Il racconto del pentito Carbone: così uccidemmo Ramon e Fernando

Il racconto del pentito Carbone: così uccidemmo Ramon e Fernando

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Bagheria, contrada Incorvino. E' questo il teatro del duplice omicidio: una casa in costruzione su un ampio terreno, come ce ne sono tante nei dintorni.  Oggi su Repubblica, Salvo Palazzolo, partendo dalle dichiarazione del pentito Giuseppe Carbone, fa una ricostruzione estremamente dettagliata delle fasi che portarono alla eliminazione dei due ispano canadesi Juan Ramon Fernandez e di Fernando Pimentel, che da circa un anno si trovavano a Bagheria.

L'ordine di eliminazione dei due era arrivato direttamente dal Canada, dal padrino don Vito Pizzuto.

Il primo interrogativo che gli investigatori si troveranno a dovere sciogliere è: sapevano o no il reggente Gino Di Salvo e il suo braccio destro Roberto Flamia  quanto stava per accadere?

La risposta a questo interrogativo è essenziale per cercare di capire in anticipo cosa potrebbe accadere  a Bagheria e dintorni nel breve-medio periodo.

Ad occuparsi della eliminazione dei due canadesi sono state persone che hanno già avuto frequentazioni con i boss canadesi, e cioè i due fratelli Scaduto, Pietro e Salvatore, il cui padre Antonino, inteso 'Ninu u carabinieri' era stato ucciso assieme al fratello di Gino Tutino, (anche lui nell'operazione 'Argo'  destinatario di un provvedimento di arresto),  nel primo pomeriggio di un giorno di maggio del 1989 proprio davanti al Bar Aurora di Bagheria, mentre prendevano un gelato.

Ed era stato in Canada anche il fratello di Giuseppe Carbone, Andrea, arrestato nel luglio del 2008 assieme a dei complici per avere architettato un piano mirante alla eliminazione di Pietro Lo Iacono.

Il 9 febbraio mettono a punto il piano che troverà esecuzione il 9 di aprile, proprio il giorno che dei due immigrati canadesi si perdono le tracce.

Perchè questo lungo intervallo? 

Pare che Pietro che veniva chiamato spesso da Fernando Pimentel, voleva evitare che sul suo telefonino restassero tracce recenti di chiamate.

Quindi si aspetta.

Quando arriva l'ora X attirano in una trappola i due ispanici, che detto per inciso in questo anno di permanenza a Bagheria hanno intrecciato rapporti amichevoli con i capi mafia bagheresi, facendogli sapere che ci sarà da parlare di affari di droga.

L'appuntamento con i due canadesi è al Bar DIVA proprio allo svincolo dell'autostrada. Pietro Scaduto prende posto nell'auto, una Clio presa a a noleggio,  accanto a Fernando che guida; si sale verso Incorvino dove tutto era stato organizzato in maniera tale che, non appena lo Scaduto fosse sceso dall'auto avrebbe trovato nell'incavo di un muro una pistola già pronta per uccidere.

Nascosti in un canile, e pronti ad entrare in azione Salvatore Scaduto e Giuseppe Carbone.

Tutto avviene come previsto.

I tre arrivano in contrada Incorvino, l'auto supera il cancello che si richiude alle loro spalle, dall'auto scende Pietro Scaduto e subito dopo parte la gragnuola di colpi: a sparare tre pistole, una calibro 38, una calibro 9, e una calibro 7.65.

Ramon intuisce cosa sta accadendo e cerca di scendere precipitosamente dall'auto per riaprire il cancello ma Fernando nel tentativo di fare la manovra di retromarcia lo travolge.

Fernando Pimentel muore al posto di guida, mentre Ramon cade per terra crivellato dai proiettili, ma non muore subito.

C'è il tempo- lo dice Repubblica nella sua ricostruzione-per rivolgere l'ultima inutile domanda a Pietro e Salvatore: "Perchè Pi?  perchè Sal?"; poi Pietro Scaduto scarica alla testa il colpo di grazia.

Ora è il pentito Carbone che si mette alla guida dell'auto con i due corpi messi nel portabagagli con Pietro Scaduto che lo segue con la sua vespa, e vanno verso la discarica a cielo aperto in contrada Fiorilli a Casteldaccia

Salvatore tornerà a casa con la propria auto, una Panda. Nella discarica i due cadaveri vengono bruciati ed il giorno dopo ricoperti con lastre di eternit prese dalla stessa discarica.

L'auto viene abbandonata e incendiata  in prossimita della discarica di Bolognetta, quindi il ritorno a casa.

Termina qui il racconto di Giuseppe Carbone, e sembra tutto finito, ma non è cosìì.

La notte dell' otto maggio i Carabinieri suonano il campanello di casa di Carbone; e quando questi capisce che gli investigatori, e non a caso, si interessano troppo al suo Rolex d'oro capisce che nel  futuro  ci sarà solo una scritta sul suo fascicolo "Fine pena mai"; e salta il fosso.

 

 

 

 

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