Ancora sul referendum costituzionale - di Manlio Schiavo

Ancora sul referendum costituzionale - di Manlio Schiavo

Politica
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Al di là e al di fuori delle suggestioni mediatiche che il dibattito sulle riforme costituzionali (+ nuova legge elettorale) sta provocando, alle quali mi sembra opportuno, per il momento, sottrarmi, riservando loro successivamente una specifica riflessione.

Vorrei riprendere l’argomento, aggiungendo qualche ulteriore tessera al mosaico del ragionamento già avviato con un precedente articolo su questo stesso giornale.

E riprendere sottolineando ancora che, poiché – come già scritto – “saremo chiamati a pronunciarci su una modifica sostanziale della forma di governo del nostro Paese sia per quanto riguarda la dialettica tra i maggiori Organi Istituzionali (Parlamento e Governo, in primis, ma, in realtà, con incidenza sull’intero assetto istituzionale, vista la nuova configurazione del Senato e in conseguenza del combinato disposto con la nuova legge elettorale), sia per quanto riguarda il rapporto tra lo Stato e le Regioni,” dovremmo fare uno sforzo di riflessione più generale, ancor prima di entrare tecnicamente nel merito specifico delle riforme, su quali siano stati i presupposti che hanno portato ad avviare questo percorso di riforme, quali le esigenze alle quali far fronte, quali gli obiettivi da raggiungere, quale il metodo adottato per perseguirli.

Dovremmo cercare di attenerci con obiettività ai “fatti”- anche se nell’analisi politica non è sempre facile mantenere una equilibrata equidistanza, visto che chi osserva non può cancellare i suoi valori, le sue idee, le sue passioni; almeno, però, la preliminare dichiarazione di intenti è sincera: “sine ira et studio”.
Qualche punto di accordo valido per tutti

Mi pare indubitabile che la democrazia può essere messa in grave crisi sia quando restringe drasticamente gli spazi di “partecipazione”, sia quando, per eccesso di apertura partecipativa, rende molto difficoltosa, e spesso paralizzante, la “governabilità”.

Mi pare che possiamo tutti convenire sul fatto che il “sistema Italia” ha sofferto, da tempo, sia dell’uno sia dell’altro forte condizionamento e che, pertanto, era necessario ed indifferibile affrontare il problema, trovando un equilibrio tra queste due istanze (aqui està el busillis!).

E se, come mi pare, siamo tutti d’accordo sul fatto che ciò che concorre al miglior funzionamento delle istituzioni non può che favorire il consolidamento della democrazia, non possiamo pure non essere tutti d’accordo sulla necessità di intervenire su due principali bersagli : bicameralismo perfetto e proporzionalismo puro.
Quello che dobbiamo chiederci, dunque, non riguarda affatto la necessità condivisa di una revisione costituzionale del bicameralismo perfetto, del Titolo V, del sistema elettorale, in direzione di quel migliore funzionamento da tutti condivisibile e auspicato, ma se il quadro complessivo delineato da queste riforme sia coerente con questi obiettivi, se queste riforme diano una risposta soddisfacente alle esigenze poste dallo stato di crisi della nostra democrazia (sul quale, penso, possiamo tutti ancora una volta concordare), se queste riforme assolvano al compito – certamente difficile, complesso e delicato- di definire con precisione gli equilibri tra i poteri e di individuare forme aggiornate e corrette di mediazione tra “partecipazione” e “governabilità”.

Il problema del metodo

E per cercare di trovare risposte a queste domande (ineludibili per tutti, sia per i favorevoli, sia per i contrari) bisogna riflettere da quale modo di intendere la politica e “fare” politica ci si è mossi per capire come si è arrivati a quei traguardi. Per evidenti ragioni anche di spazio, l’analisi non potrà essere esaustiva ma spero nemmeno troppo superficiale.

Mi pare che si possa convenire tutti sul fatto che già da tempo una pesante crisi di fiducia e di credibilità ha colpito sia la politica, sia i suoi rappresentanti e le sue Istituzioni. Il Parlamento, organo supremo della democrazia rappresentativa, è apparso ed appare in sofferenza sotto i profili della sua composizione, della struttura e delle funzioni, con un processo di “ ...trasformazioni che hanno comportato un ribaltamento della democrazia parlamentare in uno strano regime tecnocratico-oligarchico che per sua natura ha come punto di riferimento l’esecutivo. Viviamo in «tempi esecutivi». La politica esce di scena.” (G. Zagrebelsky). Sempre più spesso le scelte politiche non sono più dipese dalla volontà liberamente espressa dai cittadini, tramite i loro rappresentanti in Parlamento, ma dalle esigenze dei “mercati” e dalle imposizioni “tecniche” di istituzioni sovranazionali, legate al governo della finanza globale (« Ce lo chiede l’Europa »).
La piramide si è rovesciata...La democrazia dalle larghe basi voluta dalla Costituzione è stata sostituita da un regime guidato dall’alto dove si coagulano interessi sottratti alle responsabilità democratiche”. (G. Zagrebelsky).

Possiamo negare che anche nel caso dell’iter di queste riforme, spettanti al Parlamento, di fatto, la funzione legislativa è passata dalle mani del Parlamento a quelle del Governo, che se ne è appropriato e ha fatto ricorso a tutti i mezzi possibili consentiti, anche con evidenti forzature, pur di ottenerne l’approvazione?

Possiamo negare che l’idea-madre, anche in questo caso, sia stata che quel che conta è la « governabilità », intesa, di fatto, come potere del vertice dell’esecutivo di “decidere” in tempi rapidi, imponendo la sua volontà al Parlamento e ricercando il consenso popolare non attraverso la partecipazione ma con misure propagandistiche?

Osserva il prof. Cantarano (pazienza, gentile ministra Boschi, ancora un altro “professore”!) : “Perché versare ora lacrime di coccodrillo per la deriva populista della nostra democrazia, quando abbiamo assecondato il processo demagogico di depoliticizzazione della società? Non era, forse, la demolizione dei partiti – dunque, della politica- il sogno della rivoluzione conservatrice..? Non è forse grazie all’agonia dei sistemi rappresentativi – Parlamento, partiti, sindacati ecc.- che Renzi è riuscito... a popolarizzare il suo decisionismo metodologico....? Quante volte vi è capitato- al bar, al mercato, dal barbiere, in piazza, in ufficio - di sentir ripetere: « ma basta con le vuote chiacchiere, ne abbiamo le scatole piene. Siamo stufi delle inutili parole. Occorre invece essere pragmatici. Occorre fare, decidere. E in fretta.»

Ma la decisione – ogni decisione, non solo quella politica - è, oppure no, sempre l’esito di un pensiero, di un ragionamento, di una discussione, di una valutazione? Per poter assumere una decisione è necessario, oppure no, preliminarmente sapere, conoscere ciò di cui - su cui - si decide?”
( G. Cantarano, Siamo lontani da una post democrazia? in Segno, n. 373, marzo 2016).

Se dietro al metodo utilizzato per realizzare queste riforme, che avrebbero richiesto in Parlamento il più ampio confronto, ampie maggioranze, la possibilità di poter esprimere liberamente voti di dissenso senza la pretesa di imporre una rigorosa disciplina di partito, senza il ricorso ripetuto alla questione di fiducia sotto la minaccia delle dimissioni del Governo che hanno “costretto” i parlamentari della maggioranza a votare a favore anche di proposte non condivise, c’è stata questa visione della politica e questo modo di “fare” politica, qualche perplessità, forse, non può non affiorare- in risposta alle domande che ci siamo posti - circa l’esito specifico dei contenuti delle riforme. Riguardo ai quali, occorrerà un’ulteriore riflessione.

Manlio Schiavo,
referente Comitato locale di Bagheria
del Coordinamento per la democrazia costituzionale.

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