Cronaca

Sono pesanti le condanne ai presunti boss che comandavano a Porta Nuova e Bagheria. Il giudice per l'udienza preliminare Lorenzo Matassa ha condannato tutti e sette gli imputati: Calogero Lo Presti (14 anni), Tommaso Di Giovanni (16 anni), Nicola Milano (8 anni), Francesco Paolo Putano, 10 anni in continuazione con un'altra condanna come chiesto dall'avvocato Maurizio Savarese), Gaspare Parisi (14 anni), Gabriele Buccheri (10 anni), Antonino Zarcone (12 anni).

Pene pesanti, dunque, anche se "scontate" di un terzo come previsto per chi sceglie il rito abbreviato. Il Gup ha accolto le richieste dei pubblici ministeri Maurizio Agnello, Caterina Malagoli e Francesca Mazzocco

 Antonino Zarcone è stato giudicato in base al fatto che al momento dell'arresto era alla guida del clan di Bagheria.

Il Gup ha riconosciuto 100 mila euro di risarcimento danni al Comune di Palermo e 10 mila ciascuno alle altri parti civili: centro studi Pio La Torre, Confindustria Palermo, Solidaria, Sos Impresa, Coordinamento delle vittime di estorsioni, usura e mafia, Associazione Antiracket delle piccole e medie imprese di Palermo, Confcommercio e il centro Padre Nostro.

 

 

 

Attimi di paura e di concitazione questa mattina intorno alle 9.30 alla Posta centrale di Bagheria in via Carà proprio accanto alla caserma dei carabinieri. Un uomo di 54 anni Giovanni Lanza, affetto da turbe psichiche, avrebbe avuto nella mattinata di oggi una animata discussione con un dipendente degli Uffici.

Dopo essersi in un primo momento allontanato è tornato successivamente impugnando un coltello con il quale ha ferito alla mano una postina, Cinzia Ferrato di 36 anni, immediatamente all'esterno degli uffici.

Ha continuato a dare di testa aggredendo anche un altro dipendente, Andrea Bozzo di 58 anni,  cagionandogli un trauma contusivo ed escoriazioni varie, lesioni per le quali veniva refertato con 5 gg. di prognosi, sin quando non sono intervenuti i Carabinieri della vicina caserma, che nel frattempo erano stati chiamati e che hanno provveduto ad arrestarlo con l'accusa di lesioni personali aggravate, minaccia aggravata  e resistenza a pubblico ufficiale, proprio perchè si era scagliato anche contro i militari dell'Arma.

Sottoposto al rito direttissimo presso il Tribunale di Palermo dopo la convalida dell’arresto veniva disposta la custodia cautelare in carcere.

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Erano da poco passate le 13:00 circa di martedì 23 aprile c.a., quando Giuseppe ZAMBITO, 48 anni, nullafacente, pregiudicato, residente a Casteldaccia, si introduceva nell’esercizio commerciale “Bar Garden”, sito in Bagheria, con l’intento di costringere il titolare a consegnargli la somma in denaro di 500 € e, poi, di 100 euro “per le famiglie di quelli arrestati, che dovevano campare pure”.

L’intervento di alcuni avventori e il rifiuto della vittima di sottostare alla condotta estorsiva, facevano fallire il proposito dello ZAMBITO.

A conclusione d’intensa attività di indagine, sentiti testimoni e analizzate le registrazioni del sistema di videosorveglianza, i Carabinieri del Nucleo Operativo della Compagnia di Bagheria e della Stazione di Casteldaccia, procedevano all’arresto del prevenuto, per il reato di tentata estorsione.

In base alla ricostruzione dei fatti, gli investigatori hanno accertato che l’uomo da solo, a volto scoperto, identificato poi nello ZAMBITO, magro, scarno in volto, con un giubbotto rosso sotto il quale lasciava intendere la presenza di un coltello, aveva fatto ingresso nel “Bar Garden” richiedendo insistentemente denaro al titolare.

altAl rifiuto dello stesso commerciante che affermava “di non avere i soldi nemmeno per i fornitori”, lo ZAMBITO, dopo avere minacciato i dipendenti e scaraventato con violenza oggetti in aria e sul bancone, per niente intimorito dal sopraggiungere di altri avventori e dipendenti, si riprometteva, dopo circa un’ora di intimidazioni, di “ritornare per ritirare i soldi” e – detto ciò – si allontanava facendo perdere le sue tracce.

I Carabinieri della compagnia di Bagheria, conclusa l’acquisizione delle univoche e concordanti testimonianze verificavano la congruità delle stesse con le videoregistrazioni acquisite; dal confronto tra gli elementi informativi acquisiti emergeva, senza ombra di dubbio, la responsabilità dello ZAMBITO Giuseppe in ordine alla tentata estorsione di cui sopra.

ZAMBITO, su ordine dell’Autorità Giudiziaria, è stato associato presso il carcere “Ucciardone” di Palermo.

Fonte  Ufficio Stampa Provinciale dei carabinieri

Tre pluripregiudicati palermitani, specializzati in truffe agli anziani cui proponevano l’acquisto di monili spacciati come gioielli di grande valore, sono stati scoperti e denunciati dal Gruppo della Guardia di Finanza di Palermo.

L’operazione ha avuto inizio la scorsa settimana, quando i finanzieri in servizio presso il porto del capoluogo siciliano, durante i normali controlli sottobordo alle motonavi in arrivo, hanno fermato i tre appena sbarcati dalla nave di linea proveniente da Napoli, di cui uno alla guida della propria autovettura e gli altri due a piedi senza bagagli al seguito.

Ad insospettire le Fiamme Gialle è stata la dichiarazione dei tre di avere viaggiato separatamente, sebbene dalla lista d’imbarco della compagnia di navigazione risultasse che, in realtà, gli stessi avevano condiviso la medesima cabina a bordo; un più approfondito controllo dei bagagli ha permesso di rinvenire, ben occultati fra gli effetti personali dei tre, complessivamente 14 mila euro in banconote da 50 e 100 euro.

Interpellati in merito alla provenienza del denaro, i tre hanno fornito spiegazioni alquanto fantasiose e improbabili, il che ha indotto i finanzieri ad una accurata ispezione anche dell’autovettura al cui interno sono stati rinvenuti diversi gioielli, tra cui 2 anelli in oro bianco e rosso con brillanti incastonati, 78 brillanti, 45 sacchettini muniti di chiusura a clip adatti a contenere piccoli oggetti preziosi, oltre a diversi cartoncini plastificati, riportanti diciture in inglese, contenenti attestazioni di garanzia di originalità dei preziosi ed una lente d’ingrandimento a scomparsa del tipo normalmente in uso ai gioiellieri; i monili sono stati subito fatti analizzare da un esperto gioielliere, risultando tutti non autentici e di valore commerciale prossimo allo zero.

I tre, invitati a fornire delucidazioni circa l’origine di tali oggetti, hanno spiegato che i monili erano destinati alla creazione di braccialetti e collane da sorteggiare, unitamente agli anelli, in qualche riffa di quartiere; in realtà, che si trattasse di tipici “ferri del mestiere” usati da “pataccari di professione” è risultato evidente dalla consultazione dei precedenti penali e di polizia esistenti a carico dei tre, responsabili di diverse truffe perpetrate, in varie località italiane, nei confronti di una dozzina di malcapitati (per lo più persone anziane pensionate) per un danno economico stimabile, nel complesso, in oltre 15 mila euro.

I finanzieri hanno quindi proceduto nell’immediatezza al sequestro dei falsi gioielli, dei presunti certificati di garanzia e del denaro contante rinvenuto, avviando poi, su disposizione della Procura della Repubblica di Palermo, più mirate indagini sui tre truffatori, pervenendo presto alla conferma del quadro criminale tracciato.

Infatti, pochi giorni dopo il sequestro, appresa la notizia di una truffa consumatasi in via Mariano Stabile a Palermo, costata 750 euro al solito anziano sventurato, i militari hanno rintracciato il truffato e gli hanno sottoposto le foto segnaletiche di diversi malfattori; tra questi l’anziano ha subito riconosciuto, con assoluta certezza, i volti dei tre soggetti in precedenza fermati al porto, i quali nel frattempo, evidentemente, si erano riorganizzati per rifarsi del bottino perduto.

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IMMESI GAETANO;                             IMMESI ATTILIO;                                      RIZZUTO LUCA

L’anziano, nella speranza di recuperare il maltolto, ha sporto formale querela nei confronti dei tre truffatori, mentre il Gruppo della Guardia di Finanza di Palermo, in virtù del ricostruito legame consociativo esistente tra i membri del terzetto - dimostratisi, nonostante tutto, ancora capaci di mettere a segno i propri colpi - hanno deferito gli stessi all’Autorità Giudiziaria per l’ipotesi di associazione a delinquere finalizzata alla truffa, ricostruendo, nell’occasione, anche i dettagli del loro modo di operare, basato su una “sceneggiatura” ben collaudata e che vale la pena riassumere, anche a scopo informativo e preventivo.

 

Uno dei tre, di norma, recitando la parte dell’ufficiale di marina straniero (in genere, finlandese o svedese) che parla in inglese, tranne qualche parola in italiano utile all’adescamento, individua “per strada” la vittima ritenuta più idonea – normalmente una persona anziana – cui si rivolge per “chiedere informazioni” in un italiano stentato; ottenuta l’attenzione della vittima, l’ufficiale straniero viene raggiunto dal secondo complice che, ben vestito e dai modi garbati, passa di lì “per caso” e, millantando di comprenderne la lingua, spiega alla vittima che lo straniero ha urgente bisogno di rintracciare una gioielleria nelle vicinanze presso cui vendere alcuni gioielli di famiglia che ha, ovviamente, al seguito, per recuperare, più o meno, 1.000 euro di cui ha necessità.

Il complice, alla presenza della vittima, fornisce indicazioni sulla gioielleria in zona – che, di norma, in passato è esistita davvero e, di recente, ha chiuso il proprio esercizio o magari si è trasferita presso altro indirizzo - e si adopera per rintracciarne il numero di telefono; a questo punto viene contattato telefonicamente il presunto gioielliere – che in realtà è il terzo complice – il quale giunge da lì a poco sul luogo per effettuare una valutazione degli oggetti preziosi, sempre in presenza della vittima, che rimane “incantata” dal loro “valore”.

Terminata la “favolosa valutazione”, il presunto gioielliere si allontana con un pretesto, lasciando la vittima in compagnia degli altri due complici; il secondo “attore”, a questo punto, propone l’”affare” alla vittima, suggerendole un acquisto congiunto dei gioielli ad un prezzo ovviamente scontato rispetto alla precedente valutazione e poi, dopo essersi allontanato per pochi minuti tornando con una busta piena di contanti, riesce a convincere l’anziano a partecipare in “quota parte” al “business”, facendogli sborsare metà della somma pattuita con il sedicente ufficiale di marina che, a garanzia dell’autenticità dei gioielli, consegna all’anziano oltre ai finti preziosi anche un fantomatico certificato da fotocopiare.

Fatta la fotocopia l’anziano torna indietro per riconsegnare l’originale, ma al suo ritorno non trova più nessuno e, in quel momento, realizza di essere caduto in una trappola. 

Guardia di Finanza Palermo

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