Cultura

 

La città delle Ville, ospiterà ancora una volta l'evento “Arte e Sapori di Natale a Bagheria” e proprio la Villa più imponente e prestigiosa: Villa Valguarnera sarà la sede della fiera di artigianato ed enogastronomia, giunta alla IX^ edizione, organizzata dall’Associazione Turistico culturale no profit “Terra del Sole”.

Nella location di grande prestigio storico-monumentale, verrà allestita, nel viale principale di accesso, una tensostruttura che occupa circa 200 mq, la quale ospiterà per un mese intero dal 6 dicembre 2014 al 6 gennaio 2015 gli stand degli artigiani, degli hobbisti, nonché i professionisti dello “street food” tipico palermitano, tutti pronti per offrire le idee giuste per un regalo di Natale ai propri cari e di gustare i prodotti genuini della nostra terra.
L'ingresso alla fiera è gratuito, sarà possibile visitarla per tutti i giorni previsti dall'evento dalle 10.30 sino a tarda sera.

Per i bambini, verrà organizzata una zona apposita, con l'allestimento di strutture gonfiabili e “la Casa di Babbo Natale”, inoltre, vi sarà un gazebo adibito alla raccolta di giocattoli, da donare ai bambini più poveri, nella speranza di poter allietare il loro Natale .

Durante la manifestazione fieristica sarà possibile visitare i lussuosi saloni durante la festività della madonna, l'8 dicembre ed i fine settimana a seguire, costo del biglietto di ingresso € 10 a persona.
Da semplice mostra-mercato, la manifestazione si è evoluta con il passare degli anni, grazie all'esperienza acquisita progressivamente nel settore turistico ed enogastronomico; si è trasformata in attrattiva per i cittadini bagheresi, fino a diventare un punto di riferimento per i comuni limitrofi e meta di gruppi provenienti da altre provincie siciliane.
Per informazioni, costi e prenotazioni eventi e visite guidate chiamare il 345 2651228 o scrivere a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. http://www.associazioneterradelsole.com

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Venerdì, 5 dicembre p.v., alle ore 11,30 presso la Sala Basile – Villa Filangeri - sede del Palazzo Municipale di Santa Flavia (PA), presentazione dell’opera Solunto: paesaggio, città, architettura di Alberto Sposito. Oltre all'autore interverranno dott. Salvatore Sanfilippo, sindaco di Santa Flavia; dott.ssa Lucrezia Fricano, direttore del Parco archeologico soluntino; prof.ssa Giovanna Badalamenti, dirigente scolastico.

 

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Solunto è con Panormo e Mozia una delle tre città fondate tra i secc. VIII e VII a. C. dai Cartaginesi in Sicilia e di cui parla Tucidide. La città subì un processo di ellenizzazione, dopo che fu distrutta dai Siracusani, e fu ricostruita sul Monte Catalfano nei pressi di Bagheria, intorno alla seconda metà del sec. IV a. C. L’antica Sólanto, che sorgeva in pianura nei pressi di una tonnara, fu così soppiantata dalla neápolis di Solunto, su cui si sofferma il presente volume, descrivendo l’assetto geologico e idrografico del sito, i caratteri ambientali, il paesaggio e gli artefatti, prima ellenizzati e via via romanizzati fino all’abbandono del sito intorno al sec. III d. C.

Della neápolis sono esaminati i tracciati viari extra-moenia e quelli urbani, l’impianto di tipo ippodameo, le tessiture murarie, le cave di pietra da cui poteva essere prelevato il materiale da costruzione, i diversi assetti pavimentali e alcune particolarità che caratterizzano il sito, quali i capitelli dorici, gli intonaci, le macine per la produzione della farina e le mangiatoie per gli animali da soma. Poi sono descritti gli isolati con gli edifici pubblici e le case private ad oggi in luce: le Thermae, le varie Insulae occupate da case patrizie e da edifici minori, da recinti per il culto, da botteghe e laboratori artigiani, il complesso dell’Agorá con il Bouleutérion, la Stoá con alae e due livelli, il Theatrum, la Cisterna Pubblica e il Santuario a due Navate. Chiudono il volume un glossario dei termini latini e greci più ricorrenti e un’ampia bibliografia pluridisciplinare. 

altNel complesso, richiamando risultanze di fondamentali contributi di Vincenzo Tusa, Luciana Natoli, Caterina Greco, Armin Wiegand, Elisa Chiara Portale e Markus Wolf, il volume si sofferma sull’architettura minore, allo scopo di avviare discussioni non più mono-disciplinari, e si configura come una raccolta di saggi scritti in diversi momenti, anche da altri autori: una sorta di sylloge utile a rappresentare di Solunto lo stato dell’arte e a relazionare da un lato sull’attività di ricerca e didattica, svolta in diversi anni presso la Facoltà di Architettura all’Università degli Studi di Palermo, dall’altro sulle evidenze archeologiche che si offrono per successive interpretazioni.

Indirizzato ad architetti, archeologi e restauratori, il volume è supportato da un ricco e inedito apparato iconografico di circa 2o0 disegni e con più di 600 fotografie di cui molte a colori, che oltre a visualizzare il paesaggio e la città documentano le insulae, gli elementi dell’architettura e i componenti di arredo che si trovano nel sito.

Alberto Sposito, architetto, è professore ordinario i. q. all’Università degli Studi di Palermo e ha insegnato alle Facoltà di Architettura di Firenze, Palermo, Agrigento e alla Kore di Enna, nei Corsi di Restauro Archeologico e Tecnologia dell’Architettura Antica. Interessato alle questioni legate al restauro dei beni culturali e al recupero dei contesti antichi, ha scritto vari saggi, in particolare sulla Villa Romana del Casale di Piazza Armerina, sui siti di Morgantina e Solunto, sul Theatrum di Piatrabbondante nel Sannio. Di recente data sono i volumi Tecnologia Antica (2007), Architettura Sistemica (2009), Morgantina, il Théatron ellenistico: Storia e Restauri, edito nella nostra collana Studia Archaeologica (2011).
 

Il fine filologo Antonio Pane (studioso per eccellenza di Pizzuto e Fiore ) nel 2002, nel recensire la ristampa, Polistampa, 2001 del libro di Renzo Martinelli: I giorni della Chiassa, (1945) così scrive: “Molte cose rimangono nella mente : il biondo cavaliere, il partigiano-arcangelo volato a liberare un intero villaggio in balìa della morte,…… sembrano smentire, nella verità della loro vita ulteriore, la disillusa auto epigrafe del “povero racconto stampato, che il tempo, farà sempre meno vero”.

           Sembrerebbe che Antonio Pane non recensisca un romanzo, ma una fiaba, una favola con lieto fine. La stessa cosa era capitata a Santino Gallorini che negli anni ’80 trova nel marciapiede della stazione di Firenze, una copia della prima edizione, mancante di molte pagine,[la Chiassa è il quartiere accanto al suo ad Arezzo] e in effetti lo considera un romanzo di fantasia, solo quando esce la ristampa del 2001, trovandone una copia in una bancarella dell’usato, la compra incentivato dal prezzo(1 euro), e ha modo di confrontarne l’appendice e la prefazione.

Qui capisce che la storia è vera e si meraviglia di come non ci fosse una memoria collettiva, una via dedicata al partigiano…. Del resto che di quella storia si era persa memoria, lo attesta Francesca Chianini, testimone di quei fatti, che nel racconto in appendice sempre della ristampa del 2001 in: Ricordi, così scrive: “Passata la guerra fu fatta ricerca di questo studente al quale il paese intero doveva la vita, ma non fu possibile rintracciarlo. Era forse morto?”.

          Di quei fatti il Gianni Mineo non ne parla nemmeno in famiglia, (se non del suo cavallo bianco, e negli anni ’60 scriverà dei fogli di diario) l’unico con cui ne parla è il compagno, Rosario Montedoro, (noto a Bagheria come il professore della scuola Ciro Scianna, morto nel 2003), di cui il figlio Giovanni Montedoro è fedele custode di racconti , e testimone degli incontri del padre con Mineo che avvenivano negli anni ’50 durante le vacanze a Bagheria. La figlia di Mineo, Evi Rosalia sposerà un giovane bagherese conosciuto in una di quelle vacanze, Domenico Galioto, Mimmo per gli amici, e qui rimangono a vivere.

 Un laterale testimone è il marito della figlia Caterina, oggi vive a Novara, durante la presentazione del libro ad Arezzo il 4 novembre scorso dichiara: “[ Negli anni 70, durante un viaggio con un camion al sud, mio suocero mi porta a vedere una chiesa ad Arezzo, e nella piazza mi racconta di avere salvato 200 civili, di avere liberato un colonnello tedesco……. Io pensai subito che mio suocero era un racconta balle]”.

          In effetti sembra una storia dei paladini di Francia uscita da una pala dei Fratelli Ducato, Mineo con il suo inseparabile cavallo bianco, sembra la materializzazione di quei personaggi, nato in una Bagheria mitica che, Ignazio Buttitta altro partigiano e poeta, ci ha cantato insieme a Ciccio Busacca, che Renato Guttuso ci ha dipinto nella serie dedicata alla resistenza per l’appunto, sembra un ritratto uscito da una foto e narrata in quel capolavoro che è “Quelli di Bagheria” di Ferdinando Scianna.

Sembra una parte mancante nel film “Baaria” , o uno spezzone proiettato dentro il film “Nuovo Cinema Paradiso” di Peppuccio Tornatore.

Mineo è figlio legittimo di questa Bagheria, nel bene e nel male, [seppure nato a Santa Flavia e come tanti vissuto e morto fuori] il padre Francesco, (cugino del più famoso Antonio Mineo, uno dei tanti boss di mafia di Bagheria ), scompare per lupara bianca nel 1923, quando Gianni ha 2 anni (il prefetto Mori arresterà nel 1924 a Bagheria circa 500 uomini d’onore), il fratello Benedetto, è un sopravvissuto dell’ARMIR. I nonni materni sono allevatori di cavalli da corsa, e la passione per i cavalli, Mineo la continuerà sia da partigiano ma anche per professione dopo la guerra, e farà anche l’ operaio o il camionista.

        In questi giorni un amico docente di storia mi racconta che all’archivio di stato si è imbattuto in atti del 1880, che parlano di una battuta dei regi Carabinieri nelle colline di Bagheria, alla ricerca di un brigante Mineo, ricercato insieme alla moglie e alla figlia, non escludo che si riferisca ai nonni o bisnonni di Gianni Mineo. Mi piace pensare che come diceva Giovanni Falcone, “La mafia ha avuto un inizio, una vita, e avrà una fine”. Le vicende familiari con la mafia della famiglia Mineo a Bagheria per quanto riguarda Gianni sono stati una parabola, che hanno avuto un inizio e una fine, testimoniata dai fatti e dai comportamenti.

Durante la presentazione del libro ad Arezzo, dall’autore si sono presentate persone con altre testimonianze, oltre a quella citata del “genero”, cittadini di Anghiari, il paese nelle cui montagne era stato nascosto il colonnello tedesco dai partigiani stranieri, hanno ricordato che i tedeschi li avevano minacciato che se il colonnello non fosse ritornato vivo, avrebbero bruciato tutto il villaggio. Sembrerebbe una normale minaccia, ma voglio ricordare che a Civitella sempre nella stessa zona di Arezzo e della Chiassa, giorni prima erano stati uccisi tre tedeschi, e per rappresaglia nello stesso giorno che invece alla Chiassa si realizza il “miracolo” di Mineo, vengono fucilati e dati alle fiamme con le loro case, in un rastrellamento, 200 cittadini di Civitella, il 29 giugno 1944.

            Nuovi elementi stanno venendo fuori in queste settimane, quali quella del terzo partigiano riconoscibile in Rosario Montedoro, ma tanti altri particolari spero possano scaturire dalla giornata di riflessione sul contributo dei siciliani nella Liberazione (1943-45), che si farà a Palermo presso l’Istituto Gramsci Siciliano, venerdì 28 novembre, ore 17,30, e per la presentazione del libro di Santino Gallorini: "Vite in Cambio, Gianni Mineo, il partigiano infiltrato, che salvò dalla strage la popolazione della Chiassa”, sabato 29 novembre, ore 17,30, presso Villa San Cataldo a Bagheria. 

Infine per riallacciarmi al profetico Antonio Pane, nella seconda parte della citazione: “sembrano smentire [i personaggi del romanzo] nella verità della loro vita ulteriore, la disillusa autoepigrafe del “povero racconto stampato, che il tempo farà sempre meno vero”. Se in Pizzuto e Fiore la verità narrata assume una nuova forma di verità rispettivamente estetica musicale e filosofica, in Martinelli, al personaggio narrato quasi lo forza per fargli assumere materializzazione e verità come se venissero da un altro universo: “All’improvviso, s’ode un galoppo, e come in sogno, ecco apparire agli agonizzanti allibiti, e alle non meno allibite sentinelle tedesche, un bel giovanotto a cavallo…..” “ Ecco, - dice il cavaliere – riporto i due prigionieri. Per quanto la cosa possa apparire esageratamente novellistica, la verità e che si tratta proprio del colonnello….”


Franco Ciminato Referente ANPI Bagheria
 

Cosa c’è di più gratificante dell’affabulazione, specie se i destinatari sono i bambini? Da Alice nel paese delle meraviglie al Piccolo Principe, la letteratura, spesso, ci regala piccole oasi nel deserto del grigiore quotidiano. Se a ciò, poi, aggiungiamo la possibilità di conoscere un personaggio storico caduto in disgrazia, meglio ancora se una grande donna e scienziata, ecco venir fuori un piccolo libro, perfetto per accendere nei più piccoli la curiosità sul grande talento dell’Universo al femminile. 

Il libro è quello della palermitana Daniela Maniscalco, docente di Italiano e attività creative, che vive da tempo in Lussemburgo dove si occupa di divulgazione per l’infanzia, cucina e letteratura. Con questi ingredienti e con l’obiettivo, nobile, di rivalutare il femminile nella storia, ha scritto il libro: “lldegarda e la ricetta della creatività”, casa editrice Rue Ballu, 80 pp, prezzo 16,50 euro. 

Una piccola grande storia, scritta con linguaggio semplice ed efficace, che narra di Ildegarda von Bingen, badessa in un monastero tedesco nel Medioevo, che fu scienziata, musicista, botanica, insegnò medicina, teologia e scrisse diversi trattati importantissimi per il tempo. Eppure di lei, consigliera di papi e imperatori, nei nostri manuali di storia, non è rimasto più nulla.

Daniela Maniscalco, con grande maestria, riesce a superare le difficoltà insite in una pubblicazione per bambini e crea la magia necessaria, complici delle eleganti e misteriose illustrazioni ad opera di Chiara Carrer, e un coinvolgente articolarsi della storia.

La piccola Elisa da grande vuole diventare una compositrice, per questo è alle prese con una ricerca sulla musica nel Medioevo, così si imbatte in Ildegarda venuta fuori, in carne ed ossa, da un libro della sua cara nonna, simpatica quanto misteriosa. Per riportarla indietro, lei e il suo migliore amico Ludovico, dovranno conoscere tutto di lei, addirittura udirne le melodiose note.

Dal canto suo, la badessa rimane inorridita da ciò che trova in tavola: pomodoro, melanzane e cioccolata: nel Medioevo non ancora entrati nella mensa delle famiglie e da un misterioso mobile con i tasti chiamato pianoforte. In una travolgente lotta contro il tempo, che ricorda un po’ le peripezie della saga di Ritorno al Futuro, i due piccoli troveranno il modo di riportare tutto al proprio posto.

Il resto lo lasciamo ai lettori, ancora meglio se di età compresa tra gli otto e i dodici anni. La scrittrice sarà ospite della Consulta della Cultura di Casteldaccia, nei locali della Torre in piazza Madrice, domenica 30 novembre alle ore 18,00.

L’occasione è quella della giornata mondiale contro la violenza sulle donne che ricade ogni anno il 25 novembre e che quest’anno, su proposta della Consulta e del nuovo assessore alla Cultura Marzia Santoro, si è voluta commemorare accendendo i riflettori sul talento delle donne. Ancora, troppo spesso, frustrato e inespresso.

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                  Maria Luisa Florio

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