era cambiata e loro non sapevano più a che santo votarsi per modificare una situazione che tutti gli insegnanti descrivevano, come in una litania, in occasione dei periodici ricevimenti: vostro figlio è intelligente e molto capace, ma non si impegna. E a nulla erano valsi gli stimoli e le minacce, di solito solo verbali, ma condite dalla promessa di arricchirle di un contenuto fisico -che pure talvolta ci scappava-.

Attendevano perciò, il momento degli scrutini di fine anno con grande trepidazione perché il rischio che il ragazzo fosse respinto era purtroppo reale; da questi risultò invece che M. era rimandato a Settembre in Latino, Greco, Inglese, Matematica e, per buona misura, Educazione fisica.

Il risultato era deprimente e avrebbe oltretutto comportato un notevole impegno economico per la preparazione estiva; dato però che le attese erano ancora più negative, alla fine l’esito venne vissuto come un male minore.

Ben presto dopo che fu noto il risultato, tramite una parente che aveva partecipato agli scrutini perché titolare di una breve supplenza, vennero a sapere che tale esito era il frutto di un impegno personale portato allo stremo dal professore G. l’insegnante di lettere; ed allora, sostenuta, se non proprio indotta dalla parente/insegnante, nacque in loro l’idea di dimostrare la loro gratitudine a quel professore che tanto si era speso per evitare che M. dovesse ripetere l’anno.

La soluzione migliore apparve quella di portare in dono un paio di galletti ruspanti –allora in verità lo erano quasi tutti- al prof. G. che, essendo oltretutto un cittadino non avrebbe potuto non gradire il pensiero; sempre tramite la famosa parente riuscirono a conoscere l’indirizzo a cui il professore abitava a Palermo e a capire come arrivarci, e presi i due galletti, partirono con il "torpedone" della linea Cecala che allora collegava Bagheria a Palermo.

Durante il viaggio avvertivano un leggero imbarazzo, del resto inevitabile in due modeste persone di paese che si presentano al domicilio di un professore, figura circondata allora da un’aura di grande autorevolezza, ma erano confortati dalla serena convinzione di fare una cosa giusta e che avrebbe sicuramente incontrato il gradimento dello stesso.

Arrivarono a destinazione; il professore G. li accolse con urbanità; quando però fu chiaro il motivo della visita, il registro cambiò completamente; li investì con una reazione veemente: oltre a non accettare il dono (se proprio volevano potevano lasciare i pennuti ad un orfanotrofio che era proprio lì accanto), voleva sapere da loro il nome della persona che li aveva informati di quanto era successo nel consiglio di classe; intendeva infatti andare fino in fondo nel pretendere le dovute sanzioni disciplinari nei confronti dell’insegnante che aveva tradito la riservatezza della discussione avvenuta in consiglio..

Riuscirono a non dire quel nome, ma uscirono dall’incontro come cani bastonati; la reazione dell’insegnante li aveva mortificati profondamente, e proprio non riuscivano a penetrarne la motivazione; i due galletti che nel viaggio di andata sembravano un lieve peso perché simbolo dei loro buoni sentimenti, erano diventati, nel ritorno, un onere quasi insostenibile perché si erano trasformati nella materializzazione della brutta figura rimediata; inoltre si facevano strada nella loro mente pensieri preoccupanti: quanto e perché il professore si era sentito offeso?

L’episodio avrebbe modificato il suo atteggiamento nei confronti del ragazzo?

La vicenda poteva innescare conseguenze negative per M. agli esami di riparazione?

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Per M. quell’anno scolastico era stato un vero problema, non gli dispiacevano le materie di studio: il latino che aveva preso a studiare fin dalla prima media gli piaceva, e così il greco; aveva legato bene con i compagni di classe, gli piacevano i professori e tra questi, in particolare il prof. G. l’insegnante di lettere; era alto, bruno, aveva una lieve zoppia ad una gamba e una perenne espressione ironica che lo faceva apparire a M. molto simpatico; inoltre M. avvertiva che, malgrado il suo comportamento non fosse proprio da studente modello, la simpatia era ricambiata.

Quando a fine anno furono pubblicati gli scrutini fu un vero disastro; in famiglia i rimproveri e le minacce furono particolarmente aspri: ma capiva M. cosa significasse per la famiglia dovere sborsare centomila lire per la preparazione estiva? Non si rendeva proprio conto della condizione di favore di cui godeva rispetto ai tanti ragazzi mandati a lavorare, mentre la sua famiglia faceva tanti sacrifici per farlo studiare?

Fu un’estate di grande impegno; punto sull’onore, e asfissiato dalla litania circa il grande sforzo economico cui stava costringendo la famiglia, M. si mise di buzzo buono; a settembre arrivò ben preparato e superò facilmente gli scritti.

C’era però un pensiero fisso che lo teneva in grande imbarazzo ed era il rapporto diretto con il professore di lettere, inevitabile durante gli esami orali; conosceva ovviamente il risultato disastroso del gesto di cortesia dei suoi genitori -anche perché gli era stato messo da loro debitamente a carico-; quale sarebbe stato l’atteggiamento del professore?

Quando vide il professore G., al momento di iniziare l’interrogazione, alzarsi dalla cattedra chiamare il preside e cedergli il suo posto i suoi sentimenti furono un misto di sollievo per il fatto di evitare il rapporto a tu per tu con l’insegnante, e di timore, perché il preside C. era noto per essere persona severissima.

L’esame andò bene, fu ammesso alla classe successiva.

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Cominciò il successivo anno scolastico, M. frequentava ora la quinta ginnasiale, il numero degli studenti della classe si era quasi dimezzato rispetto all’anno precedente, erano rimasti in nove; mai il professore G. diede segno di ricordarsi dell’incidente dei galletti tanto che a poco a poco M. si rasserenò: evidentemente l’episodio era stato dimenticato.

Un giorno, per M. un brutto giorno, durante l’ora di italiano, il prof. G. leggeva e spiegava i Promessi Sposi; l’episodio era quello, notissimo, dei capponi di Renzo; in breve: l’avvocato cui Renzo si rivolge per essere assistito ed ottenere giustizia, quando scopre che la controparte di Renzo è don Rodrigo, manda via il poveretto in malo modo restituendogli anche, bruscamente, il paio di capponi che quegli aveva portato in dono per ottenere una migliore accoglienza.

E fu allora che avvenne il fattaccio: il professore G. alzando leggermente lo sguardo dalla pagina, e guardando di sottecchi M., con la sua espressione più ironica, fece: chicchirichìii!!

Mimmo Gargano

P.S.  Va da sè che lo studente ha poi proseguito brillantemente gli studi e si è  professionalmente affermato. Per quanto riguarda il professore G. è tuttora vivente, ha 88 anni, è vedovo senza figli, e ricorda ancora perfettamente l'episodio narrato. La Redazione
 

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